Centomila pellegrini al Santuario di San Pancrazio

Centomila pellegrini al Santuario di San Pancrazio Centomila pellegrini al Santuario di San Pancrazio cronache, certo Andrea Casella era intento a falciare l'erba in un suo praticello, 6ituato a qualche chilometro da Pianezza. Verso mezzogiorno sua moglie gli portò il desinare; egli, assorto nel suo lavoro, continuava, con ampio gesto nella falciatura. Ad un tratto, con un colpo netto, feri gravemente la moglie alla gamba sinistra, a metà dello stinco. Cadde a terra la misera donna, perdendo, dalla ferita, gran quantità di sangue, mentre il marito, disperatosi di fronte a tanta sciagura, non sapeva come soccorrerla. Già quella infelice sta per soccombere, quando tutto attorno, comincia a risplendere una vivissima luce e una meravigliosa apparizione colpisce i loro occhi. Un giovinetto, bellissimo nel sembiante, pieno di maestà e di candore celeste, s'avanza. Il costume delle sue vesti è quello degli antichi guerrieri romani. Con dolci modi, solleva la donna boccheggiante, incuora 11 desolato marito, e assicura, loro un aiuto celestiale, purché facciano voto di fabbr.icftre in quel luogo una picocla cappella votiva ni martire San Pancrazio, venerato dalla Chiesa appunto in quel giorno. Ciò detto, scompare. I coniugi, riscossi dallo stupore, 6i affrettano a riconfermare il voto al Cielo, e istantaneamente la gamba, gravemente ferita, guarisce. Coma sorse fi Santuario Dopo qualche tempo successe pprò "che il Casella trascurò di adempiere la promessa; accadde allora un nuovo prodigio, quasi a riconfermare il primo. L'anno seguente, nel giorno e nell'ora stessa, anzi nello stesso luogo, la donna, con indicibile dolore, senti all'improvviso, riaprirsi la ferita. Il marito corse allora dal Parroco, il Quale, seguito da molta gente si recò sul luogo, e constatato il caso, esortò 11 Casella a rinnovare il voto. Questi obbedì con tutto il fervore della sua fede e la donna ritornò perfettamente sana. Si affrettò questa volta il Casella a compiere il voto: ma la sua fede non fu grande come grande era stato il prodigio. Temendo che l'accorrere della gente danneggiasse l'erba di quel suo praticello, invece di costruire la cappella sul luogo della apparizione come avpva promesso, prese a fabbri caria sulla strada vicina. Ma lutto quello che di giorno era innalzato, gli accadeva di ritrovare trasportato di notte, sul luogo dell'apparizione. Vinto dal nuovo prodigio, s'indusse Analmente a fabbricare il pilastro.votivo, dove gli era apparso il glorioso Martire. Di questi prodigi presto si sparse ampiamente la fama, e quel sacro luogo venne sempre più guadagnando in celebrità, divenendo meta di pubbliche e frequenti processioni e continui e devoti pellegrinaggi. Intanto, intorno a quel primitivo pilastro, venne presto edificata una chiesetta, che per lo spazio di duecento anni, restò affidata alle cure di pn romiti. Crescendo sempre pia il numero dei devoti e dei favori celesti ottenuti per intercessione di San Pancrazio,, sorse la necessità che il Santo avesse un tempio più degno. Il marchese di Pianezza. Carlo Emanuele ■Filiberto Giacinto di Simiana ne sarà il munifico fondatore. Una pagina di storia piemontese Dagli splendori della Corte sabauda e dal fastigio della potenza attraverso un calvario di inenarrabili ambasce, fino alla morte nel ritiro conventuale, la vita del Marchese di Pianezza ci appare, nella verità storica, come un tragico romanzo. Nato l'anno 1608, nella capitale del Piemonte da Carlo Simiana, signore di Albignv e da Matilde di Savoia, restò orfanoP IlSpadre °suo, infatti, già Governatore e Luogotenente generale degli Stati al Savoia al di là delle Alpi, imprigionato per ordine del cugino il Duca Carlo fcinanuele 1, misteriosamente venne giù siiziato in una torre del Castello ai Moncalleri il 17 gennaio 1608, senza più rivedere la sposa e ignorando che il suo casato non si sarebbe spento con lui. La giovine vedova tutta si dedicò all'educazione dell'orfano fino a che, riconosciuta l'innocenza del suo sposovenne richiamata a Corte; e all'erede del Simiana si affidarono gravi e delicati uffici ch'egli seppe ricoprire con saggezza e rettiiudine. Ma la fine angosciosa del padre, rivelata dalla maare al giovane Carlo Emanuele, quando questi tu giudicato atto a comprenderne tutta la triste realtà, gettò come un'ombra di mestizia su tutto il suo avvenire. Il marchese di Pianezza passava intanto ai servizi della Reggente Maria Cristina di Francia, più conosciuta sotto ii titolo di Madama Reale, e, assistito sempre dalla fortuna, giungeva ad essere, di successa in successo, arbitro del Governo e dello Stato. Scrittore eccellente, alternava le gravi cure agli studi prediletti, componendo apprezzate trattazioni filosofiche e teo logiche e libri di ascetica. L'andare rlegli anni accentuò nel Pianezza l'amore alla solitudine. Con la perdita della consorte, Giovanna Arborio dfjatnnara, avvenuta nel 1G55, egli tolse commiato dalla Corte, si spogliò u" tutti i beni per investirne il figlio, ì marchese Carlo di Livorno, sposato alla Principessa di Monaco, e depose ogni carica, la spada e le insegne ca \alleresclie. 11 l.o luglio 1647, con so tenne cerimonia, egli diede ai Monac\gostiniani una cappella, nreiui nel suo : indo fin dal 1450, in onore di San Pancrazio, dal contadini Casella, in secuito ad un voto; oltre ad un ampio ■ terreno circostante largì loro la somma necessaria per edificavi una chiesa e pe il mantenimento di dodici frati. Pareva poi fabbricare il Convento, riservando per sè una piccola casetta, pres dini immense da ogni parte del Piemonte. Le grazie del Santo Ma 1 tempi si fecero tristi, per il Santuario. L'invasione francese cacciò dal vecchio Convento gli Agostiniani scalzi, che l'avevano tenuto fin dalla fonda: ztone. Uopo un periodo ut incuria e qi abbandono una disposizione di S. E. il cardinale Aritnonda, Arcivescovo di To« rlno, chiamava nel 1885 ad officiare ed a custoaire il celebre Santuario quei Religiosi che il popolo chiama i Missionari della Passione di Cristo. Umili, semplici, mansueti, vestiti di una rozza tonaca nera che porta il segno del Cuore divino, con il motto di Cristo, Ri» austeri frati vivono una vita di espiazione, secondo la severissima Regola, dettata dal Santo che istituì questo singolarissimo Ordine, sparso ormai non solo in Europa, ma anche in America ed in Oceania. San Paolo della Croce — severa tempra di piemontese — segnò ai suoi frati tutta una giornata di la voro e di preghiere; e volle che la not te essi lasciassero il rude giaciglio e si raccogliessero in chiesa per invocare la misericordia del Cielo. Lo zelo e l'austerità della Regola dei Passionisi fece rinascere la tradizione dei pellegrinaggi all'altare del Martire. Ma la chiesa primitiva, cosi come è oggi, non riesce più a contenere le folle delle sagre. Occorre un Santuario monumentale per che venga restituita al Convento Passionista la sua piena efficenza storica. Fino a pochi anni fa, gloria del santuario fu, si può dire, solo quella che veramente costituisce un Santuario: le grazie che San Pancrazio andava dispensando a chi a Lui faceva ricorso. Ne fanno fede gli ex-voto di cui sono letteralmente coperte le pareti del San tuario, il numero stragrande di stam pelle e di apparecchi ortopedici che for mano una vera catasta. A tutti San Pancrazio estende la sua protezione. Al contadino che ha il be stiame ammalato e che invoca la piog già sui suoi campi; al soldato sul campo di battaglia come al prigioniero di guerra nelle dure sofferenze dell'esilio; al marinaio che solca il maro come all'aviatore che si cimenta nell'aria; al bambino come al vecchio; all'operalo come al ricco, al disoccupato come al l'infortunato. Contro tutte le malattie egli fa valere la sua potenza risanatrt ce. Basta ricordare, infatti, quelle Sa gre di Maggio che traevano le genti pie montesi da tutte le valli e da tutte le montagne a gremire la pianura circostante al Santuario, dove trascorrevano l'intera notte della vigilia in canti ed in preghiere, per invocare la guarigione degli storpiati, dei paralitici, degli ossessi, accompagnati dai parenti anche da lontanissimi luoghi. Benché risenta il peso del secoli, cosi come è oggi, il Santuario non è privo di pregi artistici. L'altare del Sunto in marmo e gli affreschi sulla cupola della cuppeila sono ammirevoli. L'organo con l'ampia orchestra costituisce un bel lavoro in stile gotico. Va ricordato fra gli altari marmorei, quello maestoso di San Tommaso di Villanova, eretto nel 1764. 11 concerto di nove campane non ha eguale in.tutta la regione. Le severe linee architettoniche della facciata ricostruite si impongono. Ma dal XVI anniversario del martirio di San Pancrazio celebratosi nel 1893, fu necessario progettare un santuario più grandioso. Il nuovo santuario sorgerà secondo uno stile arieggiarne, come gli ampi portici già costruiti, il lontano gotico toscano, nel desiderio di inspirarsi alle chiese toscane ed umbre e i riallacciarsi alla pura arte costruttiva cristiana. La Sagra del 12 Maggio La straordinaria affluenza di fedeli Il concorso delle turbe accorrenti, ha superato quest'anno ogni aspettativa. 1 buoni Padri Passionisti hanno calcolato che circa centomila pellegrini siano discesi al Santuario. Forse il doppio dell'anno scorso. Tutti i dialetti erano parlati; tutte le regioni subalpine erano rappresentate. Dalla Valle d'Aosta, alla valle di Susa, alle Valli di Lanzo; dal Canavesano, alle Langhe; dall'Alessandrino al basso Piemonte sono giunte comitive in devoto pellegrinaggio, a piedi, coi barrocci, con ogni sorta di mezzi. Dalle primissime ore del mattino, quando il santuario fu aperto, fino alle tarde ore del meriggio la Chiesa fu gremita fino all'inverosimile. Impossibile l'entrarvi, impossibile l'uscirne. I ventiquattro padri del convento si sono prodigato. Hanno accolto, ascoltato, confortato tutti i richiedènti. La città turbinosa pareva lontana, dimenticata. Spirava una sana aria campagnola, l'aria delle nostre buone campagne piemontesi. La gente a gruppi, a crocchi, su per un'ampia distesa verde, bivaccava tutt'attorno al Santuario. 11 carro, il « barroccio », diventava il desco familiare su cui si consumava la refezione meridiana, e la mangiatoia, su cui il mulo, 11 cavallo, l'amico fedele insomma delle fatiche e delle ore serene, consumava la sua razione di erba paesana, un po' ingiallita dal primo caldo del maggio e dalla polvpre della lunga strada percorsa, ma pur sempre odorosa e saporosa. Una letizia schietta e limpida era sul volto di tutti, la fresca letizia di citi è in pace con Dio cogli uomini. Poi, nelle ore quiete della siesta, : gruppi e i crocchi si stringevano, si fa cevano più intimi. Le fisarmoniche e le chitarre accompagnavano le canzoni della montagna e della pianura, non urlate a squarciagola, ma cantate con garbo, quasi con un certo quale rispetto Il capoccia del coro villereccio cantava della « bella campagnola . bella come una stella che il villano a tutti i costi, voleva sposare, per portarsela poi via, lontano, chi sa dove...