Luci e ombre su la Rambla

Luci e ombre su la Rambla POLIEDRO SPAGNOLO Luci e ombre su la Rambla BARCELLONA, maggio. La più grande piazza di Barcellona bì intitola alla Catalogna, non lai la Spagna. E' immensa e irregolare, creata Hall'incrocio di nove strade come un Jago dal gorgo di nove fiumi. Edifici altissimi e bassi con gli Scheletri delle reclame luminose, proiettano da' suoi margini sghembi ombre discordi, e levano al cielo nuvoloso coronamenti di gusto spagnolo, Icupole di stile classico torricelle di reminiscenza francese. Ogni fregio è un omaggio alla civiltà europea di Parigi di Berlino di Roma. Tra i taxi americani e gli 'autobus rossi presi ai Boulevards e si Ring i vigili a piedi e a cavallo misurano la velocità e il tempo della circolazione con gesti flemmatici di policemen londinesi. Statue di donne nude d'un motivo iWiener-Werkstàtte circondano come sentinelle il giardino centrale, di fontane e di balaustre, dove marmocchi d'ogni età e criade stanno al riparo dai veicoli. Una tenerezza di giovani alberi che cominciano a rinverdire trema su questa isoletta circondata dalla corrente dell'occidentalismo. Esse vi portano intorno con le schiume i suoi rombi e i suoi rot tami. Nelle insenature dei'Caffè, all'ombra delle tende, quella vertigine si placa in un'acqua morta di contemplazioni silenzioso schiettamente spagnole. Chi legge La Vou, o La Nati di Barcellona o El Sol di Madrid si fa lucidare le scarpe come chi sorbisce la occhi chiusi una bevanda di Orchata gelida e opalescente. Mentre venditori e le venditrici delle cartel ile di tombola vi agitano dinnanzi agli occhi il biglietto e la speranza ideila fortuna. Una nana, dalla fac eia gialla e legnosa serrata in un faz soletto nero, ostenta le cartelle della tombola appuntate sul seno imbottito. Dietro la sua deformità goffa Idi strega, oltre la sua voce querula e malaugurate s'alzano nuvolaglie di polvere, colonne di luci, s'interseca no e si distruggono piani di velocità icolorate. Tumulti di cavalli lanciati lai galoppo, schiere di soldati in mar eia rapiscono ogni apparenza di soli dita alle pietre agli asfalti. Si direb be che queste costruzioni colossali so no da Fiera e domani verranno smontate, caricate su furgoni, ricreate altrove per la frenetica gioia dei ca talani distruggitori e costruttori, trasmigranti e immobili, attaccati ai privilegi regionali e aspiranti alla conquista del mondo. Intanto un contadino arrivato in bicicletta dal suo « pueblo », tenendo una gabbia di piccioni sul manubrio, una gabbia di tortore sul parafango posteriore, e due piccioni sciolti sulle spalle, attraversa impassibile il tumulto come un equilibrista che varchi il Niagara sul filo teso. * * Ritorno alla chiesa di Santa Eulalia. Non conosco una cattedrale gotica più gelosamente murata: l'architettura interna delle sue volte è invisibile nel buio profondo. Creazione alla Rembrandt; dove l'ombra c un colore. Oscurità soffice e pesante che ingoia le forme e riempie lo spazio tra pilastro e pilastro. Gli smalti più diversi sono buttati in questo abisso avaramente e a caso: lucchichìo lineare di una canna d'organo, apparizione di una testa barbuta scolpita nel legno policromo e appesa a un arco, simile al trofeo di un* decapitazione. I vetri a piombo patinano di iridescenze le volte fin dove le nervature gotiche si annodano: qualche doratura di riflessi graffia gli intagli e i blasoni del coro. Dietro la Capilla Mayor nell'estrema curva dell'abside come sovra una prua, sola fiammeggia la cappella del Santo Cristo di Lepanto. Candore di fazzoletti sul capo delle donne, bianchezza dei ceri e delle candele che ardono : il vento, spirando dalle porte piega tutte le fiammelle verso la sacra immagine come se questa le attirasse. Le donne sono genuflesse sul pavimento e accosciate : la meditazione e la preghiera le piegano nel ritmo di una voluttà. Nella cattedrale sconfinata non appaiono vive che queste donne vestite a bruno: quando una si rialza la lu ce dell'altare si raccoglie sulla sua faccia pallida, l'ombra è piena di biascicate parole di fruscii come l'alcova di una notte. In alto, al centro della cappella, sui riflessi delle can dele che ardono e delle lampadine elettriche splendenti, galleggia, pen dulo dall'incrocio dell'arco, un modellino di galera, tutta armata d'alberi, coi remi protesi fuor degli sca lini. Mazzi d'ireos, di rose, di violacioc che si schiacciano moribondi contro i gradini come una debolezza che si Voglia mortificare. Il loro profumo si mescola a quello della cera cigolante; il paragone dell'alcova ri prende. Il cancello di ferro battuto, a spine e germogli, che separa la cappel la, è implacabile: sembra una griglia di prigione. La sua materia 6 domata dal colpo e dal fuoco. Ma il Cristo di legno brunito è più terribile di tutto: è veramente una Divinità al cui cospetto si combatte per la fede e si muore. Era sulla prua della nave ammiraglia nella giornata di Lepanto: lo recò a Barcellona Don Giovanni di [Austria, il trionfatore? Ha le palpebre abbassate, il capo tedine su una spalla; e le labbra sono suggellate dopo le parole della .disperazione: « Padre mio perchè non mi aiuti? » Dalla cintola alle ginocchia è avvolto dentro un panno di raso ricamato in oro: le gambe escono di sotto le falde, livide e mar(toriate. E a suoi piedi che sanguina Jift ei butta) tra» Madonna giovanis¬ a e sima, una ragazza del popolo, tanto teucra che non par la Madre del Divin figliolo ; ma la sorella. Piace di vederla così, umanamente rappresentata, davanti a quel Dio impassibile come un idolo. Le madri e le amanti che corsero al porto incontro alle navi reduci da Lepanto non erano pallide e scarmigliate, imbruttite dal dolore come questa effigie? Non le assomigliava quella che vide Miguel Cervantes mutilato d'un braccio salutare col moncherino dall'alto del cassero ? Una signorina piange: questa sì, viva. Soltanto nelle chiese spagnole si odono le donne piangere. E domani tutto sarà dimenticato, le architetture saranno crollate nella memoria, i fiori dispersi; non la carena della minuscola galera che naviga sopra le luci e le ombre. I singhiozzi muoiono contro la chiglia e nuvole dell'incenso imitano le on date. Si direbbe che il rumore del mare giunga attraverso la città a quest'isola di pietra. Cristo della vittoria, Cristo di Lepanto quelli che ti guardarono morendo invocavano la salvezza della fede e della nave, prima della vita, sui mari. **# — E' maschio? — E' maschio. — Es un <r canario flauta 1. — Fu premiato? — La razza 6 stata premiata al concorso dello scorso gennaio, qui in Barcellona. Es un tenor muy va liei} te. Il « tenore » giallognolo, col bec co aguzzo e la coda tremolante, non si decide a cantare: chiuso nella srab bietta guarda il venditore, guarda il compratore. Cigolìo, cantarellio m sordina, gorgheggio di prova che si frantumano tra i clamori della Rambla de estudios. Più lontano altri venditori altri compratori di uccelli : e quando le noliere finiscono incominciano le bancherelle dei fiorai. Una primavera artificiale si disten de fra i tronchi d'albero e le edicole, tra le edicole e le botteghe degli acquaioli. I fiori sono disposti a ven taglio a pennacchio, modellati in mazzi o composti in corone su bancherelle leggere còme costruzioni da prestigiatore o d* clown. Questo mercato di uccelli cantori, di rose di tra rofani di ireos, il mattino, a un pas so dalla Piazza di Catalogna, è una delle poche usanze superstiti di quante i romantici amarono. C'è una grazia leggera della fioraia nell'aprirc > petali della camelia o un'arto ne tornire il bottone della Tosa. E l'uccellaio modula un richiamo sommesso come se fosse in un parevo e il clamore della B ambia affollatissima non lo turbasse. La settecentesca chiesa di Beleràlì presso, con la sua leggera architettura barocco-gesuitica non è come una gran voliera di lusso? L'interno tutto dorato, cincischiato secondo una maniera che ricorda il dolciere sopraffino e lo scultore di presepi. Invano essa si vanta di conservare la spada d'Ignazio di Loyola: sembra più adattata a custodire le reliquie di una bella Santa, un po' mondana e molto aristocratica. Le griglie in ferro dorato sui matronei, di fianco alla navata maggiore, compongono anch'esse una Sgabbia per imprigionarvi canti feminei, delicate conversioni, misticismi ardenti. Da giovane era stato elegantissimo, preoccupato della buona cucina e della vita raffinata: era stato un architetto alla moda costruttore di bizzarre ville e di trionfali giardini. Negli ultimi anni divenuto un vecchio austero e religiosissimo, quasi un misantropo. Pranzava modestamente nella camera da lavoro ingombra di disegni e di progetti. Quando lasciava un momento i cantieri donde penzolavano i calchi di gesso e le sagome di legno, si recava in chiesa. Lo si vedeva sfilare nelle processioni per le vie di Barcellona, vestito di nero, a capo scoperto, con una candela in mano: r- capelli e la barba candidi, la fronte fortemente modellata rammentavano il viso di Vittor Hugo. Un giorno del millenovecentoventisei, mentre andava all'oratorio di San Filippo Neri, il carrozzone di un tram lo investì. Portato all'Ospedale di Santa Creu moriva due giorni dopo tra i poveri : fu sepolto nella cripta della Sagrada Familia, la sua cattedrale incompiuta. Ho voluto vedere questa mostruosità architettonica del ventesimo secolo. Ingombra con le due guglie alte come due fari e con un lato dell'abside gotica, le sole narti costruite, una vasta piazza del sobborgo di Barcellona. Le case intorno, lugubri e standardizzate, i comignoli delle fabbriche e le tettoie dei cantieri, accrescono il pazzesco anacronismo del tempio incompiuto dove una trentina d'operai lavorano medioevalmente a metter pietra su pietra seti za sapere se l'ultima sarà posta fra cent'anni o fra due secoli. Quell'ammasso di mattoni e di breccia s'addensa in linee e motivi, dove il lilcrty, il floreale e il gotico si accordano per creare l'inverosimile. L'edificio destinato a chiesa cattolica ricorda le costruzioni di officina e di esposizione elevate dal materialistico ottocento. Quando il catalano Antoni Gaudi mise mano alla chiesa, le fondamenta emergevano di poco da terra, ora le guglie superano i cento metri. Un delirio di policromie di contorsioni bizzarre e di rotti schemi, rivela i difetti di un'arte sproporzionata, la passione di una fede delirante. Architettura dinamica, scultura impres sionistica decorazione realistica o floreale accumulano sulle porte di una navata un campionario di tentativi coraggiosi piuttosto cUg realizzati. I oddlèmllilltsctcrlfaTcnitdpcnslttSpblsbcazm1idtmssGnuPsUaebptvposBcrcuaSptpsba piloni sono sorretti da la-rlaruglie e coronati da ciuffi di palme in luogo dei capitelli. Parole modellate si dissolvono tra voli scolpiti di colombe tra stalattiti e stalagmiti di pietra sopra fregi che raffigurano gruppi di'oche di galline di tacchini: la testa dell'asino e del bue sporgono tra ali d'angeli all'ombra di camaleonti colossali come rettili preistorici. Tutto è molle, sfumato, secondo un movimento di masse che sembra violare le necessità della statica e annullarle. Le reminiscenze gotiche scompaiono sotto la follia del modernismo : non rimangono, ammirevoli, che l'ostinazione la fede l'abilità (non l'arte) dell'architetto. Se una montagna può essere modellata da una sola mano, questa montagna babelica fu modellata da Gaudi. Egli ha tutto disegnato, tutto visto, tutto corretto: non soltanto l'architettura; ma la scoltura dell'interno e della cripta per la quale ha creato i confessionali i lampadari le panche, gli altari, i vetri colorati, le maniglie. Tutto questo per poter scrivere nel cielo di Barcellona le parole della natività: » Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis ». Certo Antoni Gaudi fu architetto di «buona volontà» e, se un giorno, per miracolo, l'ultima cattedrale go¬ 'Una moltitudine. Così ho la scnsazio tica sarà compiuta, vorrà dire che efli fu anche un gran santo. *** Sono giunto in ritardo e sono solo: solo dove credevo d'imbattermi in ne misteriosa o tremenda della muraglia di mattone sanguigno tagliata a finestro moresche che mi si para dinnanzi altissima, appena sceso dall'automobile. La musica della banda, all'interno, cessata: lo squillo delle trombe che danno i segnali delle sorti è ammutolito. La folla è silenziosa. Quelle centinaia di uomini, di donne, macinate a blocchi dall'attenzione esasperata tra sombra e sol, tacciono da un secondo; ma lo stupore del silenzio in quel luogo di clamori è tale che mi sembra strano. Sensazioni, ricordi di macello di circo equestre di esecuzione capitale nel corridoio circolare coperto di rena gialla puzzolente di urina. Vedo, attraverso un arco, un settore degli spalti, gremito di folla contro il cielo sereno: e, tutto d'un tratto, il settore muta volume e colore perchè gli spettatori sono balzati in piedi e hanno gridato: — Ole/ Assisot ormai allo spettacolo dal difuori perchè non riesco a trovare il lendido per il quale giungere al mio psgmnsrdptinmpndsulasfeggEvla posto e i biglietbari, i venditori di semisalati e di gateota sono spariti. — Ole! E' il grido col quale si incoraggiano le danzatrici sul palcoscenicomentre fanno la rumba e i toreri nell'arena quando la cornata li rasenta. — Olii Poi un urlo che è uno scroscio di risa nervose come di gente che esca dalla trincea e vada all'assalto. Capisco che il giuoco, al di là, è mortale : e io ho davanti il muro che si incurva di novanta gradi, preciso come un Destino. L'applauso che scroscia e si allarga per ondate crea uno sfarfallio di mani e di fazzoletti agitati nel settore di fronte. Il battere delle mani si rinnova secco, duro, con la misurata pausa di una scarica di mitragliatrice. Finche le pause si sommano una sull'altra, accumulano un grande silenzio , che sfocia in un mormorio di argine franato. Una porta sbatte e rimbomba: ne esce un uomo vestito di rosso alla guisa di un monatto, che si precipita gridando qualcosa. Forse un nome. E vedo venir avanti, secondo la curva del corridoio, quattro uomini silenziosi uno dei quali senza cappello, ai lati del viso gli stanno due curiose ali, le scarpe dell'uomo portate a spalla. Il gruppo luccica di sete lucide e di scaglie brillanti, tranne una calza' bianca rossa di sangue che s'intride man mano. Il rosso nel buio prevale: lo scarlatto di una muleta, il cinabro dol mattone, il carmino di una cintura si fondono. La testa delVespada, semisvenuto, ciondola secondo la cadenza dei passi. Ora, anche i ragazzi che fanno ala al gruppo arrivato all'infermeria, tacciono dopo aver chiamato una e duo volte per nome l'eroe ferito dalla cornata: «Chiquelo! Chiquelo!». Di là dal muro, nell'arena, gli applausi riprendono. Due venditori di giornali discutono il a caso» tra loro. — Questo spettacolo lo chiamano la Fiesta Nacionall E hanno provveduto a riparare con una corazza i cavalli non gli uomini. — Taci, — dice il più vecchio sapientemente, — gli uomini non hanno diritto di difendersi, i cavalli, si !Vedo attraverso l'arco che segue un settore degli spalti gremito di folla contro il cielo sereno dove stridono le rondini: d'un tratto il settore muta volume e colore perchè gli spettatori sono balzati in piedi gridando: 0 Raffaele Calzini.