Volo in Africa di Ernesto Quadrone

Volo in Africa Volo in Africa (Dal nostro inviato) r TOBRUCH, maggio. «Ori, cari*, settebello 11 mio collega conta i punti della * tersa mano» di una interminabile partita a scopa impegnata con me, su uno dei tavolini smontabili della cabina, Qn dal momento in cui il Superwal, sorvolato tra raffiche di vento l'ultimo lembo dell'isola di Candla, si è lanciato sul mare aperto, entrando a centocinquanta all'ora nel magico, solenne cerchio dell'orizzonte. Le alterne vicende del giuoco subiscono delle lunghissime pause, durante le quali la fantasia un po' eccitata si esercita a creare e a sciogliere sogni e fantasticherìe. Lasciando cadere le carte sul tavolo, ci protendiamo di tempo in tempo uno verso l'altro, gridandoci nelle orecchie inflocchettate di batuffoli- di cotone idrofilo, le reciproche impressioni. La conversazione dei viaggiatori aerei è quanto mai slegala e bislacca. Ad essa fanno da interruttore, con una piacevole e morbida pesantezza, a pigrizia dello spirito intorpidito, il leggero e delizioso stordimento, che forse proviene dall'altezza o dalla veocita, il rumore dei motori, che spezzano parole e periodi. L'aviatore di mestiere non va naturalmente soggetto a questi piacevoli fenomeni psichici: egli ha l'atto l'abitudine al volo ed ha per il capo, altre cose ben più 6erie, che lo occupano e preoccupano. Il passeggero è invece un serafico poltrone, che si lascia ciondolare, appeso al filo teso della volontà del piota, e che può concederei quindi il lusso di ammazzare il tempo come meglio crede. Dirò che in volo il tempo non ha bisogno di essere ammazzato; si ammazza da sé, e non si sa come riesca a suicidarsi con tanta scioltezza e rapidità. Tre, quattro, cinque, dieci ore di volo, anche se consumate su uno dei più monotoni paesaggi, non provocano mai il senso della noia. 11 vuoto e lo spazio, che son così densi di solitudine, si popolano ài lantasmi; una leggera, piacevolissima febbre riscalda e dà vita ai più strani e labili pensieri che sorgono quasi sempre da cose e da episodi nsignificanti. Mi è parso, ad esempio, In altra occasione, che diciannove ore di volo — le fermate comprese — non fossero state_ che la continuazione di un sogno iniziato tra 1 cuscini di piuma di un letto berlinese. Partito alla punta del giorno, e ancora tutto assonnato, dal colossale Aerodromo di Tempelhof, ho bevuto quasi ancora ad occhi (.'hiu6i, il cioccolato a Monaco, ho fatto colazione a Venezia, ho preso il tè a Roma, pranzato a Milano, e mi son coricato alla sera, nel letto di casa mia, a Torino . lo spaz p e il tempo erano stati divorati dalla velocità turbinosa senza che me ne accorgessi e alla porta dela mia camera si affacciavano contemporaneamente nella mia fantasia esalata, 11 facchino prussiano che mi aveva svegliato e la cameriera piemontese che mi recava la valigia. Tale viaggio nsomma era durato per me un minuto; eppure non avevo fatto altro che guardare assonnatnmente, durante 11 volo, la schiena atletica di Pasquali l. pilota del Junker che fa servizio giornaliero tra Venezia e Vienna e che in quell'occasione aveva deviato a rotta di qualche migliaio di chilometri. A bordo di un Super-Wal ci sono però, se non bastassero quella di una partita a scopa, altre infinite distrazioni: st passeggia nel corridoio delle due cabine capaci di ospitare venti viaggatori; si osservano attentamente senza capirne niente, e magari \enti volte consecutive, le carte di navigazione; ci si cambia senza nessun moivo il cotone delle »reccnie; si «rr,ve su un quadernetto una tra-e tropi o unga e complicata por poter e:!ere gridata al compagno di volr e si stle nella carlinga dei due piloti a conversare con quello che si gode :1 mio turno di riposo. II. primo pilota della valigia delle ndie e l'ingegnere capitano Ravazzoni. Ultima sua impresa: 150.000 chiometri di esplorazione sulla calotta polare con un « Marina I » alla ricerca di Amufidsen. Un asso. Lo descrivo perchè il passeggiero che el imbarcherà su un Super a fienova per compiere una gita ad Alessandria d'Egitto lo riconosca subito e gli siringa con rispetto la mano. Ravazzonl è Piccolino, mingherlino, tutto nervi e volontà, timido come un uomo qualunque. L'ho battezzato in cuor mio la violetta'del mediterraneo». Quando non ha le mani sul volante le" ha in asca. Sul seggiolino della carlinga il 6uo profilo diventa severo e duro co¬ me quello di un imperatore In tempo di sommossa popolare. Possiede il senso dell'orientamento come quello della rondine emigratrice e allorché, con l'aiuto di una squadra ha tracciato sulla carta topografica la rotta da seguire, non la sbaglia di un metro. L'ho sorpreso durante una delle mie visite, tutto intento a misurare le ore di luce ancora utilizzabili per scendere a giorno chiaro nella baia di Tobruch. Il metodo che usa Ravazzoni primitivo, ma Infallibile. Tende il braccio, chiude il pugno e lo punta al margine del sole. Tanti pugni separano questo dalla linea dell'orizzonte tante sono le ore di luce; tante son le nocche, tanti sono i quarti d'ora che precedono 11 tramonto. Non sbaglia nel computo di un sol minuto. ■ Scopa!» La partita impegnata col collega seguita placida e senza dispute. E diffìcile d'altronde ingaggiare una discussione a bordo di un idrovolante; i motori si incaricano, con la loro voce possente, di mettere fine ad ogni diverbio. I maTiti possono dunque offrire una passeggiata aerea alle consolli senza tema dell'inevitabile battibecco di viaggio. Inevitabile come 11 cestino, 11 giornale illustrato e la cappelliera... La «quota» affratella gli animi. All'imbrunire ecco la costa africana. L'Ireos (tale è il nome dell'idrovolante) Mia velocemente verso la spiaggia fulva e la raggiunge con un balzo: sull'aria -rarefatta dal calore della terra l'apparecchio precipita di una cinquantina di metri e riprende docilmente la linea di volo. I primi fuochi dei bivacchi beduini accentuano qua e là lai solitudine me lanconica e poetica del paesaggio; la tomba di un santone, un .marabutto» con la sua cupola tondeggiante mette una' nota «vuota» nella pianura desertica. Il gelido segnale della morte sparisce rapidamente dietro di noi, si affonda nella terra rossiccia e l'aria notturna lo cancella con una carezza già tutta tremante di stelle imminenti. Tobruch 6 costellata di lumi. Una doppia fila di lampade elettriche luccicano nelle strade invisibili come bottoni della tunica di un ufficiale co loniale. La baia profonda, il più bel porto naturale di tutta la Libia e che può comodamente ospitare un'intera squadra della marina da guerra, si allarga sotto di noi, man mano che di scendiamo, profonda, azzurra... Ieri eravamo ancora a Napoli, tra il frastuono della maliosa città mediterranea, (mesta mattina abbiamo salutato il sorger del sole dal poggio del Pireo, a mezzogiorno, a Canea, camminavamo ancora sul soffici tappeti della villa del console Toucher, alle otto di sera siamo stati invitai! a pranzo dal commissario, capitano Ragni, che sull'ultimo lembo della nostra colonia rappresenta fino al confine egiziano 11 Governo d'Italia, e poco dopo, al circolo, ci inchiniamo alle gentili signore coloniali... Gentili e coraggiose signore che parlano fieramente un linguaggio cosi diverso da- quelle con le quali abbiamo bevuto il Cocktail al bar dell*» Excelsior». Un linguaggio che ci fa precipitare un'altra volta nel meraviglioso, fiabesco episodio di volo. — Domani — mi dice una di queste con pacata naturalezza — le presenterò mio marito. Oggi non è rientrato; ha avuto delle grane con i ribelli. Le grane sono le schioppettate. I sibili della « piccola folle », la pal'lottola sperduta, si mescolano con disinvotura alla conversazione... II canto del Muezzin si innesta più tardi, nella memoria svagata, all'ultima canzone di Piedigrottoi udita al Ristorante del « Bersagliere »... E tutte e due risuonano nel mio animo con la medesima accorata melanconia. Il mondo che ci è sempre parso così vasto è ormai legalo dalla fitta e leggera trama di migliaia d'ali che lo percorrono velocissimamente da un capo all'altro recando in groppa esseri umani... ed è diventato piccino... Mentre un arabo, un Mohamed qualunque rimbocca le coltri al mio iettino da campo rivolgo una domanda al commissario Ragni che mi ha gentilmente accompagnato. — C'è ancora la guerra, in colonia?... — E' Anita da un pezzo — mi risponde battendo il frustino sugli stivali. — Domani andremo nell'interno... Rimasto solo, chiudo gli occhi e la fantasia inebriata Ticomincia a lavorare, scendendo p discendendo dal cielo alla terra... L'altro ieri a Roma... domani nell'interno della Cirenaica... il tram elettrico e il cammello... Mohamed dorme sull'uscio della casetta che mi ospita e nella mia valigiai c'è pigiato l'abito di società per una serata mondana al Cairo... Ernesto Quadrone.

Persone citate: Junker, Ravazzoni