Roma e gli stranieri

Roma e gli stranieri Roma e gli stranieri gROMA, maggio. (D. A.) In questi ultimi due mesi di marzo e d'apnJe, Roma è stata inondata da un Hutto di viaggiatori stranieri, D1ì5e clnfI"emila francesi, tremila tede | fiiKno rintrona innrloci corica nnl a v| o a a i a o a e , e schi, circa duemila inglesi, senza calcolare i turisti americani e i pellegrini di più piccole nazioni. Questa massa enorme di forestieri, d'ogni razza e d'ogni nazionalità ha potuto vivere tranquillamente per vari giorni nella capitale, compiere i suoi pellegrinaggi, partecipare alle sue funzioni religiose, cantare i proprii inni e spandersi un po' da per tutto senza che si verificasse nessun incidente. Dopo tante campagne di denigrazione che sui giornali esteri erano state fatte coi] ito l'intransigenza italiana, contro la xenofobia italiana, contro l'esasperato nazionalismo italiano, questa constatazione di ordine, di disciplina e di cortesia è statai per moltissimi una piacevole sorpresa. Tanto piacevole e tanto inaspettata, che i pellegrini componenti le varie associazioni della Gioventù Francese, prima eli lasciar Roma hanno sea ■tifo il bisogno di manifestare la loro gratitudine, e in corpo con alla testa i loro dirigenti, si sono, recati a deporre una corona di alloro sulla tomba del Soldato Ignoto e hanno voluto offrire un omaggio di devozione al Maresciallo Diaz, sui suo sepolcro di Santa Maria degli Angeli. Constatata cosi l'inesistenza di un'Italia turbolenta e nemica d'ogni straniero che venga a lei per ragioni di studio o di divertimento, resta un poco ad esaminare quel « problema dei forestieri » che se di tanto in tanto compare timidamente sulle co lonne dei giornali, è invece costante nelle lamentele degli albergatori. I auali albergatori — constatiamolo fin a principio — piangono tutte le loro lacrime perchè i loro alberghi 6ono vuoti e le grandi correnti dei « forestieri di lusso » hanno disertato Roma. Ma anche qui è bene fare le proprie riserve ed esaminare il cosi détto prò blema sotto un altro punto di vista. E prima di tutto dobbiamo constatare un fatto : di grandi alberghi a Roma ce ne sono troppi. Nel momento buono dell'avanguerra, quando il genere umano, — d'ogni razza e d'ogni paese — viveva la sua vita facile con una spensieratezza che rasentava l'inco scienza, l'industria alberghiera si era sviluppata in un ritmo veramente anormale. Perchè uno o due grandi alberghi di lusso avevano fatto buoni affari, tutti credettero- di poter guadagnare altrettanto con creare nuovi organismi che si fecero una spietata concorrenza con molto danno e nessun utile di tutti. Il numero del turisti miliardari — specialmente, anzi quasi esclusivamente americani — essendo limitato, questi grandi alberghi dovettero dividerseli in esigue « porzioni » si che l'affare buono per tino 0 tutt'al più due alberghi, diveniva disastroso per un numero maggiore. Cosi che quando un nuovo albergo romano sparse per tutti gli Stati Bell'Unione questo avviso di cattivo gusto: « The most expenaive hotel in the ìoorld » l'albergo più costoso del mondo, non solleticò la vanità di nessuno. 1 milionari americani venivano a Roma, guardavano la brutta architettura di quell'edificio e andavano altrove. Le collezioni d'arte degli stranieri Inoltre, un nuovo elemento era venuto a diminuire le correnti emigratorie: la trasformazione degli Stati Uniti, trasformazione — e diciamolo pure senza ombra di offesa —- la civi-> •lizzazione. Perchè a mano a mano che si costituivano le nuove ricchezze, la nazione si andava evolvendo e acquistando un organismo sociale. Se cinquanta anni fa, un appassionato di musica doveva venire in Europa per ascoltare un grande cantante o assistere a una grande rappresentazione, oggi avviene il contrario, ed è l'europeo che deve andare al Metropolitan di Nuova York per poter sentire i più grandi cantori, i più squisiti esecutori, i direttori d'orchestra più eletti. Tedeschi, italiani, francesi, sono tutti riuniti là, e se qualcuno recalcitra un poco, si convince a colpi di dollari, colpi di tale portata che pochissimi possono avere la forza di resistere. Lo stesso avviene per le opere d'arte. Un mezzo secolo fa-, non esistevano in America vere e proprie raccolte artistiche, oggi invece si sono organizzati musei, pinacoteche e gallerie che ben poco hanno da invidiare a quelle di Europa. Basterebbero le collezioni private dei Morgan, dei Gardrier, e di qualche altro mecenate illuminato per dimostrare quale terrìbile immigrazione di capolavori sia avvenuta in questi ultimi anni. L'Italia, sotto questo punto di vista, è ancora la più protetta dalle sue leggi proibitive; ma la Francia, ma l'Inghilterra, ma la Russia sovietica veggono' di giorno in giorno le loro opere più preziose traversare l'oceano e andare ad arricchiTe le nuove raccolte americane. Terzo elemento poi — e non dei minori — è quello del turismo indigeno, facilitato oltremodo dall'automobile, doM'yacht, dall'aeroplano. Intiere città, o meglio, intiere Provincie si sono create per il piacere dei ricchi : città col migliori e più lussuosi alberghi dei mondo; Provincie con un clima costante, quasi equatoriale, dove si possono fare i bagni di mare in dicembre, e cogliere i più straordinari frutti che una agricoltura scientifica abbia mai prodotti, fra Natale e Capodanno! Senza contare le distrazioni d'ogni genere, dai tabarins quali l'Europa non può nè meno concepire, a tutte le forme di sports facilitate e messe alla portata di chiunque abbia tempo e denaro da spendere. Paesi dove a pena un mezzo secolo fa i Seminoli scotennavano ancorai i viaggiatori troppo audaci per tentarne la conquista, oggi si chiamano Pnem-beach e formano una delle stazioni balnearie più magnificamente fastose che mai si siano immaginate. Un errore: americanizzarsi Gli albergatori, che si lamentano de! la scarsezza di turisti d'eccezione, finiscono sempre !e loro querele col sospt rare fievolmente che tutto è finito, perchè in Italia non esiste vita notturna e che quando questa vita esisteva, la loro professione era un Eldorado' realizzato. Ma non è vero. Perchè « vita notturna » nel senso che si dà comune- tmmnciloVoteritachmlefoanficisehriche qrarotesappAnlat'esnrimmgmdcmlepsindpmvdrdttuvmgilanagi pHvilaSdsnodsSaBnpTrEiggmrRbuuseddcfnnmoitqdmaddLèclmlnnzrmladsgmtnldvbgdppcdd«tmpteins ture I mente a questa parola, a Roma non è mai esistita, e solo nell'ultimo ventennio si videro aprire in vari quartieri cittadini due o tre di quel malinconici locali oti Von s'amuse, o meglio oti Von deva.il s'anuiser, che furono battezzati col loro nome francese di tabarins. Chiunque abbia visitato una volta sola quei ritrovi notturni, dove qualche pallida profuga di un sifilicomio metteva in mostra le sue mediocri bellezze, non vorrà certo affermare che i forestieri ricchi venivano a Roma per andare a finire là le loro laboriose giornate! La verità è un'altra: Roma ha finito di esercitare il suo fascino di city ot the sol dal giorno in cui, messe da parte le sue vecchie uradlzioni, ha voluto americanizzarsi. Il miliardario di Chicago, di Denver nel Colorado, che veniva qui per vedere lo smart set e sognava di essere invitato in uno di quel palazzi romani che aveva imparato a conoscere nelle pagine dei 6uoi romanzieri, il giorno che doveva contentarsi di un pranzò danzante nella sala di un grande albergo cosi come poteva fare nel suo paese, non aveva più nessun interesse a traversare le Alpi, e si fermava a Parigi dove, se non altro, aveva l'illusione di taire la noce. I salotti di un tempo Ora la tradizione romana era tutt'altra. Fino a una trentina d'anni fa esistevano a Roma vari centri nazionali che erano altrettanti nuclei di riunione e di propaganda. Vecchie fa miglie aristocratiche che si erano romanizzate, artisti e studiosi di ogni genere ode irradiavano la fama di Roma nel mondo. Salotti come quello della Principessa Bariatiusky per una certa categoria di viaggiatori o di madame Toulinow, per gli artisti e i letterati ; luoghi di ritrovo come l'appartamento di Frau Hertzen o della signorina Hoppenheim; geniali riunioni come quelle che si potevano vedere dal pittore spagnuolo Palmaroli o dal pittore francese Hébert; accademie magnifiche come quelle che si riunivano a palazzo Barberini nella bella dimora dello scultore americano Story, formavano quell'Orbi» in urbe che doveva dare a Roma il suo vero aspetto cosmopolita. Era il periodo in cui tutti gli artisti di questo mondo venivano qui per vivere « e anche per morire » — come ebbe a dirmi un giorno Costantino Meunier — presso il grande spirito di Michelangelo. E all'infuori delle loro accademie nazionali, quanti mai nostalgici del sogno avevano fatto loro, la città che del sogni è sovrana! Il Fortuny, i Villegas, i Gallegos, i Predilla, i Beulaire, rappresentavano la Spagna; ed Ernesto Hebert e lo scultore d'Epinay tenevano alto il nome della Francia; e il mondo anglo-sassone — inglese ed americano — era rappresentato dagli Stores e dai Wedder. dai Coleman e dai Leighton, dai Gibson e dai Mason; e gli scandinavi si raccoglievano nello studio ospitale del pittore Ross o nel villino prezioso per ogni opera d'arte del dottor Munthe, mentre gli slavi si raccoglievano intorno al gran Semiratzky, ai fratelli Swiedomsky, allo scultore Antokolsky, al pittore Brulow che avevano finito col romanizzarsi e non sapevano nè potevano più lasciare la dolce terra romana. Tutti costoro avevano i loro centri di ritrovo, i loro circoli, i loro salotti. E i pensionati di Villa Medici non ignoravano i salotti romani come i giovani studenti della Brilish Academy, rinnovavano la tradizione secolare dei Turner o dei Lawrence e da Roma datavano veramente la loro nobiltà d'artisti. Era questo insieme, unirò al mondo, che faceva di Roma una città unica al mondo. Era a questo suo cosmopolitismo geniale che essa doveva il grande irraggiamento della propria gloria nei secoli. Il fascino delle antiche bellezze Il giorno in cui fu creato un grande albergo, tipo Riviera Palace, tutto ciò doveva finire. Si credette che trasformando l'essenza del turismo romano, si sarebbe creata una ricchezza nuova. Si credette che portando a Roma gli ospiti abituali di Montecarlo, o di Biarritz, si sarebbe accresciuto il suo cosmopolitismo. E si ebbe torto. Non 6i può amare Roma, per le quattro passeggiatrici di un Tabarin di quinto ordine: e non si può veramente credere di far la concorrenza alle grandi città di piacere, arruolando alcune ballerine sfiancate e aprendo alcuni bugigattoli fuori di posto. La bellezza e la grandezza di Roma è stata sempre tutt'altra, e bisogna conservarla come era. Si organizzino le più belle feste sportive, che il suo mare vicino, le sue montagne, 1 6U0i laghi, la 6iia divina campagna, possono offrire a tutti gli spiriti appassionati di bellezza. Si tengano le posizioni d'arte antica — per certe aberrazioni i Salons d'automne, e le mostre del Fauves ci batteranno regolarmente — si riprenda la tradizione dei grandi Concerti dell'Augusteo, cosi musicalmente decaduta, sì creino grandi spettacoli teatrali di vecchie musiche italiane. SI metta in valore tutto quello che nel campo religioso, nel campo artistico, nel campo sociale, Roma può ancora offrire al mondo. E 6opra tutto sì ricostituisca - la vita di un tempo, quando c'erano bensì meno alberghi di lusso, ma 1 grandi turisti che ad ogni principio di inverno scendevano da noi, rappresentavano veramente qualcosa di più e di meglio dei vari rastaoauèrcs, che non possono vivere all'infuori dell'ambito di certi locali equivoci e della compagnia di certe persone non « desiderabili ». E allora, quando tutto ciò sarà di nuovo ricostruito, Roma potrà veramente assolvere la sua più alta missione, anche se qualche tenitore di albergo « most exnensìve in the world » andrà fallito. E non sarebbe questa l'ultima delle sven- msfemMgdndmtesstesgdmdtvbnaDcsdvzbEdfddlsesnpldlmFcotcgpvdrnrlivtvlcnpIcfssnapnnpvdgnLrnhmtmsvrstrmsPptvqgsddtdGfnpdpdgdldtnfMftadGnsnlddm•P

Persone citate: Barberini, Coleman, Diaz, Ernesto Hebert, Fortuny, Gibson, Mason, Munthe, Turner, Villegas