Le vicende delle navi di Nemi

Le vicende delle navi di Nemi Le vicende delle navi di Nemi DI tutte le vicende che 1 ruderi romani si trascinano dietro nel volgere del secoli, quella delle due navi sommerse nel Lago di Nemi è fra le più singolari e anche, — perchè no?, — fra le più bizzarre. Perchè sono oramai cinquecento anni — e un mezzo millennio ha la sua importanza nella storia degli uomini, — che si discute allegramente intorno alla loro esistenza, e durante questi cinquecento anni, a intervalli regolari, si ripetono le stesse sciocchezze come se l'argomento fosse nuovo. « Le navi non sono mai esistite » — dicono gli uni. — « SI » — rispondono gli altri. — « Sono esistite, ma non erano navi ». — « Dopo tanti secoli di immersione, non c'è rimasto più nulla » — ribatte un terzo. — « invese, _ conclude un quarto — c l'acqua e la melma lacustre le hanno protette, quasi fossilizzandole » — « Bisogna trarle fuori dell'acquai » — grida un quinto. — ■ Bisogna invece abhassare il livello del Lagol » — si sfiata a ripetere un sesto. E tutto ciò con la regolarità di uh cronometro, di secolo in secolo, quasi che le esperienze passate non abbiano giovato a nulla e le polemiche tanto ferocemente dibattute non abbiano lasciato traccia. Cosi che quando l'altro giorno, nel luogo dove si sapeva benissimo doveva essere sommersa la" prima nave, 'ia amorato fuori dc;ie acque abbassate un troncone di tavola, si è quasi gridato al miracolo. E i sostenitori della teorìa che le navi non esistessero, hanno detto che quel troncone non significava nulla. Mentre per conto loro gli assertori della loro esistenza hanno replica to che quella prova distruggeva ogni dubbio. E nessuno ha pensato — nell'eccitazione delle proprie passioni — a rifare un po' la storia di queste due navi sommerse, della cut esistenza nessuno ha mai dubitato. Solamente vi è sta^o qualche archeologo — e non dei minori — che si è dimandato se valesse veramente la pena di intraprendere cosi urgenti lavori, nella speranza di ricuperare un materiale di dubbio interesse. Perchè oggi le cose stanno precisamente a questo punto: che le due' navi esistano, nessune può metterlo in dubbio. Che il loro stato di conservazione, dopo 1 molteplici tentativi di iticupero, debba essere più tosto malandato, è cosa che 1 più modesti cultori di scienza archeologica =i vergognerebbero di dubitare. E finalmente che nella migliore delle ipotest, le suppellettili e le opere d'arte in esse conservate siano di assai mediocre va ore, si può dedurre — e lo vedremo fra breve — da quello che finora è stato ricuperato. U tentativo di recupero del 1440 Fu il Cardinale Prospero Colonna, signore di Nemore e di Cinthiano, che verso il 1440, fece il primo tentativo per ripescare le due navi, Flavio Biondo, da Forlì, nella Sua Roma ristatirata et Italia illustrata, che Lucio Fanno tradusse ;n volgare, ed annotò, ci fa sapere come questo disegno nascesse nel pensiero del porporato il ustre. • Avendo da quelli dì Nemore » — egli scrive — « inteso alcuna volta che erano in quel luogo due navi annegate e che non erano còsi putride ancorché se ne venissero a pezzi con e reti che vi si erano alcune volte impicciate, fece suo disegno di ricuperare ». E, perchè questo ricupero avesse garanzia di serietà, chiamò a dirigerlo Leone Battista Alberti, il quale — in mancanza di qualsiasi apparecchio che permettesse una lunga esplorazione otto acqua, fece venire da Genova «aluni marinari, .-"he nuotavano come esci, li quali attutandosi giù nel fono del Lago, sapevano dire quale fusse a grandezza delle barche e quali ruserò le intiere e le rotte ». Nè questa rima immersione si fermò a un semlice scandaglio, che quei palomharl enovesi attaccarono alle paratie delle avi alcuni grossi uncini di ferro, e uindi per mezzo di grosse funi sosteute da botti galleggianti tentarono di rarre a galla le navi. Ma 11 tentativo on riuscì, e solo per lo sforzo fatto i spezzò la prora che cosi frantumata fu tratta a riva, dove da Roma enne gran folla per ammirarla. • Essa ra composta » — è sempre il Biondo he parla — « di tavole grosse tre dita i un legno chiamato larice; e tutto inorno al di fuori era coperta di una uona colla" di color giallo o purpureo; sopra questa vi erano tante .piastrelle i piombo chiavate con spessi chiodi on di ferro ma di bronzo. E v'erano nche Diclina fistole o tubi ili piombo unghe due cubiti e ben massicce, le uali si vedeva che erano attaccale maadpCuf runa all'altra ed atte a girl molto In lungo ». Su questi tubi erano incise lettere che dimostravano assai chiaramente essere staté^jstruite sotto il regno di Tiberio. Fra le molte personalità che visitarono quella « mirabile invenzione » vi fu anche il Piccolomini — che fu Papa sotto il nome di Pio II — e che scrisse nei suoi comentarl di avervi veduto una: arcam. terream seti cupream, quaivor anulls colligalum et hydriam ticlilem cuius copertortum aeris deaurati fuerit. Ma di questo forzierino, coperto di bronzo dorato, non si hanno ulteriori notizie nè si sa dove sii andato a finire. Cento anni dopo...In pieno secolo XV — cinquecento anni or sono, cioè — si tentò dunque un primo salvataggio delle navi di Nemi, con questo bel risultato, di sconquassarle malamente e — almeno per una di es6e — d'infrangerne l'unità costruttiva. Cento anni più tardi, intorno al 1550 cioè, si ritornò alla carica e fu l'illustre architetto bolognese Francesco de Marchi, che tentò di persona il recupero. Costui, nel 6uo trattato di Architettura militare, ci narra con molila vivezza e non senza un qualche accenno umoristico, la storia di quer suo tentativo. Per scendere nel lago egli adoperò una specie di campana subacquea inventata da uno strano omiciattolo, ceno Guglielmo Sa Lorena « huomo di grandisisma barba e folta che li passava la cintura un mezzo palmo e se ne faceva le trezze innorno al capo, ma era huomo di grande ingegno ». In che cosa consistesse l'apparecchio del loren-ese non si sa, perchè il De Marchi dovette giurare di mantenere il segreto iinitorno alla sua struttura; ma si può ritenere che fosse una sorta di campana pneumatica la quale iion doveva oltrepassare la vita, si che gli arti inferiori rimanevano liberi dei loro movimenti. Ma l'immersione del De Marchi non dovette esser lunga « massime ch'io portai » egli narra « quattro onze di pane e una di formaglio con esso meco per magnare; e perchè il pane era duro et nero se sbrizulava dove concorse tale moiititudi.rue de pesci che mi cingevano intórno dove io era senza braghe e ne andavano a piccare in quella parte che 'huomo può pensare ». Con tutto ciò egli discese nel lago una seconda vola: « e stetti un hora in basso e llgai una parte della sponda alla barca, la quale con un argano che havevano di sopra in su un ponte di barche, tras timo tanto di questo legname che avercssimo potuto caricare due buonissimi muli. Il quale legname era di più eolie; v'era larice pino e cipresso; co si fu giudicato a Roma da tutti gli vaenti huominl ». Nè lo epogliamento della nave sii arrestò qui, che il De Marchi portò a riva mattoni « li quali erano 'rossi com'è .carmesino » e pezzi di smalto e una gran quantità di fistole di piombo, di chiodi d'ogni grandezza e ogni sorta di reliquie che poi gli vennero rubate e andarono disperse senza che egli sapesse dove fossero inite. Le tavole delle navi vendute come legna da ardere E siamo alla terza esplorazione, quella che nel 1827 tentò il cavaLier Annesio Fusconi, servendosi per la dicesa sott'acqua dell'apparecchio al ora Inventato dall'inglese Halley. E a prima discesa avvenne il 10 settemre di quell'anno, discesa della quali» l Fusconi ci ha lasciato una Relazione molto particolareggiata. • Discesi marangoni nella campana » egli scrie, • poco stante diedero U segno e ratti fuori mostrarono alcuni mattoni ntelaiati di ferro con l'iscrizione Tib. aes. e vari chiodi di metallo plaudeno quanti erano ivi radunati, nei suseguenti giorni feriali si fece il medeimo fino al 28 di quel mese, perentoio giorno che si legò un oggetto tondo i metallo.' non avendolo saputo decrivere 1 marangoni e strappatesi le omene non fu potuto estrarre ». Ma n queste molteplici discese — erano urate oltre venti giorni — « si trassero na gran quantità di tavole di legnami d'ogni sorta e proprie a formare gni qualità di masserizie di nobile ppartamento ». Inoltre furono portati terra molti pezzi di mosaico, tavolii di cotto, tubi di piombo, frammenti i pavimento, capitèlli e tubi che in arte vennero acquistati dal Cardinale amerlengo per I" musei Vaticani e in arte furono riposti in un cortile di| na casa dei principi Tot-Ionia. Quivi,I a le altre cose, vennero accatastate! tzsmnnrdmddilgm le tavole e l fasciami di legno, che il Diario di noma annunciò essere posti in vendita per chi volesse provvedersi di legna da ardere per l'inverno. Furono anche fatti bastoni da passeggio, scafo,!*? e tabacchiera per gli amatori di curiosità romane, con quelli avanzi!; ma l'industria non ebbe fortuna. Di tutta quella roba esiste ancora un do dimenio: una eliografia nella quale è riprodotta la catasta ri-ei legnami rimessa nel cortile dei Torlowla. L'esplorazione del 1855Quarta ed ultima esplorazione: quella fatta a spese sue e col beneplacito della principessa Giulia Orsini, proprietaria del lago, nell'agosto del ISfl.j, ria Eliseo Borghi, che vi spese circa 30 mila lire e dovette sostenere polemiche senza fino, alle quali parteciparono Felice Bernabei. allora direttore generale delle Belle Arti, il prof. Giuria e il Lancfn.nl e — con maggiore o minore autorità — quasi tutti i giornali cittadini. Non è qui il caso di far la storia di quelle polemiche le quali sono d.i ieri: basti dire che i! Giuria, usando l'opera di esperti palombari potè ricuperare molti oggetti di bronzo e spingere le sue ricerche fino alla seccida nave affondata più oltre verso il centro del lago. La quantità di oggeti recunerati e la loro importanza fu tale che il Governo di allora - Ministro della Pubblica Istruzione era il Baccelli — credette di dovere intervenire sia col sequestrare 11 materiale archeologico sia col dare incarico all'ingegnere Malfatti — della Regia Marina — di studiare quanto potesse farsi per il totale ricupero delle navi. E l'ingegnere Malfatti fino da allora e contro 11 parere dello stesso Borghi, propose senz'altro l'abbassamento del livello (lacustre per potere così esplorare senza pericolo di ulteriori rovine, il terreno su cui posavano le due navi sommerse. Ma come spesso accade, non si fece nulla nè in un senso nè nell'altro; non si provvide nè meno a custodire I frammenti tratti a riva « Erano — scrive il Borghi — più di quattrocento metri (!) di tavole, che sarebbero serviti eome elementi principali nell'eventuale ricostruzione di quei monumenti e che-almeno avrebbero rappresentato le linee fondamentali per la ricostruzione ideale di essi ». Lasciati invece incustoditi sulle rive del lago, in parte andavano distrutti dalle intemperie e in parte furono adoperati dai borghigiani del paesi vicini .per loro uso personale. La triplice essenza di Diana Questa è la storia veridica e documentata dei varii tentativi fatti durante cinquecento anni, per ricuperare le due navi sommerse. Ma con tutto ciò, anche oggi, sarebbe difficile dire se veramente si tratti di vere e proprie navi o più tosto di galleggianti sopra i quali sarebbero stati costruiti chioschi, tempietti e luoghi di ritiro da usufruirsi nei grandi calori estivi. E anche non si può dire con sicurezza se quei due galleggianti — chiamiamoli pure cosi, che è più sicuro — furono come vogliono taluni, padiglioni Imperiali o dipendenti di quel Tempio di Diana che sorgeva su quella sponda e che durante l'antichità romana aveva goduto di una grande celebrità. Celebrità dovutagli sia dalla tradizione delle origini divine del culto alla Diana Nemorense, da cui sarebbe derivato il nome a tutta la contrada; sia dall'es senza stessa del suo sacerdote, il quale non veniva già nominato dalle auto rità religiose di Roma, ma era conquistato con l'arma In pugno da chlun que volesse cimentarsi con lui. onde era fatto suo successore colui che lo avesse ucciso in singolare tenzone. I! Borghi — che propende per quest'ut ima ipotesi — trova una singolare inerpretazione, non priva di ingegnosità, circa il colore delle decorazioni che adornavano le navi: decorazioni che sono costantemente a fasce bianche, rosse e verdi. Secondo lui, questo tricoore, rappresenterebbe la triplice essen a di Diana: celesta nel bianco espres ione di luce; infernale nel rosso Immagine del fuoco sotterraneo e terrestre nel verde, che è l'aspesto eterno del nostro breve mondo. Ma di tutte queste ipotesi, si potrà die l'ultima parola quando gli avanzi elle navi cosi lungamente e tenacemente fracassate, potranno essere stuiati con maggior cura. \on ci resta unque se non aspettare che i tecnici quali con tanto ardore proseguono opera loro di prosciugamento del lao,'abbiano finalmente scoperto auesto mistero secolare. Diego Angeli. updgd

Luoghi citati: Forlì, Italia, Nemi, Roma