Pasqua longobarda

Pasqua longobarda Pasqua longobarda — O di, dona Lombarda, amel-me mi. — O crae vurl-v ch'a tassa? A l'o 'r mari. — O di, dona Lombarda, lum-rl mori. Così cantava un tempo qualche vecchietta piemontese, e nella sua canzone si svolgeva tutta una terribile storia: ii seduttore voleva che la donna lombarda avvelenasse il marito con un sistema originale, consistente nel pestare entro un po' di vino la testa di un serpente. La donna lombarda obbediva, indicava i>iù tardi al marito di ritorno dalla caccia il vino preparato con tanta cura; ma il marito non beveva, anzi consigliava alla moglie di dissetarsi prilliti di lui. Ella, neutralmente, si schermava affermando, tutta spauiùta, di non aver sete affatto; ma l'uomo — che invece di bere aveva mangiato la foglia — sguainava tanto di spada.e, deciso a cogliere l'occasione propizia per ridiventare scapolo, la costringeva ad ingurgitare l'orribile miscela. La donna lombarda mori, ma pare che avesse già, anche prima di allora, qualche peccatuccio sulla coscienza, per cui la punizione non giunse male a proposito. La vecchietta, che cantava tanti anni or sono, aggiungeva poi Anita la canzone, che il fatto era veramente avvenuto in un tempo lontano, quando scesero in Italia certi! stranieri feroci dalle barbe che non finivano più. Quei feiroci stranieri del nord erano venuti anche a Torino, avevano imprigionato — miscredenti com'erano — il buon vescovo della città Sanf Orso; le loro donne avevano insegnato alle nostre, che pare, ne avessero ancora bisogno, il metodo brevettato per tradire i mariti; questi, alla lor volta, avevano appreso come si fa a trucidare . le mogli infedeli; insomma — e la vecchietta faceva un gesto d'orrore — Torino era diventata la città dell'anticristo: perfino nel santo giorno di Pasqua si-.truoidavano in chiesa quei barbari, mentre le pie campane suonavano ore:di ,pace e di preghiera. Leggenda, confusa leggenda del più oscuro medioevo,.{sotto il velo della quale però palpita, sebbene malnota, )a realtà della storia. Di Torino longobarda rimase fino ai tempi moderni vestigio nel nome della chiesa di San Pietro, situata all'angolo delle vie del Gallo e dei Pasticcieri, la quale, per essere vicina alla corte era detta San Pietro de Curie Ducis, e corrispondeva all'odierna parrocchia della Trinità. In quelle vie tortuose della vec chissirn.a Torino ebbe il suo centro, la sua corte un fiorente ducato longobardo che visse giorni di potenza nei secoli sesto e settimo; oreficerie forse longobarde furono pure dissepolte presso il Lingotto, e conservano oggi ancora una loro massiccia grazia quei fermagli, quegli orecchini, quelle catenelle che un guerriero rude forse donò alla bellezza fragile di qualche leggiadra torinese di allora. £a cronaca di Paolo Diacono ci racconta che nel '568 i Longobardi, sotto la condotta del feroce Alboino, scesero alla conquista dell'Italia settentrionale. Moglie di Alboino era la bella, disgraziata, infedele, criminale Rosmunda, alle cui vicende si collega la vecchia canzone popolare piemontese della Donna Lombarda. Anche il Piemonte fu conquistato 'dai barbari del nord, e Torino divenne cosi capitale di un potente ducato 'di frontiera. Aiitiari, terzone Longobardo, volle sposare una principessa di grande Ftirpe e scelse la buona e bella Teodolinda di Baviera; alle nozze celebrate nella nostra città intervenne anche Agilulfo, allora duca di Torino'; ma, durante la festa, scoppiò un temporale, ed il fulmine cadendo abbattè un trave del soffitto. Autari, superstizioso, chiese spiegazione del fat> to;ad un suo aruspice fanclulletto, il quale apertamente rispose die il prodigio significava che la. novella sposa sarebbe presto diventata la moglie di Agilulfo. La storia non ci dice, ma noi possiamo agevolmente supporre che la profezia non fece gran piacere al povero sovrano longobardo. Tuttavia l'aruspice fanciuflletto doveva essere davvero un gran lettore dell'avvenire, perchè Autari mori po co tempo dopo, e Teodolinda scelse per nuovo re e marito appunto il duca di Torino. L'incontro fra i due sposi avvenne a Lomello, e questa .volta nessun trave del soffitto ebbe la cattiva idea di cadere a guastare la festa. Invece si narra che durante il convito la regina, dopo aver bevuto in' un'aurea coppa, la offri ad Agilulfo, il quale galantemente le baciò la mano; ma Teodolinda, pratica e spicciativa, gli osservò : « Perchè baci sulla mano colei che hai diritto di baciare sulla bocca? ». E' solo una domanda, ma (forse lo storico non registrò la risposta, perchè fu piuttosto materiata di fatti che di parole. Si ricorda Agilulfo come un buon re propizio al nostro Piemonte: egli infatti protesse i cattolici, riscattando presso i Franchi che lo avevano fatto prigioniero, Ursicino vescovo della diocesi torinese. Questo prelato fu a lungo confuso con Sant'Orso, ma finalmente nel 1843, mentre si facevano scavi nel primo cortile del vecchio palazzo reale, venne alla luce un sepolcreto chiuso da una gran lapide di marmo bianco, la cui epigrafe funeraria diceva chiaramente trattarsi jdi_Ursicino. Le ossa_del vescovo, ancora" ben " conservate,- colla lapide furono poi' trasferite nella Cattedrale, in fondo alla navata sinistra. Agilulfo ebbe certo una singolare devozione per San Giovanni, perchè & questo santo fece erigere un tempio a Monza ed uno a Torino, dove aveva tenuto la sua corte ducale:' questa anzi è forse l'origine prima del duomo della nostra città. Intanto nuovo duca di Torino era 'diventato Ariovaldo, che aveva sposato Guadelinda, figlia di Agilulfo. Pare che costei avesse dato a sospettare al marito circa la sua fedeltà coniugale, ed un certo Ataulfo riuscì facilmente a persuadere Ariovaldo che la moglie lo tradiva; venne cosi rinchiusa nel castello di Lomello e vi rimase dolorosamente tre anni. Poi un tal Fittone, paladino audace di belle prigioniere, difensore dell'onestà calunniata, dichiarò pubblicamente l'onestà di Guadelinda, sfidò 11 calunniatore Ataulfo, e lo abbattè in singoiar tenzone; cosi, secondo la moda curiosa dei tempi, rimase provata l'innocenza della povera moglrte, che 11 marito fe ce liberare e riprese con sè. Pittone diventò l'amico di famiglia, e non è da escludersi che ciò che non era forse accaduto prima, accadesse dopo sotto gli occhi del marito ormai tranquillo e fiducioso mezzo nientemeno ette un giudizio di Dio. anzi il primo esemplo di giudizio di Dio eseguito in Italia I -Certo i duchi longobardi di Torino Bettero sempre materia per una ragione o per l'altra alle cronache di raccontare i fatti loro; ad esempio nel l'anno di grazia 662 era duca di Torino Garibaldo, ma il giorno di Pasqua cessò di esserlo. Garibaldo era un principe abile ma perverso, ed aveva con Iniqui maneggi contribuito a far uccidere il suo legittimo re e signore Go-tdtvrdpfStpvgtnrclvecsnuqcqmd'altronde c'era stato diUaberto, guadagnando nell'opera delit tuosa molte ricchezze che si apprestò a godere tranquillamente dopo il suo ritorno a Torino. Ma tra i famigliari del povero re ucciso vi era anche un torinese, che i cronisti dell'epoca ricordano piccolo di statura, agile e pronto d'ingegno e di mano, il quale volle vendicare pubblicamente il suo signore. Venne perciò a Torino e decise di compiere il grande atto di giustizia proprio nel giorno di Pasqua. Suonavano a distesa le campane, la folla gioconda gremiva il tempio di San Giovanni, ed il duca Garibaldo entrava con grande corteo nella chiesa per assistere alle sacre funzioni, n vendicatore intanto — quasi per meglio vedere — era salito sul fonte battesimale : di lassù, con uno scatto felino, balzò sul duca che passava sorridendo, e lo trafisse con un pugnale che teneva nascosto tra le pieghe della veste. Un urlo d'indignazione si levò echeggiando fra le sonore navate, ed il vendìtatore sacrilego, trafitto da cento colpi, cadde mescolando il suo sangue con quello del principe ucciso. Barbari tempi, di cui Torino buona non conserva che vaghi ricordi: per una sola lontana Pasqua di sangue, quante infatti nel giro ampio dei secoli le Pasque di gioia serena, di tranquilla pace cittadina, mentre la Primavera ritorna con tutti i suoi sorrisi 1 Luigi Collino.

Persone citate: Garibaldo, Longobardo, Luigi Collino, Paolo Diacono, Sant'orso