Ombre d'amanti

Ombre d'amantiOmbre d'amanti La sera in cui, nell'aula istoriata idei € Convegno», mi presentarono a Emilio Ludwig, non feci in tempo a proporgli, come avevo in animo, il paradosso di Henry de Gourmont, secondo cui gli amanti infelici, come indici di storia, hanno più importanza dei condottieri vittoriosi : e me ne dolgo. Senza dubbio, lo storico che ha messo in conto a Napoleone tanto i tristi pmori che le liete battaglie, avrebbe saputo darmi, anche là sui due piedi, una di quelle reparties eleganti che l'hau fatto famoso, forse quanto i dottissimi studi. Rimasto solo a consultarmi cogli affreschi della sala, i quali per l'appunto mi sembravano illustrare il paradosso francese figurando in„-pari grandezza ninfe amorose e cavalieri trionfali, rimandai l'inchiesta al giorno in cui avrei visitato, come avevo promesso, il Ludwig nel suo eremo d'Ascona. Intanto, se è vero ch'egli mi legge, come ha avuto la finezza di dirmi, si prepari. Aveva ragione de Gourmont? Come altri uomini molto brutti, costui fa addirittura .profetico in parecchie verità d'ordine amoroso. E quando egli scriveva che, nell'epopea dei secoli, il motivo dominante è pur sempre quello dell'idillio, della scena patetica, dell'i a due», era serio e in buona fede. Mi pare, anzi, di ricordare alcuna delle sue argomentazioni. Il cavaliere Des Grieux è contemporanea del maresciallo Des Villars; il giovine "Werther, del generale Bliicker. Ed ecco che più diffusi, più amati, più celebri, son rimasti i nomi, cioè i sin-i-» boli, di due squallidi innamorati, di due vinti — l'uno nell'onore, l'altro nella vita — che non quelli del «dragone fulminatore» e del vincitore di .Waterloo. Miracolo, si dirà, della poesia, cui tanto Des Grieux che ^Verther il suicida dovettero la fosca . esistenza. Ma chissà ? Anche il libro è vita; anche l'invenzione è storia. Agli allori del settecento, l'amante di Manon riassunse un po' tutto il destino degli amanti sven turati del suo tempo; alle soglie dell'ottocento, l'amante di Carlotta disse un po' tutta la sorte degli ■amanti inabili, infelici dell'età prò pria. Ogni secolo ha la sua figura d'innamorato sofferente; e non for se solo ógni secolo, ma ogni ventennio. Gli studenti hanno fornito da soli, alla mesta collezione, almeno una decina di tipi: e tutti diversi, tutti distinti, malgrado i tratti comuni della giovinezza, dell'indigenza e della sensibilità. Confrontate il luttuoso baccelliere delle novelle li Cervantes e di Quevedo, calze negre e fibbia d'argento, a quello tanto più spensierato del Gii Blas, e questo al Mario dei Miserabili; e poi eli studenti in soffitta di Gavarni e di Mtirger, con Mimi e Francine vicine di casa, a quelli un po' meno lunatici e derelitti di 'Addio <ìio vi netta. E oggi? Oggi, lo sapete, que sto studente col batticuore è intro.vabile. Cancellato, o eclissato soltanto? Non so. I goliardi sono al Cine, al foot-ball, in ufficio, in viaggio; in soffitta, non più. E Cosetta, Dorina, Francine vanno a inseguirli con lo sci o lo slittino, nelle pattinate domenicali, per finir di rag giungerli in una sala da ballo, nel la stretta d'un blue! Non c'h più distanza tra i due: e quindi il romanzo è breve, il dramma impossibile. E quanto diversamente accadeva, soltanto quindici o vent'anni fa, pare già consegnato alla preistoria. qfqntultnppipdlbsvCcolmphiibdsvisdlcvgsnBisognava allo studente in -vaglia d'amore, quindici o vent'simt •fa, un tipo di donna, non solo romanticamente diverso, ma dolcemente iequivoco:. tipo, anch'esso, oggi quasi inaccessibile. Costei era sarta, modella, canzonettista: ma sartina disinteressata, modella vereconda, sciantosetta che aveva in gola il groppo del suo dubbio destino. Denominatore comune di tali donne assomigliante era la canzone. Cantavano : ed era, o pareva loro, l'assoluzione. C'era quella stella, sull'acqua stagnante d'una sorte. Cantavano, per sè o per tutti; ma più spesso per uno soltanto: pel viandante scelto, o sperato, da un sommesso bisogno d'amore in cui era tutta la loro intima, superstite innocenza. Tra due gugliate, nell'opificio; tra due pose, nell''atelier, saliva lo stornello al cielo non ancora traversato dagli aeroplani: e per la canzonettista, poi, questo cantare, era nello stesso tempo il lusso e il pane, il sogno e il mestiere, la grazia e l'infamia. In lei la disparità degli elementi era ancora contrastante, come al tempo romantico in cui, lorctte o glisette, avrebbe riso con De Kock o pianto con De Musset; o forse riso e pianto insieme, come nel waltzer di Musette allorchè diventava l'addio di Mimi. Queste donne avevan dovuto, tutte, cantare. E quando, venti o trenta anni, dopo, Margherita Gautier tor nò ad avere il destino di Mimi Pin6on, si trovò che per quanto ingentilita dalle sue camelie, dal suo palpito, dal suo male, qualche cosa ancora le mancava: e questo qualche cosa, che Verdi dovette scriverle, era upa canzone. Il dramma di Dumas era bello, ma senza canto. Bisognava alla traviata della musica, perchè riavesse una nobiltà, come era bisognata alle citaredo e aule tridi d'un tempo lontano. Allora, tra la fine di quel secolo e il priuci. pio del nostro, fu la volta della canzonettista: che quel canto levò addirittura come una bandiera orgogliosa, un'affermazione prepotente del diritto di perdersi in nomo dell'tarte». Povera illusione. Disperata vanità. II cauto cessava d'essere una grazia diventando un'abitudine. Il gioco tradiva il calcolo-; il calcolo, la soperchieria. Chi credette mai, nella cauzoncttùla" Ma r qualche giovine sì, ci credette. E si fermò ad ascoltare quel ritornello, quasi esso ancora nascesse, spontaneo, dal gracile petto d'una cucitrice; dalla consolazione solitaria di una Dorina o d'una Cosetta a colloquio con le rondini, là su tra i tegoli e le gronde. Così nacque l'amore, ormai introvabile, dello studente per la canzonettista; del giovine povero e puro per la giovine non più povera e non più pura, la quale però ancora cantava. AL ♦ * Aspra, avida, vana, sensuale, ignorante: così la rivediamo, oggi, a fior di ragione. Per chi la giudicasse anche a un metro soltanto dal palcoscenico, ella non poteva parere diversa. Era l'immagine stessa della sguaiataggine. Chi non ne conobbe mai una per lo vie del cuore, forse nessuna specie di femmina dovette mai giudicare più severamente. Così plebea, nei suoi gioielli ! Così falsa, nella sua musica ! Lo note, come le perle, parevano rifiutarsi di ornare quella carne pasciuta, quel l'anima nulla e riottosa. Nell'emblema che ne resta, ella ha tuttora i fianchi forti, la mano sull'anca, un grosso*fiore tra i denti troppo belli: tutta la sua origine, tutta la sua presunzione, tutta la sua colpa. E invece, vicina, era diversa. Ne ha conosciute da vicino Gino Rocca, il cui Terzo amante sta per uscire in volume, coi tipi di Treves, dopo numerosi successi peninsulari ? Certo. E s'indovina. Rileggo il libro, dopo aver ascoltato la comme dia, e risento il timbro del confes sore fedele. Or son quindici, venti anni, ne ho conosciute anch'io: < vi dico che nell'intimo, spesse volte il più delle volte, la canzonettista era quale Rocca testimonia. La stessa enormità della sua presunzione diceva la sua puerilità. Accostandole con animo mite, si scopriva fa cilmente la sua mitezza, così mal vestita di spavalderia. Era davvero, a saperla intendere, la buona figliuola del Terzo amante. Prima di diventare abitudine, lucro e pretesto, la canzone doveva essere stata per lei un rifugio ideale, una figura di casta e adornata libertà. Quello stesso birignao che ci faceva ridere, il cuore lo capiva come un altro sintomo d'innocenza. Era un segno di esagerazione : e a vent'anni non si sente, se non si esagera. Cantando, anche con quei brillantacci addosso, ella si commoveva veramente, veramente comunicava. E forse più franca era la confessione della sciantosa nel suo stornello, che non della poetesa nel suo libro, della dama nel suo cembalo. Sfilavano in quelle canzoni idiote, ora quasi tutte defunte, il morettino, il soldatino; e qualche volta anche un giovine pallido, ignoto, forse studente, certamente bisognoso. cSono studente e povero» aveva-cantato un bel signore a Gilda: per illuderla, per innamorarla. La buona figliuola dell'abbaino, si ricordava anche del Rivoletto. «lìcl soldatin che passi nella viav, diceva la canzone: e la sciantosa si metteva sull'attenti, salutando il suo guerriero. «Una capanna e il tuo cuore » : e si picchiava il pugno sui rasi del corsetto, dove però un cuore batteva, salutando il pitocco, noto o ignoto, venuto o di là da venire, dell'anima sua. E c'era chi, allora, l'ascoltava. Giovine. Pallido. Studente. In buona fede. Lo studente, come il soldato, attraeva il semplice cuore di lei. E per lo studente, come per il soldato, olc4 per l'essere nuovo e sano aucor«w in condizione di- crederle, ella non era più la sciantosa insolente e diffamata: ma il pianino del «Variété » si trasformava in una tiorba da corte d'amore; ed ella era ancora, fatta donna, il vagante bardo medievale che porta le canzoni come il vento il polline, dispensiere di melodia per chiunque ne bisogni. Creatura d'elezione, dunque: ben distinta dalla turba cui essa non concedeva, in fondo, che dei sorrisi o qualche lembo di nudità. La canzone, no. La canzone toccava a chi aveva cuore d'intenderla: a chi ne era commosso, e degno. Allora il giovine pallido appariva alla donna luccicante il gentile ingenuo, all'ingenua perduta. Si guardavano. Si capivano. E un giorno, 'ci parlavano. Questo idillio tipicamente fin de siede l'ha raccontato in Italia, per la prima volta, Annie Vivanti : non posso dire quanti anni fa. E' durato sino alla guerra. Gino Rocca ora ne ha ricercate e ricucite le trame, con quel suo gusto d'evoca zione ch'ebbe sempre, amoroso e preciso, fin nella sua prima gioven tù. Nel Terzo amante, ecco che l'i dillio torna a risuonare su quel pianino di « Variété » ultimo destinato ai canti dei menestrelli. Figure scomparse, ho detto. Ombre d'amanti. La canzonettista, fu l'ultima specie della peccatrice provvista d'una scusa, cioè d'un pudore. Lo studeute povero, l'ultima incarna zione del giovine malato di nostalgia e bisognoso di sosta: là dove oggi, in odio a ogni indugio, è rapido, risoluto, sportivo, militare, vagheggiale una canzone quanto tempo gli basti per accendere un motore, 0 una sigaretta, e partire. Non ci sono più cancelli oggi pel giovine, ricco o povero: ma allora D'Annunzio aveva celebrati i giardini chiusi : e il teatrino della canzonettista, diceva appunto Annic Vivanti, era il prato dai fiori gialli, dai fiori velenosi dove a lei avevan proibito, fanciulla, di porre il piede: e dove 1 giovani andavano, forse di frodo, un po' attossicati un po' incantati, a respirare vizio, canzone, fiore giallo, giardino chiuso. Per questa fatalità, tipica del tempo, lo studente povero s'incontrava un giorno con la divetta ingioiellata: c l'i- dillio nasceva, spesso mesto, spesso stolto ; idillio che per trenta o quaranfc'anni, sino al 1914, fu testimoniato, si può dire, a un modo egua'e in tutta Europa, dai sonetti di Ugo Ricci alle vignette della Juffend. Segno, davvero, del tempo : come il colletto alto, lo stile liberty, i baffi alla Guglielmo, il suicidio in due. Finche tuonò la cannonata. E fu differente la canzone. Ma l'idillio era senza gioia. La buona ragazza e il giovine gentile non* avrebbero a lungo potuto intendersi, dove la canzone era un impulso, ma anche un pretesto. Bruciava nel breve amore quel tanto di schietto e d'ingenuo che ardeva nel ritornello : poi stridevano le scorie, e l'amore finiva. Colei che per un momento aveva cantato com movendosi, e colui che per, un mo mento, commovendosi, s'era fermato ad ascoltarla, si dicevano addio sulla soglia di qualche «Pensione Iris», tenuta con molta burbanza da un ex-brigadiere di Pubblica Sicurez za, calabrese e cavaliere, e frequen tata da ogni soTta di passanti : savi e mezzani, scrocconi ed imbecilli, pagati e pagatori, promessi all'apoplessia, cavalieri di grazia con le rasoiate gaudenti dell'angiporto sul collo. E dunque i due, come nella bella commedia del Rocca, si dicevano addio: poi che il giovine povero sopraggiunto capiva subito di non poter restare, se non uscendo dalla propria miseria o dal proprio onore. Questo era l'epilogo, sollecito e inevitabile. Questo era il dramma Non pagante nè pagato, non in cubo nè succubo, non amante da sacrificare nò amante cui sacrificarsi; non mantenitore, in una parola, nè ruffiano, il «terzo amante» capiva l'assurdità del proprio stato. Stato di grazia, e però insopportabile appunto per la sua perfezione ideale. Come tutte le donne che ricevon denaro da qualcuno, la canzonetta sta dava denaro a qualche altro: schiava, nello stesso tempo, di chi pareva schiavo, e despota di chi pareva padrone. Disprezzato, in diverso modo, e l'uno e l'altro : anche se per l'uno c'era della gratitudine, per l'altro della rinuncia. Il terzo, il sopraggiunto, non chiedeva che d'essero amato .per sè. Tra il provveditore e il saccheggiatore, appariva egli un giorno con una rosa in pugno. Gittato il fiore, restava la nuda mano, quella che non poteva nè offrire nè portar via, nè vestire nè spogliare :. e quella mano era tesa alla donna, alla cantatrice, con tutta la schiettezza d'un sentimento che offriva finalmente all'amore una eguaglianza, cioè una dignità. Era, questo «terzo amore», il solo rifugio possibile tra due corruzioni: ma era come, in una bilancia, il punto atomico dell'equilibrio: c chi può rimanere in bilico su una vetta? Allora l'idillio s'offuscava nel punto stesso in cui rifulgeva; l'equilibrio rompeva o da un lato o dall'altro. La donna offriva un sacrificio o ne esigeva; voleva essere incubo o succubo — succubo, quasi sempre — e guastava tutto. E allora il giovine povero s'infamava; o partiva. E' ancora, si dirà, il caso di Ma non. Sì: l'eterno caso della monda na, la cui vera maledizione sta nel l'amore impossibile. La fatica di Gino Rocca consiste nell'averlo precisato in un tempo. La fatica, e l'arte. Egli è riuscito, con finezza mirabile, a distinguere i protagoni sti dell'eterno idillio doloroso tra quella fine e quel principio di se colo in cui, come dicevamo, la canzonettista fu un tipo; e così lo studente patetico. E avvicinandoli e disgiungendoli, Ro :ca è riuscito a dirci, a rivelarci qualche c"°a che di quel tempo era assolutamente drammaticamente proprio. Tempo ibrido. E ibrido era il giovine di vent'anni che indugiava nei avariétés » ; ibrida la canterina che aveva sulle labbra i canti della passio ne, intorno al collo gli ori del mercimonio. Canzonettista la volle il Rocca, appunto perchè il dramma si determinasse esatto nella sua cor nice. Fra tutte le sue volgari bra mosie, carrozze alla porta e villa sul lago, c'era quel bisogno di sfogarsi in una romanza, apoteosi del biri r/nao. Tra i suoi turpi gioielli, c'era quella lagrima. A chi offrirla, se non a chi non ha nulla, oltre il cuo re trepidante e l'anima scrupolosa? Ma non può. Tra il primo e il secondo amante, la sorte le ha già fissato il suo posto per il suo cammino. Essere pagata, e pagare Quanto alla canzone, è il suo mestiere. Ella non ha divitto d'iute narne, nemmeno una per sè. E' un lusso escluso dai contratti del « Variété », dalle consuetudini della «Pensione Iris», dal ritmo e dallo stile, dalle condizioni e dalle costrizioni del tempo. *** Nè pagante nè pagato. Ecco la vetta. Ecco la difficoltà. Al primo ritrovo, la donna che ha degli smeraldi in dito e il giovine che ha dei sonetti nel borsellino scoprono la prima difficoltà. Chi pagherà la vettura? Il giovine, s'intende. Ma quelle poche lire sono forse tutto il suo avere. Demani, tornando al l'appuntamento, ci si tornerà in tramwayt Sgomento di lui. Sgomento di lei. Dalla ribalta ov'ella esulta, ov'ella trionfa in squilli di canzone, non si passa senza dissesto, o almeno senza fastidio, alla piattaforma d'un tram. Manon poteva an cora seguire Des Grieux nella sua capanna ; Mimi, Rodolfo nella sua soffitta. Margherita già più non avrebbe potuto, per non sciupare le sue camelie; nè questa può, che col tmadro» e i cagnolini e i brillanti, è seguita, come da un corteo di paggi, dalle sue musiche trillanti. E' un misero, ridicolo corteggio, se può trovare albergo in una «Pensio¬ mcpPssolsstrtfvqdèuidepMsldsdnzdsamlmsgecdtdmrcdnvpzbflnpcmtdmlurvqspVbmspcmcluetrmislfiruplpEnndicnutfgcsmbpssbds ne Iris»: ma come pretendere che questa piccola donna distingua ii vero lusso dal falso: ella che saluta il bel soldatino dei suoi ritornelli mettendosi sull'attenti, che si picchia 'o core con tutti e due i pugni per dirci il sospiro dell'anima sua? Per non portare la divetta — non si chiamava così? — alla bettola o sull'omnibus, il giovine s'indebita, oppure la donna si mortifica. E' già lo squilibrio. Ma non è soltanto lo squilibrio economico. C'è poi quello sentimentale. Questo amante è il terzo della serie. E gli altri? Si libererà ella dell'uno? Dell'altro? Di tutti e due ? oppure tutti li serberà, forzando il giovine educato, il giovine puro, ad allinearsi nel tristo quadrilatero? Ma egli è povero di denaro; ed ella, la buona figliuola, è povera di sensibilità. Cioè ne ha una tutta sua, ventenne, squillante, ignara, negligente: una sensibilità da canzonette. Forse, quando canta, egli se la sente tutta vicina, tutta per se. E quando Io bacia, anche Ma il ritornello finisce e le braccia si sciolgono. E sopravvengono quel le ore, penose o deliziose, a seconda dei termini, in cui gli amanti pen sano, sentono irresistibilmente di dover integrare la propri? comunio ne oltre l'ora d'illusione o d'ebbrez za. E' l'amore che cerca, sotterra, delle radici. E scava, ansioso : e spesso trova una fossa. Non bastano allora, a lei, i centesimini di lui; ma soprattutto non bastano, a lui, le canzonette di lei. Dovrebbero, come tutti gli amanti, chiedersi un sacrificio. Non possono. Egli è legato alla sua indigenza onorevole, eia alla sua ignoranza leale. In quel canto e in quel bacio ella gli avrà dato proprio tutto quello ch'era dentro di se. Resta il corpo da vestire, da mettere nella villa sul lago e in carrozza. La semplice donna non vi rinuncia. Come potrebbe? Torna quindi a quel primo amante che la veste; e necessariamente a quel secondo che la spoglia. Incapace di trattenerla, il terzo se ne va. »*• Se ne vanno, ognuno pel suo destino, come due navi che non si fermano, che non possono fermarsi oltre il balenante saluto. Se ne vanno: egli dall'oscurità del suo bisogno verso un avvenire certamente luminoso; ella, dal fulgore effimero della sua piccola ribalta verso una probabile, obliata oscurità. Nel Terzo amante, che adesso alla lettura si perfeziona, Gino Rocca ha fatto del protagonista anche un poeta, per potergli mettere in cuore nell'ora dell'addio, oltre a un mesto presentimento della sorte di lei» una sicura fede nella propria. E' l'ultima grazia della commedia, che ne ha tante. Egli ha i suoi libri. Ella non ha che i suoi gioielli. Parrebbe sacrificato il giovine povero. E' invece la bella donna, coi suoi due schiavi e padroni, che nell'epilogo s'adombra, per sempre. Vediamo, dopo la breve avventura di viaggio, la nave scomparire all'orizzonte in quel silenzio in cui muoiono tutte le canzoni. "Un attimo, dunque, è fermato nei tre atti. E un'ombra. Il dramma, ripeto, appartiene a un tempo di giovani timidi e di cortigiane canore. Defunti sospiro e canzone nell'amore che oggi ci resta, riascolteremo, o rileggeremo, questo dram ma come una favola, lontana da noi anche se essa toccò alla nostra stessa giovinezza; anche se il nostro cuore, incapace di riviverla, può ri cordarsene appena. Marco Ramperti

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