La convulsa attività del finanziere nello sviluppo della sua disperata difesa

La convulsa attività del finanziere nello sviluppo della sua disperata difesa IL CRAK PESCARMONA La convulsa attività del finanziere nello sviluppo della sua disperata difesa Un pubblico esiguo ha presenziati ieri alla ripresa del processo contro il dottor Prospero Pescarmona, il finanziere travolto dai suoi sogni febbrili e dalla sua attività convulsa. Evidentemente i processi bancari, anche se hanno per isfondo una ridda di milioni (di milioni sfumati) non suscitano molta curiosità tra la folla. Atteggiamenti da lottatore Munito di una cartella contenente un voluminoso ■ dossier » e munito del libro dei cinque codici, il Pescarmona ha preso posto per tempo sulla panca degli imputati e si è accinto a proseguire la sua esposizione difensiva. Per l'intera giornata egli ha continuato a prospettare gli episodi, le fasi e gli sviluppi della sua clamorosa vicenda, ravvivando solo di tanto in tanto la monotonia del suo dire cori qualche attac co o qualche battuta polemica. Cosi, parlando per altre sei ore, egli si è sforzato di contrastare l'accusa e di confutare in anticipo le tesi che saranno addotte per sostenere la sua responsabilità. Il Tribunale lo ha lasciato parlare senza porgli ostacoli, limitazioni, ed il Pescarmona, ritto contro la sbarra, nella concitazione di qualche breve attimo di fervore, ha potuto assumere, anche esteriormente, l'atteggiamento del lottatore. Nella prima udienza egli aveva dato inizio alla sua autodifesa riferendosi all'imputazione di bancarotta semplice che gli era stata contestata per prima dal Presidente. Ma altre e ben più gravi accuse gravano contro di lui. Con quella di bancarotta fraudolenta, per avere sottratto una parte delle sue attività per una somma non inferiore al milione, egli deve rispondere di due imputazioni di truffa e di due imputa zioni di falso in cambiali. La prima truffa sarebbe stata consumata nel gennaio 1926. In quell'epoca il Pescarmona. stretto dalla necessità di avere danaro, ottenne'di far acquistare dalla Banca delle Seterie di Milano una 6ua tenuta di mq. 14.560 sita in quel di Lambrate. In pagamento, egli ottenne certificati azionari della Ditta « Venuti di Zoagli > ed una serie di buoni frut tiferi per l'Importo di un milione e 200 mila lire. Senonchè il Pescarmona aveva già precedentemente venduta metà della tenuta ad altri, oosicchè la operazione che aveva accompagnato la cessione del fondo risultò di natura truffaldina. L'altra accusa di truffa è scaturita da una operazione bancaria conclusa colla Banca Fratelli Monlaido di Dogliani. Tra il settembre 1928 é l'aprile 1927, il Pescarmona ottenne a mutuo dai Montaldo la somma di 2 milioni e 200.000 lire. In compenso egli rilasciò degli effetti cambiari, in parte a firma sua e della sua signora Erina Sacco, comportanti garanzie ipotecarie. Ma si accertò poi che le garanzie erano in sussistenti e che gli altri emittenti era no enti o istituti dissestati. I falsi in cambiale riguardano la emissione di una serie di effetti per l'importo di 250 mila lire, consegnati dal Pescarmona alla Banca S. Antonino di Pia cenza nei mesi di settembre e dicem bre 192-ì. Gli effetti recavano il timbro « Cassa Rurale di Montegnsso d'Asti e la firma di girata di don Carlo Fon go. Ma tanto il timbro che la firma non erano autentici. L'ultima accusa di falso riflette invece un giro cambiario diverso. U Iutificio S. Ambrogio di Susa era sovvenzionato dalla banca di cui il dott. Pescarmona era amministratore delegato. Ora questa azienda era autorizzata a garantire con ipoteche di primo grado uno stock di cambiali per l'importo massimo di un milione e 800 mila lire. Il Pescarmona, nel periodo compreso tra il dicembre 1926 e l'aprile 1927, per mezzo di notai, fece apporre la clausola di garanzia con ipoteca di primo grado su cambiali per l'importo di 2.046.730 lire. Una ultima imputazione di truffa è derivata infine al Pescarmona per l'emissione a vuoto dell'assegno di lire 87.750. Di tale assegno egli aveva ottenuto lo sconto dal signor Francesco Molino di Asti, il quale ebbe naturalmente a rimettercene l'importo. Le trattative per II salvataggio A questo insieme di imputazioni il Pescarmona si è riferito durante il corso della sua esposizione difensiva di ieri; per talune delle accuse, soffermandosi a discutere ed a confutare, per altre accennandovi invece sobriamente e quasi per incidenza. Riprendendo il suo dire, egli si è richiamato ai tentativi spiegati per ottenere il salvataggio della Banca di Chivasso, la cui situazione dissestata gli era apparsa quando assunse l'ufficio di amministratore delegato. Dopo altri tentativi, entrò in trattative con il comm. Zoccola, presidente della Banca Popolare Italiana, l'Istituto che fu poi dichiarato fallito nello stesso anno, in cui si ebbe il dissesto Pescarmona. Lo Zoccola gli richiese l'elenco delle sue proprietà immobiliari. Più tardi si recò anche a visitarle, trovandole di suo gradimento. Fu così concordato un piano, in virtù del quale si nominava un liquidatore dei beni immobili del Pescarmona, designato da-la Banca Popolare nella persona dell'avv. Labriola. E ciò per evitare l'accensione sugli stessi beni di ipoteche, che avrebbero determinato spese notevoli. In base al plano concordato, il Pescarmona avrebbe dovuto ricevere dalla Popolare la somma necessaria per il salvataggio della sua azienda bancaria. Senonchè, egli assicura, non ricevette che 100 o 150 mila lire. Quando si presentò per richiedere la somma residua. 6i sentì risponderà che la Popolare era in condizioni talli da non consentirle altri sborsi. Frattanto, però, erano stati venduti due stabili, che il Pescarmona possedeva hi Alessandria, ed una proprietà rurale, pure in quel di Alessandria. A dispetto di queste vendite, il Pescarmona si vi-de addebitato ancora della somma di 300 mila lire. E l'imputato, dopo avere ricordato che in quell'epoca le Casse rurali, colle quali ancora erano In corso le trattative per la fusione in un solo organismo bancario, avevano ritirato l'adesione data al progetto del raggruppamento, enumera gli altri tentativi fatti per il salvataggio della Banca di Chivasso. A Vinadio conobbe il comm. Andrete (il noto banchiere fallito, a sua volta, e gli richiese una sovvenzione di 250 mila lire, che gli fu negata. Si offrì di cediergli la Banca, ma anche questa proposta fu respinta dall'Andreis. Si rivolse allora ai signori Montalenti, facoltosi commercianti in terreni, perchè acquistassero le sue proprietà, ma le trattative non approdarono a nulla. I Montalenti temevano che, verificandosi il suo crollo, 1 contratti di cessione non dovessero poi essere considerati validi. Esito negativo ebbero pure le trattative corse colla Banca di Moncalvo. — Intanto, — soggiunge l'imputato, — il legale di Siena, che mi aveva fatto trattare la fusione colla Banca dell'Italia Centrale, con quel bel risultato che ho già detto, si uccise. Egli venne dichiarato fallito «post-mortem». a o i e a n r l e a a a i e i e a a a a a a a e o e ò a , i n i i o n i o i i a e i e e e n i a e i o i in circolazione Insieme ad altri effetti che recavano la mìa fal6a «Irma. In quel momento difficilissimo, avviai le trattative codia Banca delle Seterie. Forse non ho trattato abbastanza delicatamente con questa Banca, ma bisogna pensare alle condizioni in cui mi trovavo... Da 2 milioni a... 10 mila lire Il dottor Pescarmona rievoca i termini dell'operazione conclusa colla Banca delle Seterie : i valori avuti e le garanzie offerte, ed il Presidente osserva: Ma non ha offerto in garanzia anche un quadro che asseriva fajsamiente essere del Mantegna? Imp. : — In quel momento ero disposto a sacrificare le mie proprietà, e mi sarei risolto a sacrificare anche l'opera d'arte. Ma parlando del quadro, io non ho affermato che fosse del Mantegna. Dissi che lo attribuivano al Mantegna. 0 a Gaudenzio Ferrari. PTes. : — Non ha detto ette U quadro valeva 2 milioni? — Ho detto che se fosse stato del Mantegna avrebbe avuto un valore forse di due milioni. Si trattava in effetto di un'opera pregevole, per cui si erano interessati tutti i competenti. Pres.: — Tanto pregevole che dalla vendita non si sono ricavate che 10 mila lire! L'imputato riprende il suo racconto e narra die del corso delle trattative coll'Istituto di Milano la Banca Popolare riuscì ad essere informata. Uno dei suoi amministratori, il cav. Dina, si presentò a lui e dicendosi autorizzato dal Consiglio di amministrazione lo indusse a cedere alla Popolare la tenuta a Felsini • in Toscana. La cessione fu pattuita per il prezzo di 7 milioni. Di questa cifra il Pescarmona ebbe ben poco in contanti, per due milioni di certificati azionari e per il resto delle cambiali. Ma era da poco avvenuto il trapasso di proprietà colla redazione del contratto definitivo che le condizioni dissestate della Popolare si rivelarono. U Pescarmona pensò che se non poneva mano al salvataggio della Popolare, sarebbe stato definitivamente rovinato. Abbandonò così al suo destino la Banca di Chivasso e si occupò della Popolare, di cui era il maggior azionista ed uno dei maggiori creditori. Un episodio Il Pescarmona apre di tanto In tanto delle parentesi per soffermarsi su episodi che dovrebbero dimostrare come egli non perseguisse Ani dolosi. Così egli racconta quest'episodio che può < dimostrare molte cose ». Un giorno in cui era stato preavvertito della imminente scadenza di un cospicui rateo di imposte, gli venne offerto in vendita, a condizioni vantaggiose, uno splendido collier cesellato. Egli avrebbe voluto acauistarlo per farne un regalo alla sua signora, ma era esitante, dato l'impegno che aveva verso 1 Esattoria. Fu la sua consorte stessa che gli tolse ogni esitazione: — Rinuncia pure all'acquisto del collier — gli disse — adoprerai i denari che occorrono per questo acquisto a pagare le imposte. — Cosi avvenne, dice 1 imputato, quasi attendendosi un elogio per il suo comportamento. Ma il presidente gli toglie ogni illusione ed osserva: — Ha fatto null'altro che li suo dovere. E il dott. Pescarmona prosegue rian. dando gli avvenimenti che segnarono la fine della Popolare e ricordando come tutte le altre conchiusioni intese a salvare la posizione, non si resero possibili per circostanze infinite. Quanto alle cambiali sulle quali venne apposta falsamente la attestazione di garanzia ipotecaria, egli protesta di essere stato estraneo e di non avere comunque sollecitato l'apposizione deS2L S8e5?tì ,n°tari»' Nei riguardi dei fratelli Montaldo sostiene di non aver usato alcun raggiro per ottenere da loro la sovvenzione. Ricorse ad essi quando occorreva sostenere la Banca Popolare e non ebbe vantaggi personali dall'operazione, fi processo continuerà oggi. scstrlascaGsquipltmvNpcGrl