Il colosso dell'Africa centrale di Arnaldo Cipolla

Il colosso dell'Africa centrale Il colosso dell'Africa centrale Tir li di jene e canzoni d'amore (Dal nostro inviato) a r da MOSHI (Kilimagiaro) Marzo, 1929. Il lettore dirà: Basta con il monte Kenia; della fine della vostra avventura non m'importa nulla, tanto lo so che è a lieto fine. Se siete rimasti in panna nella foresta, la colpa è vostra e non ho nessuna voglia d'intendere ancora le vostre piccole miserie di viaggiatori male equipaggiati. Spicciatevi ad uscire da quest'ambiente, trasportateci altrovei cambiale soprattutto argomento perchè ne ho abbastanza... di questo che minaccia di non finir più... O si, questa volta siamo proprio d'accordo, voglio dire che colui che scrive e l'altro che legge sono perfettamente all'unisono nei sentimenti. Il primo si è destato nella capanna di canne sul giacìglio.che gli fa da letto con le ossa rotte ed ha chiamato l'amico che ha passato la notte nella ctpanna accanto. Tentativo scambievole di raccontarci gli incubi delle eterne ore nell'oscurità (il vento fischiava fra le canne, le iene ululavano lamentose e gli intermezzi di silenzio eran riempiti dall'Inconcepibile rumore del miliardi di miliardi di locuste che posatesi sulla densa vegetazione della valle del Tana divoravan le chiome degli alberi) interrotto quasi subito dalla necessità di partire, per ritornare ove giace la nostra mac china. ' Per la strada, di buon mattino, tutta in discesa per fortuna, ragionamenti che enunciati qui parrebbero della più alta stravaganza, ma che il luogo e i costumi del suoi abitanti rendono naturalissimi. Padre Bellani, aveva spedito nella notte alcuni suoi amici kikuio .« incirconcisi » per sorvegliare l'auto. Potrebbe darsi che esst imbattutisi in giovani « circoncisi » più numerosi siano stati provocati e ne sia nata una zuffa. Eventi all'ordine del giorno sulle falde del Kenia nella presente stagione che è quella delle circoncisioni in massa. Tutto può accadere nel mondo lontano.della montagna e in quello vicino della montagna, gli uomini civili compiere t progressi pia esaltanti sulla terra, nel cielo e attraverso oli oceani, le cavallette divorarsi per intero le foreste dell'Africa Centrale, ma nessuna cosa riuscirà ad impedire che al Kenia, in un mattino un poco frigido come questo, centinaia di giovani d'ambo i sessi bagnino secondo il rito crudele l'erba delle radure del loro sangue. E se di quest'affare, non ne parlassimo? Ma non facciamo che incontrare ragazzelte coperte unicamente sino ài ventre di spessi strali di collane di perle di vetro e giovinetti abbigliali di lunghe clamidi di tela bianca che tenendosi per il braccio e cantando e seguili da. codazzi interminabili di parenti e di amici se ne vanno al sacrificio. La nostra panna sembra essere avvenuta nel bel mezzo del paese scelto per cotesta adunala. Noi tuttavia non vi assisteremo polche non pare che gli indigeni, sopportino durante il lungo rito la presenza di europei. Non udremo neppur le grida di dolore poiché per quanto spasimanti siano le operazioni compiute da un santone armato di coltello nessuno grida. La zampa del leone sul cofano della macchina Eccoci arrivati. 1 kikulo di guardia alla macchina non sono stati disturbati. Hanno passato la notte chiusi nella « capote »; qualche lena è venuta ad annusare ai vetri, un leone ha posto le zampe anteriori sul radiatore. Dì li a mezz'ora siamo raggiunti dal soccorso decisivo, dal camioncino della Missione di Irnienti, mandatoci da monsignor Balbi, con due fratelli meccanici, l'incudine, il mantice e tutto l'occorrente per la riparazione. I nostri salvatori hanno viaggialo tutta la notte per raggiungerci e, manco a dirlo, tengono in serbo anch'essi la loro storiella di bestie feroci, svoltasi nel cammino: l'incontro, cioè, di una magnifica famiglia leonina: padre, madre, cuccioli, sorpresi dai proiettori, e che hanno galoppalo « come vacche e vitelli » per un tempo infinito nella luce dinanzi alla macchina, sino a che la femmina ed i piccoli ' hanno devialo, lasciando solo il maschio sulla strada. Per permettergli di raggiungere i suol — concludono i fratelli — abbiamo spento i fanali e allora finalmente anch'esso è scomparso ». Il momento più commovente della nostra avventura è stato proprio quello nel quale i martelli hanno risuonato sull'incudine, impegnati a raddrizzare il nostro asse contorlo e reso incandescente dal fuoco e dal mantice. Allora, riacquistata la sicurezza di riuscire ad andarcene, la foresta ci ha parlato con le sue voci più seducenti, la strada ci ha suggerito . mot più profondi incanti e persino l meni ed ì kikulo della circoncisione che ritornavano dal sacrifìcio con le clamidi insanguinate e sorretti dai famigliari ci parvero apparizioni ultraterrene discese dalle cime ghiacciale del monte, esausti di purificazione. — Frate Daniele, — abbiamo detto al missionario autore principale della riparazione, — noi le dobbiamo una gratitudine senza confini! Il mistico meccanico ed il suo compagno, tergendosi il -sudore dalla fronte, non hanno voluto saperne di ringraziamenti, » Speravamo solo, — ci rispondono candidamente, — che la riparazione fosse più seria per costringerli a rimanere più a lungo fra noi/». — E più tardi, quando ci sluìno trovati riuniti ad Egogi intorno alla tavola della cameretta da pranzo di Padre Bellani, decorata dei simboli patriottici cari al cuore di ogni italiano esule e credente [ritratti del Papa, del Be, del Duce), abbiamo finito per trovare che l'incidente toccatoci era stato provvidenziale, poiché ci aveva permesso di conoscerci e soprattutto di evocare in una rassegna ideale i pionieri della Fede e della Civiltà in Africa, incominciando dal Cardinale Massaia, primo dei missionari della Consolata nell'Africa equatoriale, del quale quett'anno l'Italia celebrerà il centenario dell'opera santa ed eroica. Lo scimmione Non dirò come siamo partili da Egogi. Come ì Padri e le suors sono per la massima parte piemontesi, mi pareva naturale domandare) nel momento della separazione, se desidera- vano ch'io recassi le loro notizie e \ loro saluti ai congiunti in Patria. Ma queste manifestazioni di rimpianto o di nostalgia,, sembrano non far parte, del loro stato d'animo. Il loro spirito' è completamente assorto qui, i loro affetti sono assorbiti da queste barbare genti, che ignorano nelle loro lìngue la parola • grazie », e alla nostra impressione della desolazione di un'esistenza trascórsa in un ambiente tanto privo di ogni conforto, i missionari rispondono con un vago sorriso, che pare voglia suggerirvi : « Voi non potete, sopere la forza della fiamma che ci arde in cuore! ». L'ultima cortesia offertaci da Padre Bellani è stata il riattamento della strada operato dai su.,i indigeni nei punti dove l'avremmo trovala più malagevole. Credevamo che la cosa si limitasse ad una piccola distanza da Egoal., ma scoprimmo che il buon missionario aveva spinto la sua previdenza al di là di ogni limite prevedibile, dandoci ancora una volta la prova che a sola organizzazione veramente utile al turisti nella regione della grande montagna dipende praticamente dal missionari italiani.. Attraversiamo sino a Chuca, a 50 chilometri da Egogi, dei meravigliosi spazi .di foresta vergine, l terreno è acquitrinoso, ma un tappeto di tronchi appena recisi et permette di attraversarlo senza incidenti. Ad un certo punto un gruppo di belissimi Indigeni armati di lancia, con e lunghe treccie cadenti sulle spalle mpiastricciale di una materia che par ango, ci fa segno di fermarci, indiandoci con i gesti che dinanzi ci dev'essere qualche cosa fra il fogliame he merita la nostra attenzione. Alt, a terra, e fucile alla mano. Il qualche cosa è un grigiore di grossi corpi flessuosi che attraversano la strada a trenta metri. Leoni, certamente ! Quello che di noi brandisce il fucile, o spiana, sta per sparare, ma l'altro sente il bisogno di dirgli plano: — Ha il colpo sicuro? L'altro lo guarda ironicamente, abbassa l'arme e : - Ma non vede che son degli scimmioni? — soggiunge. - lo alle scimmie non tiro. Porta scalogna. Era scritto che le nostre avventure di. caccia fossero tutte o sterili o infelici. Verso mezzodì raggiungiamo Klenì, dove da qualche mese soltanto è stabilita un'altra delle nostre missioni, con ire giovani missionari, che a prima vista ci tanno dubitare che siano dei sacerdoti, il dubbio dipende dalla loro tenuta di cacciatori, da un fazzolettino tricolore che orna il taschino dei loro camiciotti kaki {in onore della Conciliazione), dall'ardimento dell'aspetto e dalia simpatica esuberanza dei modi e del discorsi. Ma anch'essi stentano a creder all'esser nostro e soprattutto al mio, trattandosi di torinesi autentici. - No, non è possibile — vanno ripeendoci — sarebbe troppo bello che, arrivati al Kenia da cosi poco ttmpo, et sia capitato di ricevere fra questi: capanne la prima viiita di europei proprio dal signor console e da lei. Oso dirle — aggiunge uno dei giovani — che lei entra per qualche cosa nella mia vocazione missionaria... — Io? {E qui conviene che salii a pie pari ciò che il giovane mi confida a proposito ili effetti impreveduti, ed imprevedìbili che possono produrre le pagine ili un nomade sull'animo di un credente). La Missione è null'allro che un gruppetto di capanne in una radura rica vaia nella foresta, tra aiuole di fiori. Ma gli ingleslmtuinno » ordinato » di rasformare le capanne in edifici in mura/urti, particolare che dimostra coma i dominatori non trascurino nulla per far servire le missioni anche da confortevoli punti di tappa. Una lunghissima corsa massacrante di quasi Irecen'o chilometri senza soste, senza incidenti notevoli, senz'altro pensiero all'infuori di quello di raggiungere le n'acque nere » vale a dire Nai i al ficé oa a al oaa na no mi oa- robi, nella notte, ci riporta al punto di partenza. E il giorno dopo, uniti ancora dal proposito di assaporare assieme le commozioni dell'altra grande montagna centro-africana, il Kllimagiuro, come assieme attingemmo a quelle del Kenia, il conte Zoppi ed io partiamo da Nairobi in ferrovia verso l'Oceano. Questa strada ferrata, che sbocca a Kilindini e Mombasa sull'Indiano, lunga 330 miglia e vecchia di più dì unquarto di secolo, non è che la conti nuazione della ferrovia che viene dal Vittoria Nianza. Durante la grande guerra (1916) gli inglesi, allo scopo di vincere la resistenza tedesca nella Co Ionia dell'Est Africa {oggi Territorio britannico del Tanganika), che s'appoggiava siila formidabile linea di di fesa formante l'antico confine tra ti Kenia e il possedimento germanico, co \ a o e, ' , struìrono, tacendolo partire da Voi sulla ferrovia Nairobi-Mombasa, un tronco, ti quale girando il caposaldo di quella linea, cioè'.U Monte Kilimaglaro, sbocca sulle sue falde meridionali, a Moshi. II Kilimagiaro Ma per loro conto i tedeschi avevano già congiunto direttamente la regione del Kilimagiaro, che sotto molti aspel ti assoìniglià a quella del Kenia, e permette, a cagione dell'altitudine, le stesse colture e il medesimo soggiorno gradevole ver gli europei, al mare con un'altra ferrovia, della di Vsambara, facendola partire da Tanga e arrivare per l'appunto a Moshi. Il tronco VoiMoshi misura poco più di 100 miglia, mentre la ferrovia dì Vsambara è lunga più del doppio, circostanza che ha fatto perdere alla comunicazione gran parte della sua importanza, provocan do pure la decadenza di Tonga a vantaggio di Mombasa. In ogni modo si può arrivare oggi comodamente dalla costa ai piedi della massima montagna africana con due ferrovie, senza contare le o dry routes », o piste automobilistiche percorribili durante latstaglone secca. Da Moshi, che conta una popolazione di circa 400 « selllers i quali hanno le loro piantagioni di caffè sui declivi meridionali del monte, fra l 1000 e i 1500 metri d'altezza, la vetta Immacolata dì candore e tondeggiante del Kibo (la più alta del Kilimagiaro, di 6010 metri) è perfettamente visibile. L'impressione d'assieme ch'essa produce è certamente superiore a quella del Kenia, soprattutto per il suo assoluto isolamento e per l'enorme niassa di ghiaccio che la copre. Il Kilimagiaro fu inlravveduto per la prima volta dai missionari tedeschi Rebmann e Krapt, nel 1848. I villaggi indigeni e le coltivazioni, non si spinggono al disopra dei 2000 metri, e da quest'altezza sino ai 3500 metri la montagna è fittamente coperta, dalla foresta. Più sopra si stendono le regioni delle alle erbe e quindi la nevi perpetue ed i ghiacci, che discendono sul versante sud-ovest, ai 4000 metri, mentre su quello nord e nord-est rimangono limitali ai 5700 metri. Un facile sentiero, che si può percorrere anche a cavallo, permette di arrivare da Moshi sino 'al « rest house » di Ilismarcl; (gli inglesi hanno avuto la delicatezza di non cambiare i nomi topografici dell'antica colonia tedesca), che è già nella zona delle nevi perpetue. Ma sul Kilimagiaro, che trovasi completamente nel « Territorio del Tanganika », cioè In una colonia la quale, benché inglese, è divisa da tanto di barriera doganale dal Kenia, almeno sino all'avvento più o meno probabile del blocco dell'Est Africa, vale la vena di diffondersi un poco di più (e lo faremo prossimamente), non foss'altro perchè la « Casa di Dio », come gli indigeni chiamano il Kibo, è la più alta montagna d'Africa, quella che ha maggior diritto ad essere considerata l'alpe leggendaria di Erodoto, intitolala alla Luna. Arnaldo Cipolla.

Persone citate: Balbi, Bellani, Duce, Leoni, Marzo, Padre Bellani, Tanga