Il giovine Schiller

Il giovine Schiller Il giovine Schiller g— o Alcuni anni fa pareva si dovesse assistere ad una rinascita schilleriana. Nou si era mai cessato dal rappreentare .Schiller in Germania; da alcuni lustri, però, le rappresentazioni avevano un carattere sempre più opaco, tra il dovere d'obbligo e l'esercitazione tradizionale. Il presente drammatico si chiamava Hauptmaun, Strindberg, Wedekmd... Come lasciarsi ancora commuovere dai ben noti guai di Wallenstein e di Maria Stuarda, dalle ben note fiamme di Luisa Miller e della Pulzella d'Orléans.' Quand'ecco guerra e catastrofe portare al primo piano (protagonista dolorosa in Germania, perchè impedita d'affermarsi) la gioventù. E allora si cercarono nel passato nazionale le figure più ricche di giovinezza, allora insieme con Hòlderlin, con taluni romantici, con taluni Stùrmer und Drànger ritornò anche Schiller. Si lasciarono in disparte i drammi della maturità, troppo intrisi di un idealismo a cui si volgeva dispettosamente le spalle, per ripor mano ai primissimi lavori dell'esordiente ribelle. Naturalmente i « Masnatlieri d, ma anche il « Fiesco ». lticordo di avere assistito ad una recita dei « Fiesco » a Monaco e ricordo l'ammirazione concorde del pubblico e della critica per questa debole macchina teatrale. E non si applaudiva tanto, in quégli anni rivoluzionari, alle tirate repubblicane di Verrina o alla punizione del tiranno fattosi scala «della libertà, quanto proprio al tenebroso eroe che, potendo esser Bruto o Cesare, sceglieva la porpora. Si diceva : qui è lo Schiller originario. Spirito riflesso egli è divenuto poi ; finché la filosofia non gli ebbe tarpate le ali, era una natura fortemente elementare. Tra le nature elementari del passato lo spirito espressionista del tempo cercava appunto i suoi classici. Dopo pochi anni quegli entusiasmi erano caduti, Schiller rientrava nella luce della sua consunta aureola. E' rimasto il problema : in che consiste l'elementarità artistica, o più semplicemente la poesia di Schiller? E' noto il giudizio negativo di Benedetto Croce, il quale consentiva con quello più o meno timidamente espresso da molti critici e letterati tedeschi d'oggi, ila un giudizio sommario di valore può servire soltanto di orientamento nella questione. E se gli studi tedeschi sopra Schiller abbondano — filologici del resto i più — in Italia di complessivi e minuti non ce n'era. (Non van dimenticati naturalmente gli studi di Mazzini, De Sanctis, A. Farinelli, L. Tonelli, E. Levi, ecc.). E' stata perciò una buona idea quella di G. A. Alfero di mettersi con spirito impregiudicato dinanzi all'opera schilleriana per vederla nascere dal tempo e dalla personalità del poeta, fermandosi intanto sulla prima parte di essa (G. A. Alfero, Schiller, I drammi della giovinezza, Torino, Paravia, 1929). Lo studio dell'Alfero, informatissimo, serio e solido ci presenta il giovane Schiller attraverso il racconto critico della sua formazione spirituale e l'analisi dei Alasnudieri, del Fiesco, di Amore e raggiro, del Don Carlos; racconto serrato, analisi amorosa. Non un epitome nè un rimasticamento di concetti altrui; una bella tela utile di ricerche e conclusioni personali. Chiuso il libro si sente voglia di fare ciò che i libri ben fatti di questo genere suggeriscono, tirar giù dallo scaffale i volumi del poeta. Le sere sono ancora invernali ; rileggiamo volentieri quelle storie di generosi furori e di miserevoli morti. Diceva già con acuta crudezza Hebbel, che per non usare ingiusti^ zia a Schiller, conviene tornare a lui dopo pause di anni. E invero, parlando così alla buona da lettori spregiudicati, alla lunga quell'atmosfera di sentimenti surriscaldati, di eroismi magniloquenti, di gesti enfatici può diventare insopportabile. E se allora viene in mente Shakespeare, la ipolemioa cogli imprudenti esaltatori dell'elementarità schilleriana appare una inutile crudeltà. Ritornando invece a quei drammi dopo la pausa prudenziale, ci ni trova disposti ad accettar tutto assai benevolmente. Si accetta la sconcertante meccanicità dell'azione, la fastidiosa retorica dai discorsi come requisiti che non bì saprebbero immaginare mancanti. Perchè non all'eternità umana, che è l'enorme sfondo dell'opera scespiriana, si deve pensare per ambientarci giustamente, ma ad alcuni decenni di un secolo ben determinato. E' l'aria del Settecento che si respira qui. Sebbene, nella anticipazione scenica, il secolo evidentemente già pieghi alla sua tragedia, non riusciamo a dimenticare la dolcezza idillica che del secolo era stata il segno più caratteristico. Molti germi violenti, molti acidi corrosivi si son già messi all'opera, e provocano infatti tempeste e rovine. Sopra di esse tuttavia riusciamo a intravedere l'arcobaleno di una nuova, magnifica felicità. Se in Alfieri si è potuto salutare il poeta della libertà anarchica, che solo nella morte trova liberazione, Schiller dà appena per brevi momenti, quando la catastrofe precipita, il brivido della mor- dgssgstimismo del secolo arcadico ch'egli va trasformando nell'ottimismo del secolo idealista. Ai suoi inizi è ancora un sogno utopico, di una utopia politica. E anche questo è Settecento. Gli eroi schilleriani sono tutti ribelli all'ordine vigente, perchè quell'ordine, degenerato in oppressione, distrugge la felicità del giusto. Per riconquistarla essi devono cercar di restaurare giustizia e libertà. Anelano così a dei beni generali, paladini, col loro dolore, del dolore di tutti i loro simili. Quindi la loro genericità, quindi la loro retorica. A che caratterizzare, 6e il motore drammatico è [un'offesa recata agli inalienabili dì* te. La base del suo mondo è la speranza e la volontà della vita. E' l'ofc-J o i a a l e , l ; i i i a ^ o a ritti umani? Violato, nella persona dei protagonisti, è il diritto di tutti gli uomini ; così il loro dramma riesce un dibattito tipico, b> loro protesta una prova oratoria. 11 marchio della sua missione era già sulla fronte del fanciullo. Uno dei giuochi preferiti del quale — riferi sce la sorella — era di salire sopra una sedia, pensar d'esser sacerdote sul pulpito e di lassù declamare ad un pubblico immaginario. E un altro tratto dell'adolescente si può rammentare : nelle rappresentazioni del teatrino famigliare e in quelle del collegio la sua enfasi era tale da annullare ogni efletto. Convien mettere quell'enfasi in rapporto diretto colla retorica schilleriana per veder questa nella sua vera natura, che è lirica. Qui forse è possibile parlare di elementarità. Tutti i biografi riassumono colla medesima parola la giovinezza di Schiller: ardore. Egli non portava nel suo petto un nuovo contenuto, come Goethe. I contenuti della sua arte li mutuò (osserva Gundolf) sempre da altri, da Rousseau, da Shake-speare, 4* Kant, da Goethe. Il suo compito era di mediatore, di elaboratore, divulgatore; e infatti seppe trasformare in formule plastiche quello che altrove era forza e fantasma. Non si trattava però di una operazione cerebrale o di mera ragione. Così necessaria era a tal opera la giovinezza, che Schiller ne morì, quando la sua giovinezza fu consumata. Alla base di ogni sua ispirazione è, certo, sempre uno spunto morale; mal si ravviserebbe tuttavia nel suo moralismo una musa pedagogica. Già per tutto il Settecento la « virtù » è una tenera maga, che non perde il suo fascino mai, per quanto convenzionale diventi il suo culto. Schiller la spoglia degli attributi arcadici e ne rimette in luce il volto di dea. Ponendosi al suo servizio l'erede del pietismo svevo si consacra ad una missione religiosa. E invero il contenuto positivo anche dei primi drammi non era nella sorte, bensì nell' anima di quegli eroi. Son tutti degli adolescenti, e si assomigliano tutti. Figli di priva ti d di principi, in lotta contro la società, contro un padre inumano o contro un' tiranno la loro posizione è la medesima, il loro problema il medesimo. Da capo, a che caratterizzare? La loro tragedia è in fondoi l a i o l quella di una forza vitale che non può distendersi, di una giovinezza impedita di trovare la propria ve rità. Marionette legate ad un filo (ma attaccate a quel tal centro di gravità di cui parlava Kleist), de vono sgambettare inutilmente sotto il pugno che li tiene. Poiché di vin cere è loro negato, tutta la energia di cui dispongono deve consumarsi in conati di parole. Nelle loro <r tirate dunque si concentra tutta la loro anima. Il nostro gusto trova quei discorsi caricati, esagerati; eppure il fiore lirico del dramma è in essi. Non sono esercitazioni, non è retorica nel senso volgare della parola. Tutto l'ardore di cui Schiller eTa capace si rovescia qui con foga tumultuaria, senza bene spesso trovare le parole liberatrici. Sono il più delle volte Lieder oline Worte, una collera, una angoscia, una fede, una disperazione che, rimauendo inespresse, si può dire restino sotto la maschera assunta allo stato di natura. Che ad ogni modo qui sia l'oscuro centro lirico dell'opera, lo mostrano i drammi in cui Schiller riuscì a trovar meglio la sua forma incominciando (non dal troppo lodato Amore e raggiro) dal Don Carlos. Dove le tirate cessano d'esser mera oratoria per diventare, almeno a tratti, poesia. Poesia nata dalla riflessione, si suol dire. Io credo che bisognerà riprendere in esame questa definizione, che sa troppo di condanna. Quando è criunto a questi vertici, Schiller non riflette, non discute, non ragiona più. E' di fronte alla sua verità, alla sua dea, è inebbriato di lei e adora. Heb bel, che notava come Schiller nel creare procedesse dal generale al particolare, trattando l'argomento a sruisa d'esemplificazione diretta a dar forma concreta a un^tdea, affermava poi che proprio nei drammi era la sua lirica maggiore. Poiché questa lirica sgorga sempre dalle commozioni della coscienza, dalla vita non in quanto è moto elementare, ma in quanto è moto morale. Onde l'opportunità a farla nascere di un conflitto drammatico, onde la legittimità — artistica — dell'azione teatrale. Solamente col Don Carlos Schiller trovò la sua terra ferma poetica, perchè solamente adesso aveva trovato che cosa fosse libertà. Adesso aveva compreso che la libertà vera, capace di liberare qualsiasi uomo, è dinatura interiore, una conquista personale. Compiuta quell'esperienza, tacque lunghi anni come poeta drammalico. Insistere nei vecchi motivinon poteva più, ora che gli si era aperta la nuova prospettiva, a corroborare la quale lavorava la storia dimostrando l'imperfetto valore della libertà politica, colla rivoluzione francese. E anche alla filosofìa conve--Jrdva rivolgersi, che proprio allora fa ceva nascere la libertà dalla necessità morale. Storia e filosofia però maturarono, non spensero la passione del poeta, che aveva coniata la superba parola, solo il poeta essere vero uomo. Lo riportò poi infatti alla scena il bisogno di raffigurare per fantasmi il nuovo ordine umano. Leonello Vincenti.

Luoghi citati: Germania, Italia, Monaco, Paravia, Torino