Meraviglie di Tivoli

Meraviglie di Tivoli Meraviglie di Tivoli gNessuna cosa al mondo piango con tanta eleganza come il parco di Villa d'Este a Tivoli; è un pianto continuo, composto e solenne; dai mille occhi della montagna, tra palpebre di marmo ricamato e ciglia di musco tremolante, le lagrime scendono limpide e fluenti nei lacrimatoi, traboccano da questi in chiari ruscelletti d'Arcadia, ovunque l'effusione liquida rimandando un"' suono di classiche arpe; e a tanto pianto assistono enormi cipressi e salici, e di tante lagrime si nutrono le stalagmiti e le stalattiti negli antri umidi e sonori. L'immenso duolo si sfoga in un'ombra gelida, che par generata dalle stanze della villa, fredde come ghiacciaie e propizie alle polmoniti, dove le custodi, povere vecchiette, stanno in pieno aprile a far la calza con lo scaldino sulle ginocchia. Così questo pendìo stupendo del mondo, chiamato gemma e perla da tutte le guide e dai manuali per i turisti, questo paradiso dell' acqua, lascia un'impressione di sì teatrale fantasia, di sì aulico e fastoso dolore, che la veduta improvvisa, colta da un parapetto, delle vigne della pianura, riscaldate in libertà dal sole e gementi con allegria di fili di ferro al vento, vi allarga il cuore e vi richiama con salutare modestia ai più profani pensieri. Tion voglio certo mancar di rispetto a Villa d'Este, ch'io pure considero mirabilissima invenzione di geniali architetti e di giardinieri ed idraulici degni di monumento; ma di abitarci, ecco, non me la sentirei. Nella villa propriamente detta, non è neppure ii caso di parlarne, per via di quelle polmoniti e per un certo odore di muffa e smoccolatura che neppure le dipinte Veneri appese alle pareti riescono a fugare ; e nel parco, a passeggiarvi più di un'ora c'è da prendere la più atroce delle ubriacature, quella d'acqua. Fate un passo, ed ecco uno zampillo scaturir da una rosa di marmo; un altro passo, e un altro zampillo, dieci, cento zampilli in fila, stèli d'argento e rami di fil bianco, sorgono flautanti da tritoni, amorini, obelischi, gigli, barbutissimi fiumi, botticelle, conchiglie, tutti incrostati e ocrrosi come gusci d'ostriche, scintillanti, gelidi; un terzo passo, e addirittura un diluvio vi investo, come se una dozzina di bocche da incendio, violente e sibilanti, volessero spegnere il vostro ardore per tanta, bellezza, o la fiamma d'entusiasmo che vi brilla negli occhi. 1J? sempre questa musica estenuante^ languida (starebbe bene qui un francesismo: languorosa...), accorata, minacciosa dell'acqua, di tutta l'acqua che vi attornia e vi toglie il respiro senza toccarvi o sfiorandovi appena il volto, come una trezza. E poi, ancora, la paura orrenda dei luoghi comuni, il sordo furore di sentirsi venir sempre allo labbra le parole delle zitelle americane che girano caute e attente per i viali : bellissimo, meraviglioso, very fine, very mee, stupendo, miracoloso... Auff 1 Così, vi sorprendete ad ammirare fenomeni e presenze che con la celebrità della villa non hanno nulla a che fare: un cipresso squarciato e bruciato dal fulmine come da una bomba incendiaria, il naso rotto di una najade inzuppata come se portasse uno di quegli impermeabili verdi oggi di moda presso le signore, gli. spropositi fantastici di un cicerone ( a Salez, salez madame, la ville est grande...) ; e portate a casa di tanto prodigio, un ricordo confuso di lucori e di ombre, di musiche d'organo, come quando siete entrati in una cattedrale durante una funzione solenne. Villa Adriana fa sognare di più. Forse, quando era intatta, doveva apparire, come ancora appare Villa d'Este che le è sorta vicino troppo fastosa. Ma oggi, nella sua morte, è più chiara e leggera dell'ancor' viva compagna. Il sole vi sparia, intiepidisce i ruderi sparsi fra gli ulivi e i cipressi esili e allegri come sui colli toscani ; il marmo dei palazzi, frantumato al suolo, manda ancora candidi barbagli, capitelli e colonne par che aspettino soltanto una mano potènte, divina che li ricomponga, e subito apparirebbero lievi, leggiadri contro il cielo vasto sopra la campagna. Mentre là tutto era nobile pianto, qui, fra gli scheletri dei templi e dei palazzi imperiali, in questo interminabile cimitero di splendori, spira ancora un'aura di letizia. Forse è la tinta rosea dei ruderi che fa un'eterna alba sul pianoro, forse il silenzio, forse il vento limpido sopra l'erba dei viali; certo qui ci si ritrova ilari e svagati, vien voglia di mettersi a sedere per terra e star lì, l'occhio socchiuso, a lasciarsi assopire immaginando la quiete dei millenni quassù, dopo le orge e i fasti e la sopraggiunta barbarie, la lenta corrosione del tempo già compiuta, e quella che verrà nei millenni futuri, dissoluzione della pietra nel nulla, pace infinita. Che c'importa l'erudizione? Le bionde inglesi dalle grandi scarpe e dalle lunghe braccia, vogliono sapere come fu, come non fu, e se qui davvero avevano alloggio i pretoriani, se proprio là, in quel tempio così fresco e ombroso, Adriano coltivasse le sue più affettuose amicizie ; e quanti anni sono passati, e quanto spazio occupava il grande palazzo. Che importa? Il tempo muore, le memorie si confondono, le cifre rimangono più inutili che mai. A noi importano questa dolcezza non esausta delle vòlte e degli archi, questo immortale gorgheggio d'un usignuolo fra gli ulivi, queste belle nuvole bianche, che passano sotto il sole, e fanno ancor più silente la villa. nctlvmfcnsundsqssrlvqnMa Tivoli è innamorata dell'acqua, non c'è verso. E i miei ospiti gentili vogliono ch'io veda la terza meraviglia del luogo, le cascate. E' l'apoteosi dell'acqua. Laddove, nella Villa d'Este, era piantfl eie mssrtsrddsdHssgSacdzpgst(hntbgfdsbFuvtytitlctlniatmitilclfiicdgcrtaallfutdncssSneglLdzioMmdttdiudmciznmpscMtIIclansssadcActstoHtctdqulllmrrdusssdcm ante e un po' lezioso, qui è furore mantico, ira scomposta, tragedia oica. Precipita per 1 dirupi, con un agore di carri trascinati dalla piena, bianca e scomposta come una chioma di vecchia disperata gigantessa, giù nell.' 'c'ie, la massa dell'acqua. Nuvole di goccioline si levano dal fondo, volano in alto come minime farfalle, e si posano sulle felci, sul muschio, sulla roccia, facendo verdissime le piante e l'erbe, nera e scintillante la pietra. Il paese, sopra, par debba tremare come un vassoio di bicchieri quando le vene della mano che lo regge s'intUTgidiece al flusso troppo rapido del sangue: e non si sa come facciano, quelle casette azzurrognole e bigie, a stare in piedi ; nè come possano resistere, i tranquilli abitanti, a quel rombo continuo e che riempie tutta la vallata. Questa gente in guerra doveva starci come a casa propria, fra quell'interminabile tuonar di cannonate. Ai fianchi della cascata, ritti su e a n a e e e l a l a a u sporgenze di rocce, si vedono degli omini neri che tendono le mani come a sentir se piove ; Bono pastori anglicani che vogliono garantirsi sull'autenticità di quell'acqua precipitosa e di quél polverìo che ne risale al cielo; e sono certo parenti di quei talentoni che scrivono il loro nome sulle colonne dei monumenti. Vorrei tuttavia andarci anch'io, là vicino, per immaginar la vertigine delle oadute, per sentirmi quasi addosso il peso enorme ed effimero dell'acqua che 8'inabissa; ma bisogna far tanta strada... »*# Torniamo a Roma. La campagna nuda e silente mi rida il senso della terra, della vastità. Campagna acre, dove le greggi hanno una ferma dolcezza di fiori pallidi sui pendii dei colli, e dove i radi pastori fanno umana la solitudine e vivi gli orizzonti. G. B. Angioletti.

Persone citate: Villa Adriana

Luoghi citati: Este, Roma, Tivoli