La II Mostra del "Novecento italiano,, di Marziano Bernardi

La II Mostra del "Novecento italiano,, La II Mostra del "Novecento italiano,, Milano, 1 notte. Tre anni ci dividono da quella prima mostra con la quale un Comitato milanese di artisti e di non artisti, capeggiato da Margherita Sarfatti, volle, per « finalità di lavoro e di bellezza », convocare a Milano « le migliori forze delle nuove generazioni artistiche », e il Novecento pittorico e plastico — ricordiamo l'interesse concesso da Benito Mussolini a tale spirituale manifestazione di giovinezza — ebbe, come definizione d'un movimento estetico, il suo stato civile sul suolo d'Italia. Poi la parola, non ancora sufficientemente chiarita, spesso fraintesa, anche più spesso usata quale etichetta a merce disparata e dubbia, facilitò mescolanze equivoche ed ibride confusioni ; i ranghi s'infittirono di reclute accorrenti sotto bandiere propizie, che per alcuni significavano antitesi e per altri ritorno alla tradizione ; e poiché nel vocabolo sembrava implicito un concetto di opposizione e rottura fra un secolo e il seguente, fra presente e passato, il pubblico, e non soltanto il più grosso, scorse bonariamente nel Novecento una specie d'infocato crogiuolo nel quale le ultime forme ottocentesche andavano volatilizzandosi tra lambenti fiamme e la ribollente materia ora portava a galla strapaese ed ora stracittà, ora la rude ganga della selvatichezza, del becerume, del provincialismo ed ora le schiume d'un sopravvivente Impressionismo cosmopolita, ora i relitti di un futurismo convertito o d'un cubismo postpicasslano ed ora infine le bolle scoppiantl nel vuoto del metafisici parlginizzantl. Il qual giudizio po teva, fino a un certo punto, anche essere esatto, benché caotico. La XVI Biennale veneziana di Antonio Maraini, coi suoi criteri svecchlatori, col suo coraggioso scrollo a una abitudine pigra, più che chiarire ingarbugliò le idee. Macchina gigantesca e complicata, lpnta a svolgere 1 suoi movimenti grandiosi, offri necessariamente campionari svariatissimi, onde più d'uno dovette domandarsi in che cosa consistesse alla fine questo Novecento, se accanto a novecentisti magari di cfnquant'anni stavano poi tanti altri che novecentisti non lo erano punto benché per fede di nascita e giovanilità nell'operare avessero tutti i diritti d'essere Inclusi nel Novecento Bisticcio? No: avvertimento a non generalizzare. Espressione dì un organismo agile e d'una volontà precisa, questa II Mostra del Novecento italiano ci colpisce oggi soprattutto per il suo carattere di compattezza, di omogeneità, di selezione. Tre anni non sono passati Invano se si è giunti a un risultato tanto nitido e salcio che giocoforza è decidersi a un riconoscimento esplicito di una raggiunta unità stilistica, di un clima spirituale soggetto, si capisce, come tutti i climi, a sbalzi di temperatura, ma od ogni modo segnalo da inee isotermiche controllabili. Oggi per la prima volta, dopo una sosta nel Palazzo della Permanente, è possibile azzardare una definizione del Noveceno. Non è forse ammetterne la ragione estetica? * * Innanzi a tutto conviene accennare al vocabolario pittorico dei novecentisti. Salta all'occhio come le « parole » stesse impiegate da questi giovani costituiscano già di per se un fatto artistico determinalo. Tanto per intenderci, se disegno, colore, tono erano nel passato, anche recente, qualche Cosa che. nove volte su dieci sùbito t'avvertiva: ecco un toscano, ecco un veneto, ecco un napoletano, ecco un piemontese, quasi sulla tavolozza andasse meschiato con gl'impasti un po' di sangue regionale — oggi quegli elementi pittorici servono a dirti : ecco un novecentista, ecco un non novecentista. Un solo sangue, e soltanto taliano? Può essere. Intanto il linguaggio non ha che un timbro, c devi ben forzare l'udito per afferrare le ottili differenze d'accenti. Dunque il egno d'una disciplina unica volonteosamente accettata e scrupolosamene osservata, è già nel modo — diremmo nel gusto — di posare sulla tela un grigio, di accostare un bruno a un verde, di incidere o di sfumare un conorno. Il semplice vocabolario ha già un intento stilistico. Prova di nobiltà. Ma che cosa dice, che cosa narra questo linguaggio? Nulla, risponderebbe un semplicista. Nulla che non sia pura espressione di stile, aggiungeremo noi. Ricordo l! paradosso di Flaubert Il quale avrebbe voluto scrivere un libro • dove non ci fosse altro che t stile ». Visitando questa Mostra egli vedrebbe il suo miraggio realizzato pittoricamente. Lo stacco Infatti verificabile nelle arti plastiche fra Ottocento e Novecento (s'intendano i due termini da un punto di vista ideologico più che temporale) non è che l'indice di una grandiosa rivoluzione artistica; e mai n'ebbimo sensazione tanto chiara come l'anno scorso a Venezia, passando dalle sale degli ottocentisti a quelle dei novecentisti, da un'arte cioè ".he t'invitava ad agire sentimentalmente per conto tuo, nel senso che oltre il soggetto della rappresentazione, oltre quanto forme e colori di per sè potevano dirti, tu nel tuo Ìntimo completavi la narrazione dell'artista secondo il tuo proprio temperamento e involontariamente ti ricercavi nell'opera e senz'alcun sforzo ti riconoscevi nella sua umanità — a un'arte che ha volontariamente soppresso il romanticismo col sopprimere Il sentimento e tutti gl'indugi d'anima, col valorizzare soltanto ia sensazione d'ordine puramente stilistico. C'è Tosi, si dirà, il trionfatore di questa mostra, che smentisce con la sua superba sala di paesaggi eloquenti. Va bene. Ma fra l'altre duecenrocinquanta e più opere, figura e paesaggio, escluso il bianco e nero, ne ritrovi forse venti che contengano quel minimo di narrazione — e quale sobria narrazione! — che si riscontra, poniamo, nell'« Olympia » di Manet o nel « Riposo » di Fattori? Ciò non per stabilire supremazie o inferiorità, ma semplicemente per definire un modo d'Intendere la pittura. La quale dunque, muta, chiusa, severa, è dall'estatica novecentesca condotta a considerare il motivo, il soggetto come elementi assolutamente secondari della rappresentazione, come semplici temi a sviluppo di variazioni. Lo stesso argomento può suggerire con sorprendente distacco da parte degli autori un numero considerevole di inerpretazioni. Il senso della composizione, se è ancor vigile in un Carena, n un Rosai, In un Montanari, in un Bacci, perde ogni valore per quasi tutti gli altri qui presenti; e anche il paesaggio, al pari della natura morta, è imitato ad alcuni schemi ripetuti con orgoglioso disinteresse. Il modo di dipingere quel nudo, quel busto di donna, quel fanciullo dormente, quel sobborgo cittadino, quel viottolo, quel 'albero: ecco ciò che conta per il pitore novecentista-, il modo, cioè — ripetiamo ancora — lo stile. Questo perseguono i Chessa, i Menzio, i Casorati, i Galante, i Sobrero, i Paulucci tra i piemontesi ; i « selvaggi » da Rosai a Soffici, da Lega a Longanesi a Maccari; 1 «milanesi» da Funi a Sironi, da Carrà a Salietti, da Vellani Marchi al giovane De Amicis ottima promessa; e via via gli altri, Campigli, Caligtani, Pucci, Tozzi, Donghi, Colacicchi, Sbisà, Bernasconi, Trentini, Borra, Guidi, Oppo, Marusig. Se il Novecento vuol dire vittoria, questa è chiara e forte conquista di tile. Ma a qual prezzo di dure rinunie ottenuta! Tutta codesta pittura pae ancora soffrire dell'enorme fatica ompiuta: così estatica, atona, ostile a lusinghe, a piacevolezze, a riposi. Pittura senza gioia, conviene riconocerlo. Ma in questa sua aspra soffeenza è il segno della sua nobiltà, dela sua coscienza, della sua intelligenza. *■** Se non che Novecento — indipenentemente dalla posizioni raggiunte — significa anche reazione alla lunga gonia del tardo impressionismo inernazionale frantumatore dei valori ormali della pittura e della scultura; ignifica volontà di chiarezza, d'ordie, di semplicità, d'una norma fermisima e d'una disciplina infrangibile; ignifica infine — a torto o a ragione — ritorno a quella misura e moderaione della sensibilità soggettiva nel iguardi della realtà oggettiva che fuono la ragione della classicità italiaa e che, rivivendo attraverso 1 seco, anche nel periodo romantico sotanziarono l'arte dei grandi maestri ttocenteschi. Questo è l'unico punto n cui, col Novecento, la tradizione si alda col presente: ma è altresì il puno per cui Novecento significa — o dorebbe significare — pittura italiana. Ci garantisce, la Mostra milanese, odesta identità ? Forse non abbastana. Un internazionalismo gludaico-pagino (intendo « Scuola di Parigi »), osco, istrionlstico, direi affaristico, erpeggia ancora qua e là, non ostane l'oculatezza e la severissima critia degli organizzatori: — tanto diffiile è estirpare la inala pianta quano ba fatto radice anche sul terreno hcbrtS sano. Perchè non insorge StrapaesePerchè persino qualche « selvaggio ancora si lascia lusingare dal tristfascino del colore putrido,, dell'ispirazione ambigua, degli ibridismi che fermentano nelle basse acque delle paludi mitteleuropee? Qui c'è una giovnezza italiana che marcia gagliardamente cadenzando il passo su ritmi italiani: come tollera essa certe vicinanze che ancor vivono di squallide imtazioni franco-tedesche ? Intendiamoci: non saremo noi a condannare l'intelligentissimo neo-Impressionismo, cresciuto al culto di Manedi un Menzio o di un Chessa, quantunque gli preferiamo la ormai raggiunta maturità costruttiva di un Emlio Sobrero, il quale ci ha dato — con « Giovane donna » — una fra le quattro o cinque più belle e franche pitture di figura della Mostra, da segnalarsi con quelle di Baccio Maria Baccidi Cipriano Eflsio Oppo, di Funi, dSalietti, di Sironi, di Tozzi. Resti pulibera l'ispirazione ai grandi esempstranieri, tanto più che questi, alla lovolta, risalendo « per li rami » risultano quasi sempre nostri debitori: roba che torna a casa. Quella che condanniamo, certi d'avecon noi nel giudizio I novecentisti Italiani autentici, è la o furba o sciocca o vile imitazione dei mediocri esèmpi; è il funambolismo di chi, giocando sull'equivoco che il goffo è puroche l'errore Interessa, che l'eccentrico affascina, che nell'originale sta l'avvenire, voga allegramente - spesso guardato con ammirazione perchè nulla lascia più perplessi che 11 vedersi offrire con sicurezza la nullità verso il più desolato naufragio, non diciamo nemmeno d'ogni armonia dforme e colori, ma del senso stesso della vita come possibilità di rappresentazione artistica. * » Non facciamo nomi. Queste pochedeplorevoli eccezioni facilmente saranno identificate nel clima sano della mostra. Facciamo invece 11 nome dtutti gli espositori, pittori e scultorinon per dare il solito poco dignitoso contentino, ma perchè è giusto che ipubblico sappia quali siano gli artistdel Novecento Italiano. Eccoli, in ordine di sale e di catalogo: Marini, Galante, Pelluzzi, CasoratiBorra, Carena, Carrà, Salietti, CostettiSemeghini, Rosai. Morandi, Tosi, Sinopico. Soffici, Bisi, Menzio, Longanesi, Romanelli. De .Amicis, Lega, V'italiZanini, Maccari, Peyron, Ponti, De Finetti, Paulucci, Mucchi, Vellani Marchi, Angoletta, Bernasconi, Lodi, Terresini, Springolo, Licini, Sironi, Calligiani, Wildt, Tosi, Campigli, Martinelli. *e Pisis, Paresce, Severini, Giuseppe Montanari, Pratelli, Ceracchini, Pucci, Tozzi, Dani, De Rocchi, Romanelli, Ruggerl, Francalancia, Rambaldi, Ferroni, Zago, Dante Montanari, Colao, Novati, Bandlnelli, Fabiano, Piatti, Donghi, Trcmbadori, Colacicchi, Cecchi, Boncinelli, Chessa, Farina, Sbisà, Sobrero, Nizzoli, Vagnetti, Magri, Galizzi, Lucarda, Bertolazzi, Santagata. Bugiani, Marchini, Bossi, Andreotti, Messina, Innocenti, Trentini, Bernardi, Drei, Penagini, Monti, Bracchi, Bogliardi, Terragni, Martini, Bacci, Canegrati, Reggiani, Guidi, Sacc<» rotti, Conti, Lilloni, Carpanetti, Bus» manti, Del Bon, Ghiringhelli, GriseSt, Vianl, Oppo, Marussig, Barbieri, Funi, De Grada, Consolo. Vorremmo concludere che fuori del Novecento non ci sia in Italia una giovinezza artistica che lavora, spera, dà a sperare e già si è affermata? Sarebbe tanto inesatto quanto ingiusto. Diciamo meglio che qui ce n'è una parte, con caratteri e con intenti propri: quelli che abbiamo visto. E che anche essa lavora, spera, dà a sperare e già s'è affermata. — L'essenziale — mi diceva ieri Adolfo Wildt — è lavorare. Marziano Bernardi.

Luoghi citati: Italia, Messina, Milano, Olympia, Parigi, Venezia