Inseguiti da! rinoceronte in una nube di cavallette di Arnaldo Cipolla

Inseguiti da! rinoceronte in una nube di cavallette Attraverso il ContiirreTitfc INet-o b d lltt Inseguiti da! rinoceronte in una nube di cavallette ( Dal nostro inviato )- td EGOGI, Marzo, '(falde oi'itìTitali del Monte Kenia). la seconda tappa del nostro diro al torno al Kenia è Unita qui ad Egogi luogo difllcilincnte definibile, polche non è neppure una stazione, ma semplicemente un gruppo di capanne di canna che albergano un Padre missio nario e tre suore, i quali costituiscono la missione cattolica « nella foresta • chiamata appunto di Egogi, dal nome di uh'aggloinérazione indigena vicina. Immaginate una piccola spianata a mezza costa della montagna, circondata da una lilla vegetazione. Sul riViano aperto verso oriente a perdita di vista, cioè verso il medio corso del Tana e le montagne Jombene, sorge un capannone che costituisce la chiesa con vicino il campanile fatto pur esso di lunghe canne legate una all'altra. E' probabile che un nomo provvisto di una certa forza fisica potrebbe trasportare il campanile sulle spalle e collocarlo altrove, ina Padre Ilcllani ci assicura che l'operazione, è impossibile, perché le canne sono bene infisse nel terreno; in ogni modo, la costruzione sopporta il peso di due campanelle che parecchie volle al giorno vengono fulte squillare dai ragazzetti ■ ;..cru» della missione. Le litanie in lingua gekoio A sinistra del capannone-chiesa e ad angolo retto, una Illa di eapaiinucci'i minori, aperte o quasi alle intemperie (fra gli interstizi delle canni: iiassa la mano) che servono per abitazione del missionari, cucina, magazzini, « aleliers » delia scuola di falegname e fabbro, ecc., Padre Jìcllani ci ha ceduto la sua abitazione formala da due ambiaitacci che s'aprono su d'ima specie di cameretta da pranzo, perchè siamo costretti a fermarci qualche giorno, ed e andato a. stabilirsi non sappiamo dove. Forse passa la natte sdraiato su di una amaca appesa sotto gli alberi, tic abbiamo il sospetto, perché. %l Padre il decanta la salubrità del luogo e l'assenza di zanzare. D'altra parie non vediamo capanne adalle che possano accoglierlo. Dietro la chiesa vn.scn.tlerino conduce ad una breve radura nel mezzo della Quale, sullo sfondo degli alberi della foresta e della punta del Kenia, si leva ■una statuetta della Consolata. La Madonnina non ha. affatto l'aria di sentirsi spaesata (iuì, malgrado che il bosco, a cinquanta metri da essa, sia la sede dei feticci indigeni. I meni, gli embu e gli zambari, andando e venendo dal bosco le rendono omaggio passandole dinanzi e l ragazzi e le bambine le recano i vividi fiori della montafina africana... La prima impressione offertaci da questo luogo di. fede e di pietà è che'serve essenzialmente per l'infanzia del selvaggi, per i loro rampolli dai sci al tredici anni. Sono essi che assistono alla Messa, cantano in lingua gekoio. le litanie, recitano nella stessa il rosario, frequentano la scuola, fanno squillare le campanelle. Gli adulti vengono pure, ma per altre 'cose c in generale « non praticano*. Considerano il Padre come una specie di essere soprannaturale detentore di tutti t po'eri, ma non entrano nella chiesa. Che strana storia tragico-comica ci ha Raccontalo Pùdre Bellani a proposito dei'suoi indigeni! Qualche anno fa laureatone di Egogi venne letteralmente decimata da una terribile carestia. La gente moriva di fame nei villaggi, ma l'Autorità inglese non ci credeva. Padre Bellani inforcò allora il mulo e fece tre giorni di marcia per andare a pregare il « Dlstrict Comqiissary » di Mera che venisse a vedere di persona che cosa stava succedendo nel territorio della sua giurisdizione, il funzionario segui il Padre e rimase atterrito dallo spettacolo di miseria e di morte che il paese gli offriva. Dovunque morii insepolti, gente che agonizzava e scheletri viventi che s'aggiravano come ombre fra le capanne. Fu organizzata una carovana di. soccorso, 'Cioè si pregò il Padre di andarsela a prendere a Nairobi e un centinaio di muli carichi di sacchi di farina arrivarono ad Egogi, seguiti in breve tempo Ha altri. Una storia tragicomica Per parecchi mesi Padre Bellani non 'si occupò che di distribuire farina, vale a dire percorrere l'aspro paese, salvando dalla morte per fame migliaia di indigeni. Alla fine, per la fatica, si ammalò e dovette andarsene all'ospedale di Nairobi, lasciando la missione nelle mani di un giovane Padre inesperto. Arrivava intanto ad Ego. Ol una specie di controllore degli augusti spazi di terreno concessi alla missione, e per il timore che questa si allarghi di qualche metro quadralo, incoraggia i capi indigeni a circondarla con una palizzata. Il giovane Padre si lascia sopraffare e la missione finisce, con la palizzata, per diventar inabitabile causa l'angustia, perdendo perfino l'orticello. P. ilcllani guarisce, arriva ad Egogi, constala la ingratitudine degli indigeni che gli han ridotto la missione alla superficie di un fazzoletto, li riunisce e tiene, loro un discorso di questo genere. a Ho veduto quello che avete fallo per me mentre ero lontano, infermo per avervi salvalo durante la carestia. Ma io conservo ancora un. sacco di quella farina che ha sostenuto in vita voi, le vostre donne e l vostri figli. La disperderò al vento oggi stesso perchè si converta in polvere di maleficio la quale ricadrà a castigarvi per la vostra nera ingratitudine, brucerò la missione e me ne andrò lontano a beneficare uomini migliori di voi. E cosi sia! ». Manco dirlo gli indigeni si gettarono al iiiedl del Padre scongiurandolo a non partire, a non maledirli. Fecero volare in pezzi la palizzata e tutto fini nel perdono e nell'oblio. L'episodio denota che il potere morale del missionario è profondo e di vasta estensione e ce ne siamo accorti subito, vedendo in che modo egli, ci ha soccorso nella contingenza nella quale ci siamo venuti a .trovare. Poiché noi. vale a dire il Console Zoppi ed io non starno già arrivati ad Egogi sulla nostra macchina. Questa giace nella foresta con l'asse anteriore infranto a 25 chilometri di qui mentre noi abbiamo percorso quesla disianza a piedi. Che marcia! Una giornata indimenticabile P. Bellani dunque appena ci ha ve'duti ed è slato edotto della nostra avventura ha sguinzaglialo i suoi meni nella foresta a ricercare la macchina, trascinarla qui, se possibile, rimanendo in caso contrarlo a custodirla sino a nuovo ordine. Altri indigeni si sono accinti ad aggiustare, la malagevo¬ l e mi o • e a. a nia l e a o a. i e i e uo i d 'i e a l a i e . a l ca a a l a i niae i r i n a a, e . e i a a oo leli a r sdi el l tdi nzau o, a di ao n a, e, ia e a ao. li learasia, ni a li ie ne, . er er a a e rsi aa ore ». oo etiel eiha le i. n oo a adi. evni a, nno oo¬ le strada causa del nostro infortunio, altri ancora cammineranno tutta notte sino ad Unenti a cinquanta chilometri di qui, sede della Prefettura apostolica del Kenia orientale per domandale il soccorso dei « fratelli » meccanici, i quali, disponendo di. un piccolo camion, potrebbero giungere domani... Insomma ad un'ora di distanza dal nostro arrivo possiamo considerare la situazione con mollo maggiore ottimismo di come ci appariva quando abbandonando la macchina, prendemmo la strada fra le gambe domandandoci dove saremmo andati a fluire. Poiché è bensì vero che eravamo diretli ad Egogi e sapevamo ch'essa si trovava lungo il cammino, ma per la mancanza .di carte e l'impossibilità di farci, comprendere dagli indìgeni (l posti di bianchi pia vicini dovevano disiar da noi settanta chilometri almeno) le nostre nozioni erano mollo imprecise. Insomma una di quelle giornale che si ricordano, li Console conio Zoppi, che è figlio dell'ispettore Generale degli. Alpini e ha fallo la guerra negli Arditi, è staio all'altezza della situazione, voglio dire che ha sostenuto lo spirilo della compagnia, cioè di entrambi, lo ce l'avevo viceversa con la ■mia vecchia esperienza d'Africa e gli ripetevo sino alla nausea che rimpiangevo di avere secondalo la sua imprudenza, che quel che ci era capitato dipendeva interamente dalla debolezza della vettura incapace di superar la prova-di strade appena segnale, che eravamo due pazzi da legare per esserci ridotti ad andarcene a piedi sulle falde del Kenia, avendo sottomano come tulio « comfort » alcuni cioccolatini dimenticati in saccoccia, senza sapere dove avremmo posato il capo la. notte. — Ma Egogi non può essere all'inferno-— osservava Zoppi. Alla peggio dormiremo sotto una capanna, domanderemo ospitalità agli indigeni. Il paese mi sembra abitato... Chi sa che non passi una macchina che ci raccolga! L'uomo che viaggia col leone sulle ginocchia Eh «17 1)1 macchine ne abbiamo veramente incontrala una, potentissima, ma. apparteneva ad un americano che poi seppimo essere il direttore' di un museo zoologico nel paese dell'egoismo meccanizzalo e del dollari. Cotesto messere c/i? andava a Mera, per prendervi, alcune bestie ingabbiale, viaggiava con un piccolo leone sulle ginocchia. Si riflulò netto di perdere del tempo per vedere se il suo meccanico potesse rabberciarci la macchina. Gli augurammo un. felice viaggio e infatti abbiamo appreso che è in. panna peggio di noi c die nell'accidente ali è scappalo il leoncino... In quanto agli indigeni ed alle capanne ecco come stanno le cose. Del primi, tanto uomini come donne, ne incontravamo qualcuno* IA fermavamo e, dopo una discussione infinita e penosa, a base di segni trinciati verso il tolc e in direzione dei contrafforti che si paravano dinanzi alla strada e divocaboli come « Cristo », « missioni », « Egogi », afathcrs-ii, che volevano da parte nostra significare: « E' lontano, Ègogl? Sapete dove si trovi la missione? Dov'è la chiesa dei Padri?», ci sembrava di esser riusciti a convincerli a farci da guida. Ma al primo sentiero che conduceva ai villaggi, i nativi ci piantavano in asso scappando a gambe levate. Probabilmente ci prendevano per agenti inglesi delle tasse! Per le capanne disabitale ci sovvenimmo che esse sono In generale le tombe, le case del morti del Kenia e quindi poco invitanti per un asilo anche temporaneo, Ma lasciatemi cominciare dal punto della partenza, cioè da Nauiulci, che abbiamo lasciato alle prime luci del giorno. Come vi ho detto è la falda nord, del Kenia che si percorre da Nanlukl a Meru. ISO chilometri, poi la strada volge decisamente al sud, vale a dire segue i contrafforti orientali sino a congiungersi dopo altri 280 chilometri, a giro completo della montagna, a Fort Hall. La prima ora di corsa è in foresta. Ci avevano consiglialo: 'Fate attenzione al bosco, tenete le armi pronte nel caso il rhino vi sbarrasse la strada ». Ma invece del rinoceronte li oviamo quello che inevitabilmente ci aspettava: le locuste. Dapprincipio non ci danno una gran noia. Sono ancora intorpidite dalla ntqlada notturna, ma appena il sole è un po' allo, la nube abbattala sul suolo prova le sue forze e si alza, a volo Fuori dal bosco, lo spettacolo è magnifico. Nel cielo che sovrasta il dolcissimo declivio verde, partente dall'estrema regione rocciosa del monte {come vi dissi da questa parie il Kenia è scoperto), l'atmosfera è tutto un palpito d'ali argentee, come fosse occupata da una nevicata i cui flocchi volteggino trasversalmente. In breve la vista come il terreno intorno sono caperli di un allo strato di cavallette che le nostre ruote vanno schiacciando con rumore di foglie secche calpestale. Siamo chiusi nella «capote* ma le locuste battono come gragnuola sul cristallo anteriore e lo appannano. Inlravvedlamo qualche raro viandante che procede con il capo fascialo per proteggersi e anche il nostro bog nel sedile posteriore, si è coperta Ta faccia e ci fa segno di correre. Chiusi come siamo et sentiamo soffocare per il calore, ma se tentiamo di abbassare il vetro della portiera un nembo di locuste ci riempie l'interno della vettura, coprendoci mani e viso, sicché dobbiamo acchiapparle una ad una per gettarle fuori. Zoppi ride a crepapelle ed lo gli domando se gli sembra il caso di abbandonarsi all'ilarità... — E che cosa vogliamo farci? — mi risponde. Finalmente, una zona meno densa di cavallette che ci lascia respirare e ci dà l'illusione che quel tormento sia finito. Ci fermiamo per pulire il cristallo davanti, ver togliere la vasta di cavallette morte incastratesi nei fori del radiatore; vorremmo domandare ad una torma di struzzi che ci corre incontro come si sta in fallo di locuste a dieci chilometri via innanzi; ma gli enormi bipedi riccamente piumati sul posteriore, passano via come fulmini. Zoppi intanto esplora con il cannocchiale, la china del monte. S'era notata a 500 metri una massa nera, che sembrava una roccia, sul verde. E' viceversa" un grosso « rhino » seraficamente addormentato. Ci ricordiamo quello che ci hanno raccontalo ieri a Naniuki e a Nlerl sulle battute che si son dovute, organizzare da queste parti cdp{catsmdcssaaegIcgtrvcvtddcscrmpnazmmrcmplcèscIpgcsldnrphcftrspttdclassptndts o, a ia o» n e inga a, oflo a r à l o lo e i, eli ao na li mmo or e se o oa o no nIl e cea, e n o o ngiel o li ti gè ael e o eil e di», a o, sci li o ci meee e no he el a ala le li iadi ieo el ie. n a le ul a è il lte ia lulnto no caapro aooemo mo un no o, ad a li imi sa e ia ridi ri re re uma ti ulnohe viamo a si rti che passano per essere le pia. infestale di rinoceronti di tutta l'Africa. — Ci tiriamo o non et tiriamo ? Il rinoceronte Pigliarlo e soprattutto ucciderlo è impossibile, troppo lontano. Avvicinarlo {siamo sottovento), rischiamo di farci caricare o peggio ancora di assistere allo sfasciamento della vetturetta contro la. quale il semi-orbo pachiderma si. getterebbe; alberi intorno per la salvezza eventuale nostra non. ne vediamo. L'elementare prudenza, ci consiglia di continuare la corsa lasciando in pace il « rhino ». Ma son di quelle decisioni che ripugnano a genie della nostra specie, quindi, un minuto dopo dì aver detto: «Andiamo! ». uno di noi afferra il fucile, si mette in ginocchio e siiara. La bestia si riscuote, si leva, gira lentamente attorno se stessa e si Immobilizza come un monumento. Secondo colpo. Non raggiunge il bersaglio. La bestia si muove, prende lentamente ma decisamente la nostra direzione. Terzo coivo {a quattrocento metri), sfortunato anche questo: il « rhino » corre. Quarto coivo. Questa volta c'è. Il rinoceronte s'è inchiodalo come qualcuno che si sia sentito arrivare addosso un terribile, fatale avvertimento e si domanda cos'è. S'è messo di traverso presentandoci la lunghezza del corpo enorme, ha teso le orecchie piccole, porcine, protende il. suo spaventoso muso innanzi fiutando: I corni, l'anteriore altissimo, il poste riore più basso, si drizzano lucidi co me acciaio... Qui/ilo e sesto colpo! Al diavolo la prudenza vogliamo vederlo cadere. Ma non cade e allora, in un istante, ci afferra la coscienza della nostra situazione. Avevamo lasciato il motore in movimento. CI gettiamo in macchina mentre il rinoceronte da cento metri rotola, barrendo, mugolando, ma non con una velocità eccessiva. Evidentemente è ferito e probabilmente in più punti. Ma ecco che la bestia corre veloce come un cavallo alla carriera, ma corriamo anche noi ormai, e la pista è ottima. L'abbiamo dietro che ci insegne ma per,.poco. Dopo un paio di chilometri vediamo il rhino gettarsi In un vallone sotto la strada e scomparire. E allora esplosione di. rimorsi, voglio dire mutuo sforzo di convincerci che l'avevamo colpito a morte, che bisognava tornare indietro, assistere all'agonia e fotografarlo, che eravamo dei cacciatori, da ridere per abbandonare in quel modo il nostro « primo rhino », ecc. ecc. I gas asfissianti contro le cavallette Tuttavia non siamo tornati indietro perchè un secondo nembo di locuste ci ha avvolto ed è durato per cinquanta chilometri filati, nel pascolo e nella foresta, sotto le ombre della quale ritorniamo di nuovo, al di là dell'ampia radura che il Kenia apre sul suo versante settentrionale. Venti chilometri prima di arrivare a Meni, nel bosco, troviamo degli stradini indlaentsintentl ad allargare il. cammino, sotto la direzione di un bianco accampalo al centro dì. un piccolo parco automobilistico formato da camions carichi di bolli di petrolio, bombole di gas asfissianti e lanciafiamme. il primo segno che incontriamo della mobilitazione indetta dal governo per la distruzione delle locuste. L'inglese ci racconta una quantità di particolari, impressionanti sulla calamità, avvertendoci, che troveremo a Meni il direttore generale dell'agricoltura della colonia che di là dirige la « battaglia » contro le locuste. Egli. ha. misurato l'ampiezza dell'invasione che ha un fronte di circa trecento chilometri, normale all'Equatore e che dura a fluire dall'Etiopia da parecchi mesi, « Badate — ci grida l'inglese mentre ci. allontaniamo — di non. slittare. Troverete la strada coperta di cavallette morte. Le ho uccise io in questi giorni ». L'Etiopia, regala al Kenia non solo le cavallette ma anche delle buone razzie di galla armali di fucile che discendono lungo le rive del lago Iìodolfo. piombano sui turkanu e sul borami kenioti e non solo lì derubano delle loro mandrie, ma li uccidono e li catturano come schiavi! Effetti dello scarso potere del governa centrale abissino sulle regioni eccentriche dell'Impero. Tulio questo sappiamo a Meru. che è la piazzaforte del Kenia, vate a dire la guarnigione donde partono l « ralds » Inglesi a prolezione delle popolazioni del Protettorato che vivono nell'immensa savana del nord, collegando Meru con Fort Harringlon, sulla frontiera a mille chilometri. Molle e varie sono state le impressioni raccolte a Meru durante la nostra breve fermata. La stazione magnificamente silnata, è piena di squilli di trombe militari, dì ascari somali e dì kavirondo e di autocarri per 11 trasporlo delle truppe di colore e dei magnifici « African rifles » ; rigurgitarne di superbi indigeni inasai che vengono a domandar giustizia e a riceverne presso il tribunale del distretto, accompagnali dalle loro procaci donne dalle gambe e le braccia scintillanti d'i cerchi di ottone. Grandi adunate di queste donne seggono in circoli sui prati di smeraldo attorno la « Bcsidcnza ». Hanno il vestilo di cuoio, vale a dire una pelle conciata gettala sulle spalle e stretta alla vita che le copre senza nascondere le loro grazie e recano viveri al loro uomini « in prigione ». Queste sono a portata di mano del passami, cioè costituite da un seni plico reticolalo di filo di ferro che separa i prigionieri dalla liberili, n reato correlile è, manco dirlo. Il mancato pagamento delle Imposte. Si rompe l'asse dell'automobile Anche Meru è infestato dalle locuste che divorano, è vcr.o, i raccolti, ma sono alla lor volta divorate dagli uomini. Carovane di donne scendono un poco più in basso, dove le locuste sono più numerose, a raccoglierne, ne riempiono del gran cesti e ne fanno dei succulenti ■manicaretti. Le cavallette, prive delle ali, delle zampe e della testa, sono colte a frittelle nell'olio di palmizio ed hanno un sapore, anche per il nostro palalo, lutl'ullro che sgradevole. Ed eccoci in cammino per Egogi, attraverso una regione simile a quella ubertoslssima dei dintorni di Nlerl. Ma la strada è orribile e d'un tracciato pazzesco poiché s'addentra al fondo di tutti i valloni, andando a trovare i torrenti che il solcano che bisogna attraversare a guado. Ad un certo punto, per evitare di precipitare nell'abisso, piombiamo su di un pielronc che ci contorce l'asse anteriore In guisa irre- inbtimbdnludgddgpcolaEdcmIotrtoeAgrcpr•dsfptslogcclivmrqeedvcddczasisdccdasilasnrinvgpdcavssmmapsvtcdtdonelnscldlfedliercsnlqnledscmtrsvdtNcdpesèCdliudcampssmslmidsfJAbuptscfrvilgcbl o e e mo ci e na laa aiodì oi o a, si eanio T.arabiU: '•CerchidWlV d'i 'procedere accora lentamente, ma un nuovo colpo ci ìmmobllizza del lutto, in un luogo a dire il. vero magnifico, sotto l'ombra di alberi colossali in conspello di una tribù di scimmie che dalle pendute liane ci deridono con le loro strida gutturali. E allora, a piedi. La strada è in ripida salila {slamo scesl molto in basso, forse a 1200 metri) il sole cocentissimo e la marcia penosa. Canti di miriadi di uccelli, incontri di indigeni buffi e stravaganti, una doccia che andiamo a prendere sotto una cascala, nulla ci consola e ci fa sembrare meno lunga la strada, perchè non. sappiamo dov'è la meta. Orsù, un. atto di energia,- la requisizione forzata di due indigeni, ai quali togliamo le lande che diventano i nostri « al.pensl.ok », obbligandoli a precederci. Se saremo sorpresi dalla, notte ce li terremo vicini come « para insidie ». Dopo cinque ore di marcia, al tramonto un tetto di lamiera e la fine delle vostre pene. E' l'abitazione di un indiano, rivendugliolo fra ì meru Kenioti. Ci dà la consolante notizia che Egogi è vicina ma discosta dalla strada. Questo non Io sapevamo e se non avessimo incontralo l'indiano saremmo passali accanto a Padre Bellani senza scoprir lui e la sua missione nella, foresta. Arnaldo Cipolla.