Addio al paese di Corrado Alvaro

Addio al paese Addio al paese Qualcuno avrà lette le mie storie, le storie del mio paese, quelle che io racconto da qualche tempo; qualcuno i;i ricorderà di certe figure, di certi sentimenti, lo so, perchè il mio paese era diverso dagli altri. Ho detto era, intendiamoci ; era, fino a poco tempo fa. Ora sento di dover diro che non è più come una volta, quando io ero ragazzo; ora è un paese come tutti gli altri; io stesso, che 10 amo, ne parlerò poco, e forse soltanto da vecchio, dopo averne trascritto la sua vita perchè qualcuno si ricordi che è esistito un jaaese così e così, rimasto, fino a che poteva, veramente antico. Ora il Governo ci sta facendo la strada, la prima strada larga che valica la montagna, dopo quolla prima dei itomani delle guerre cartaginesi. Già per lavorare a questa strada i contadini e i pastori che mangiavano pane e fichi secchi sono divenuti operili col cappellaccio di paglia e il gilè spaccato di dietro; poi verranno i carri, verrà l'autobus forse, e le donne sulla proda dei fiumi non aspetteranno più di farci la cortesia di traghettarci, a cavalcioni sulle loro forti spalle; c i cavalli che cavalcavamo senza sella, con le lunghe criniere selvagge, 3 on ci cacceranno più nel bosco a giifiìarci il viso contro i pruni e a battere il naso contro le arance dure. E' finita ; ma è finita proprio a punto, a! tempo giusto, quando doveva finire, perchè non c'è più nulla di quanto fece favolosa la nostra infanzia, scomparse una Uopo l'altra le figure singolari, segnando la decadenza della nostra splendida inciviltà. Perchè noi eravamo molto bene incivili. Eravamo divisi fra ricchi e poveri, ma ognuno era contento della sua con izione come di un decreto di Dio. Ili popolo era servo, e di buon grado servizievole. Quando i ragazzi dei ricchi passavano per la strada, i ragazzi poveri nascondevano 11 pane o la frutta che andavano sbocconcellando perchè i privilegiati non avessero la voglia di portarglieli via. Le fanti di questi ricchi pensavano loro a strappare la pera succosa dalle mani del povero ragazzo che vi aveva appena affondati i denti. Era così, ed era naturale. Figurarsi che cosa accadeva fra uomini. Ognuno stava al suo posto, e non era mai passato per la testa di nessuno come si può mutar condizione, fino a quando non si esplorarono le terre di emigrazione, e di ventura. Il popolo stesso, ohe aveva l'ascia giustiziera affilata contro tutte le offese, appeEa dietro la porta, davanti ai borghesi non sapeva impugnarla. La ricchezza era un privilegio più che umano. Io mi ricordo di un povero emigrante che, tornato, avendogli un gióvane signore portata via la moglie, lo andò a pregare con le buone che glie la restituisse, e poi sedeva le giornate intere sotto quella finestra per vederla comparire, e le faceva cenno con le mani che era disperato e che la voleva. Del resto, perchè era par .tito? Da noialtri quasi tutti erano poveri, nessuno aveva bisogno di nulla. Pane e olive d'inverno, pomodori l'estate, e il focolare fra due pietre, la domenica, sulla strada. Nei gran caldi di agesto, si mandava a comperare un centesimo di neve tenuta in serbo nelle fosse in montagna, o si beveva fresco. Il vino nella neve si stemperava come un coltello. Per partire ci voleva una ragione ben grave, e allora il giovane pastore si sposava, progettava una lunga famiglia, e dopo dieci giorni dal matrimonio partiva, giustificato nel suo cercar ventura, e sicuro ormai che sarebbe tornato e non si sarebbe dimenticato; di là dal mare sentiva il vagito del suo primo bimbo, e sebbene gli anni talvolta passassero lunghi lontano, pensava sempre alla sua moglie di diciotto anni, e così l'amava. Adesso mi ricordo di tante cose che non ho raccontato. C'era quello che cambiava il denaro degli emi granti, e diceva che era falso e che non poteva pagare altro che la metà del suo valore. Sicuro: divenne ricco, non gli capitò nessun male, e cominciò così la sua fortuna, e nessuno lo tocca. Mi ricordo di quello che, messo al banco dei voti in chiesa nei giorni, di pellegrinaggio, si nasconde va in tasca un po' di quell'oro e se Io giocava a carte e lo perdeva invariabilmente; si giocava gli orecchini che le povere donne, nell'ardore della fede, buttavano sul banco gridando: Madonna mia bella! e rabbrividivano come sibille alla presenza del nume, e aspettavano di vedere i loro ornamenti appesi alle dita di etatua della Vergine, con un nastro celeste. C'erano dei birbanti come questi, ed anche peggiori, degni del peggiore inferno e delle maledizioni che più bruciano, ila di questi non voglio parlare. Voglio dire invece che noi siamo di tal natura: o attaccati al denaro in modo terribile, o l'amore delle cose più alle ci fa perdere ogni altro amore. Appunto perchè abbia mo tante e così violente passioni, siamo della razza di chi può soffrire molto: di noialtri si possono fare bravi soldati e duri martiri; tutto sta a saperci prendere, perchè non chiediamo altro se non di servire a qualche cosa, nati come siamo, nascosti nelle valli e nei monti, a pensarci oltre la nostra vita, passare non del tutto dimenticati. Mi ricorderò sempre di quello che tornò dall'America,, dopo aver lavorato nelle miniere; tornò che voleva fare l'inventore. Nelle città aveva scoperto che esiste la meccanica, una cosa che ha anch'essa una vita e una leaae come la terra. I meccanismi dovettero apparire a lui come i segreti di una nuova natura, la natura ideile città. Si mise a fare l'orologiaio, e siccome il giorno doveva zappare per, vivere, componeva i suoi prologi la sera, al lume della fiaccola idi lésina. Pigliava come insetti delipati le molle e le viti e le rotelle fra nlPfcazmpolevtsm«ctdrpmutUnpcescpemdvaRnsCiitsaBAlengVSvmcfqq(Wccnautibsc.ppemetutecdrssprlndndefws(nfrrmDsvdmlfrgddudg le sue'mani grosso'o call*c. mT i noi orologi si fermavano ogni sèi ore, e i pochi clienti protestavano. « Anche i treni si fermano » rispondeva. » « Ma i treni si fermano quando arrivano, e i tuoi orologi rompono la giornata a mezzo ». « Anche la vita umana si ferma » replicava. Pover'uomo; siccome lavorava con ottami di molle, la sua aspirazione fu di inventare un orologio che si caricasse soltanto ogni ventiquattro anni. Teneva nascosta la sua invenzione, e la confidò a me, in un momento di abbandono, perchè io lo potevo capire. Le lancette di questo orologio erano ritagliate nella latta, la cassa era una scatola di petrolio, e al sommo del suo macchinismo aveva collocato la sveglia, un martelletto da stagnaro che doveva battere su un campano di manara. Me lo mostrò e lo ripose subito nella cassa: « Ancora non e finito » disse, e io lo capivo, perchè anch'io volevo inventare qualcosa che si leggesse ancora dopo ventiquattro anni. Nell'atto di riporlo, il martelletto battè un colpo, per caso, a Lo sentite? » mi domandò tendendo il dito come verso un figlio irrequieto e illuminandosi tutto. Egli forse lavora ancora a quo- sta invenzione, sotto il.diluvio di fumo del focolare' e i rimbrotti della sua donna che non gli perdona di aver messo due occhi di asceta sulla sua faccia di minatore e di zappatore. Le macchine apparvero così, da noi. Si raccontava di quello che sono capaci di fare, alla gente stanca del lavoro delle bracciale questa parola, la Macchina, faceva rimanere disperata la fatica di tutti i giorni. Alla civiltà vecchia del nostro paese fummo noialtri a dare senza volerlo l'ultimo colpo, noialtri che andammo a studiare fuori. Molta gente era partita, ricca e civile, ma era tornata spaventata della vita dello città, avvilita di confondersi nel mondo. Fu come una scommessa, fra i meno ricchi e i poveri, a chi riuscisse a fare qualche cosa fuori del paese. Fallire in questa impresa, per i ricchi, eTa cosa da nulla, un episodio qualunque, ma per gli altri era tutta la vita che si metteva in gioco. La gente del popolo, contadini e pastori dei meno poveri, intravidero in questa evasione una redenzione delle loro sorti, e ad ogni figlio nuovo aspettavano con trepidazione che desse segni manifesti di essere predestinato a una vita più alta. Dei ragaz¬ a i a a o , e a o i i o a a i e ¬ zi si parlava dovunque, perchè erano votati a questa scommessa. Talvolta erano destinati prima della loro nascita, o tutto si preparava nell'attesa della loro venuta, o quelli nati prima si affrettavano a prendere un mestiere perchè tutto fosse pronto al loro arrivo, e molle le persone in grado di soccorrerli. Mi ricordo di un tale, scansato da tutti, e non so perchè, il quale, appena intravide questo mezzo di essere ancora vivo e presente, di essere utile e duraturo, pose tutte le sue speranze in un suo figlioletto; fu da allora un'allr'uorao, sebbene privo di tutto per poterlo mandare al figlio che voleva far prete, lacero come un mendicante, ma redento da questa speranza. Altri poi, che non potevano sacrificarsi, tanto erano miseri, mandavano i figli maggiori a impiegarsi nei paesi vicini ai più umili mestieri, in modo da contribuire alle spese. Era un impegno di tutta la vita, e costoro partivano, facevano strada, mandavano le loro poche lire, e allora partiva il figlio più piccolo e privilegiato, quello su cui erano puntate tutte le speranze della casa. I fratelli maggiori s'impegnavano ad andare a nozze soltanto quando sarebbe ter¬ minato questo obbligo, o cioè verso i quarant'anni, dopo una vita di stenti e di sacrifici, senza la donna. Questo promesse furono sempre mantenute; nessuno disubbidì o si dimenticò mai, e preferì, qualcuno, morire lontano anziché ritirarsi: rimpiangevano nelle loro lettere il pane e il vino di casa, rimpiangevano i campi, le feste, la primavera, l'eterna infanzia del nostro paese; qualcuno che venne a lamentarsi di non poterne più fu rimandato a rischio di essere maledetto; qualcuno, nelle notti di primavera, quaudo si sente cantare e sospirare, si spingeva fino ai prati del nostro paese a mangiarne l'erba che è così buona per chi la conosce, e che da ragazzi tutti abbiamo mangiato tanto ci era cara la terra. Uno solo tornò, ma come, poveretto! Aveva amato una donna in città, e sentendosi malato di lei tor nò in paese per guarire; il padre non lo volle ricevere perchè aveva disertato il suo posto, e quello si rifugiò in casa della sorella maritata. Era malato, ho detto, e quasi pazzo; pazzo di tanti giorni vuoti, pazzo del suo sangue avvelenato, e col ricordo di quella donna. Fuggì, di notte, per i boschi. Era l'estate e il bosco era in fiamme, come accade, qualche vqlta da noi. La sorella gli correva dietro supplicandolo che tornasse a ca<sa, o si incontrarono sull'orlo di quel braciere ardente. Egli, inferocito, se la prese fra le braccia o si allacciò sul fuoco, ed ella lo supplicava di lasciarla perchè aveva i tigli a casa. Ma quello non sentiva. Senti soltanto il nome della sua amata, che la povera donna, pronunziò fra tante altre paTole, e questo bastò perchè egli si placasse; posò in terra la vittima e l'adorò Queste e altre cose vorrei narrare, e vorrei diro come noialtri tutti, partiti da quelle tane di lupi, ognuno col suo bene e col suo male, con la nostra dura forza di soffrire, abbiamo fatto intrawedere alla nostra sente un mondo più sottile, più libero; ad ogni nostra partenza un mito paesano crollava. Ora è un paese come un altro, e non lo riconoscereste davvero se vi passaste. Io vi vorrei scendere dal ciclo, con un aeroplano, e dire: Sono qua, sono io, quello che cantava in chiesa con una voce d'argento, quello che aveva la passione di piantare l'orto presso le sorgenti; Non mi riconoscete? Corrado Alvaro. CcC

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