Fiori di cenere

Fiori di cenere Fiori di cenere Tappe d'amanti in Jtalia: a Pisa, e Firenze, a Terni, a Roma. Qua si coglieva una margheritina, una viola del pensiero, là una miosotide, una viola mammola. Poi la bella pellegrina d'amore metteva il fiore a seccare dentro lo pagine di un album e scriveva sotto, con la lunga mano candida la data di un giorno l'elice: 20 maggio 1825, 4 giugno 1820...-Ora quei fiori sono di cenere: bisogna guardarli trattenendo il respiro, perdio non si polverizzi) L'album, in casa di qualche nobile discendente, sarà certo fra le reliquie, sotto il ritratto della bella antenata. Era una bionda fulgidissima: quando andava al ballo della duchessa di Berry si dice che facesse letteralmente impallidire lo splendore dei lumi. Dall'estremo lembo della sua veste rosa, su per le carni di madreperla, balenava un riflesso che nella sua fronte stretta e lunga, nei ricci d'un biondo caldo, quasi rosso, diventava una fiamma. Tutto quel che si poteva immaginare di più nobile questa marchesa di Castries, il fior fiore del Gotha francese. E romantica, come usava uh secolo fa; incompresa dal marito, si era innamorata a ventisei anni di un giovinetto che no aveva ' venti, splendido nella sua grazia giovanile e nel bel mantello azzurro foderato di rosso e gettato con negligenza sulle spalle. Era il principe Vittorio di Mettermeli, ciambellano imperiale e reale, addetto all'Ambasciata austriaca a Parigi, figlio del Mettermeli famoso, famoso anche nella galanteria. Nell'alta società d'allora, una sifTai.a avventura d'amore, consacrata da una separazione dal marito, era una specie di pubblico spettacolo, degno del massimo interesse : unu gran dama romantica avendo tutti i diritti di vivere il suo bel sogno. 11 bel sogno non fu lungo: uua caduta da cavallo feri la marchesa nella spina dorsale e fece di lei un'inferma; la tubercolosi uccise il giovine principe a Roma, giusto cent'anni fa. La marchesa, con un figlioletto di due anni tornò a Parigi, riaprì i saloni del suo bel palazzo e ricevei*" gli amici in bella posa sopra il canapè dorato, secondo la moda lanciata dalla signora Pécamier. In realtà ella aveva una gamba semi-paralizzata e si trascinava a stento. Che fare?... Ritenuta donna di mente superiore, si teneva al corrente del movimento (politico e letterario, leggeva i giornali legittimisti e i romanzi degli scrittori in voga. Allora Balzac cominciava a furoreggiare presso le lettrici che sospiravano alzando gli occVii al cielo: « Ecco finalmente uno 'Scrittore che eleva la donna aila sua giusta dignità e fa del suo amore una virtù celeste, un'emanazione divina... ». Balzac riceveva molte lettere di ammiratrici. Quando la carta eri» fine, la scrittura elegante, il profumo delicato e l'insieme rivelava la donni;, di mondo, raffinata, aristocratica, si turbava, si commoveva. Lo grandi damo incomprese e romantiche erano il tua debole, quelle che avevano vissuto, le esperte, le disilluse, erano le donne del suo destino. La prima, Laura di Berny, aveva ventidue anni più di lui. un marito brontolone, sei 0 sette figli, un viso dolce e simpatico e un cuore ardente. Per lungo tempo era stata la confidente, la consigliera, la protettrice, l'amica, soprattutto l'amante, era stata la Dìletta. Per la prima aveva sentito quella fiamma divorante di vita, quel fervore impaziente di genio; a tanta sete di esperienze ella aveva donato 1 tesori di un ipassato di donna mostrato senza veli. Forse aveva creduto di attaccarsi per sempre quel cuore impetuoso, traboccante di riconoscenza. Ma ventidue anni di più!... jVenne presto il tempo di rifugiarsi nell'ombra, dietro le pesanti cortine, l'ora in cui la donna matura si vergogna di mostrare alla luce il proprio volto devastato come una rovina e si rassegna, fante, de mieux, alla parte di amica pura. Un'altra Laura le era succeduta nelle fantasticherie appassionate di Balzac, la duchessa d'Abrantès. Anche questa gli apportava jin passato, e qua! passato!... Amicizie d'imperatori, passioni di principi, avventure di marescialli, tutta la corte di Napoleone. E anche qui un cuore ardente, stanco di aver amato tanto, ma non scoraggiato: Laura d'Abrantès era di quello donne che a quarant'anui passati ricominciano sempre con le stesse illusioni e ,lo stesso entusiasmo. Dama di corte imperiale, certo, lcj era stata, ma in che miseria, in che spoetizzanti necessità ora si trovava!... Le sue fattezze si facevano scarnito e pronunciate, la sua voce si faceva rauca e nasale, come quella di chi fiuta tabacco. Anche lei aveva amato un Mettermeli, il padre, e riempito i cofanetti di lettere e di fiori secchi, ma poi i cofanetti li aveva venduti e i fiori secchi erano andati dispersi... La marchesa di Castries aveva invece il suo album di ricordi a portata di mano. Quando Balzac, dietro suo invito, andò a trovarla, credette di vedere una vera gran dama per la prima volta. Quel semi cadavere elegante, pressoché immobilizzato da una paralisi crescente, avvolto in sete e in veli che celavano non solo la sua magrezza divenuta angolosa, ma anche i cerotti incollati alla pelle, gli apparve come la creatura più eterea e più misteriosa che avesse mai personificato la melanconia sorridente, il dolore velato... Ella aveva amato, ne facevano fede i fiori disseccati nell'album che il romanziere sfogliava con mano tremante palpilando tutto d'ammirazione! Esili parlava; mai come ora si era abbandonato all'ispirazione, alla vena del suo genio travolgente come un torrente in piena, mai come ora aveva parlato del suo avvenire, con quella baldanza e quella fede che sembravano mettergli nello sguardo scintille di uoco. La marchesa lo ascoltava sorridendo soave, esaminandolo con la bilità della donna di mondo che sa edere senza guardare. Certo, di per o stesso egli non era amabile, piccolo grosso sanguigno, col doppio mento, il naso dalla gran punta carnosa, la bocca che parlando spruzava saliva tra i denti mancanti... Ma che voce calda avviluppante peruasiva, che fiamma carezzevole arente nelle pupille vellutate, che vialità, che calore meraviglioso entro uel personaggio tondeggiante!... Mia più divertente dei suoi romanzi si capiva che. si sarebbe innamoato con l'impeto, la passione vioenta e sincera di un fanciullo. La marchesa di Castries si lasciò incenare e adorare, scambiò col romaniere le più tenere e intime confesioni, gli fece le più aspre scene di gelosia, ma ogni volta che si trattò di cedere alle sue suppliche appasionate diventò fredda e lontana. Si ece così fama di un'atroce civetta, i meritò di farsi chiamare da Balzac a « terribile marchesa » e di ispiargli la famosa Duchessa di Lan5cais, il tipo della seduttrice calcoatrice e fredda, che accende le pas¬ sie neniceilzue s'lapdedmmlepzintrrescbvbEPgda mu ioni, se ne serve di svago e di beffa non le soddisfa. Giustificazioni ella e aveva. Inferma, spezzata nelle rei, destinata a una lenta morte atroe, l'amore era per lei il passato, era l dolce principe dal ben mantello azurro... E' vero, che ella s'indispettì smaniò e sofferse quando Balzac 'innamorò di un'altra, ma è noto che a gelosia è più figlia dell'amor prorio che dell'amore. Balzac stanco el suo gioco già riceveva le lettere 'una grande dama straniera che come le parigine scriveva: a Ah, finalmente ecco uno scrittore che capisco e donne!... L'amore della donna è per voi una virtù celeste, un'emanaione divina; il mio cuore al vostro nome trasalisce... ». Questa volta si rattava d'una polacca, una speci? di eclusa in un castello, in mezzo a confinati campi di grano, il deserto biondo delFUcrania. Con un marito ecchio, cinque figli di cui solo una imba era sopravissuta, la contessa Eva Hanska non faceva che leggere er soddisfare la sua sete di compania, d'avventura, d'amore. Quando opo diciassette anni Balzac riuscì a realizzare il suo ingenuo sogno d'amore e a sposarla Eva Hanska era una donna matura, ma di una bel¬ lezza ancora inquietante. I suoi grandi occhi magnetici sotto la bellissima fronte, il mento e il naso sottili le facevano una fisionomia enigmatica sognante che i suoi contemporanei non capirono. Aveva lasciato la sua situazione eminente e la fortuna alla figlia maritata per ottenere dallo tsar il permesso di sposare uno straniero glorioso che la Portava a Parigi, ma che dopo tre mesi d'agonia l'avrebbe lasciata vedova e carica di debiti. La sua riservatezza aristocratica la fece giudicare fredda e poiché sopravvisse a Balzac più di trentanni ed ebbe altri amori e fu fino alla morte in relazione pressoché coniugale col pittore Gigoux si disse che non aveva mai corrisposto il grande romanziere e che l'aveva dimenticato. No: ma delle quattro donne mature che furono amate da Balzac e che lo amarono, ella era la sola che non avesse esperienza d'amore. Eva non aveva ancora raccolto i fiori a seccare entro l'album dei ricordi. Lo fece dopo, e scrisse sotto con la lunga mano candida le date dei giorni felici. Ora quei fiori bisogna guardarli trattenendo il respiro: cenere, polvere. Carola Prosperi. scsarpluetmd

Luoghi citati: Castries, Firenze, Parigi, Pisa, Roma