Randagi della strada

Randagi della strada Randagi della strada In ogni tempo le grandi città generano certe curiosissime macchiette che diventano popolani colla loro comicità, la quale talora assume anche aspetti tragici e commoventi. Sono per lo più larve umane, torturate dalla miseria 'e da una innocua pazzia, che senza posa deambulano per le vie, radunando attorno al grottesco dai loro abbigliamenti e della loro squilibrata facondia crocchi' di sfaccendati o di monelli. Torino no ha sempre avuti di questi randagi, che un poco fanno sorridere e un poco commuovono colla loro stranezza; e solo forse la severità delle odierne disposizioni di polizia ha liberato definitivamente la viabilità cittadina di questi singolari ingombri alla circolazione. Non mancano iiiivece i ricordi, lontani e vicini, ricordi di figurine che creano attraverso i tempi una tradizione di strane aucmal'ie umane, più o meno accentuale: prodotti assurdi di malattie trascurate, di alcoollsmi brutali, e for<-e di fende sventure familiari, U cui «Mio ultimo era sempre lo squilibrio mentale e la disperata solitudine va galionda. Cinquant'anni fa, nelle vie ancora strette della vecchia Torino, sbucava tulora dal buio delle traverse un certo signore in cilindro, ccU'abtio a frali tendente al verde, con un ampio panciotto di tappezzeria a rabeschi, la cravatta ampia in funzione anche di solino, i pantaloni all'antica stretti alla caviglia, colla palletta e il pas sante sotto le scarpette scalcagnate e pur munite di argentea fibbia. Si fer. mava in qualche punto di passaggio coniinciavìa a concionare contro lmodernità, invocando anatemi sugli amministratori comunali che rovina vnno Torino. Pretendeva cho i passanti non si recassero nelle vie nuove e che al posto della tabella portante di nome di Via Barbarono ricomparisse queilla vecchia coll'indicazione di Via Guardini arili: — Io son nato in via Guardinfanti e ho il diritto di continuare a pot-erlo dire fin che muoio. Non voglio esser nato in via Bnrbaroux! — E si agitava, piangeva, 6t accapigliava magari col civico che voleva allontanarlo dal crocchio per ristabilire la libera circolazione. Delio stesso tempo all'incl-rca era 11 cosidetto batù della Consolata : un- sin gelare tipo di esile uomo in palamidone oscuro, tra il laico e il sacerdotale, che non perdeva mai una processione od una sepoltura. Pregava o piangeva senza posa, e la gente si stupiva, che tante sventure lo colpissero cosi reiteratamente: aveva ogni giorno un parente, un amico da accompagnare al cimitero. Ironie della sorte! Quando morì invece vi andò tutto Bolo, perchè naturalmente dietro al •suo feretro non poteva esserci più neppure il buon batti della Consolata! E chi non ricorda, almeno per sen Mto dire, il nome di Amisani? Ancora oggi, vedendo qualche donnetta an ziana vestita con perfetto cattivo gusto, il buon torinese vi dirà che assomiglia alla sùmia d'Amisani, riferendosi a una tal bertuccia vestita da signora e rispondente al non esotico nome di Catlifla, la quale coadiuvava 41 rispettabiile signor Amisani nell'estrarre i numeri del lotto nonché 1 pianeti della sorte da una specie di castello di legno noto sotto 10. nome di torre di Cremona. Tutto ciò avveniva di massima in Piazza San Carlo e la bertuccia aveva a compagni di lavoro •— sia pure assai meno celebri di lei •— 11 galletto Michel e H gatto Minot: 6. tutti sopraintendeva Amisani, alto, sottile, avvolto io una dubbia redingote, colle gambe molli-, declamante senza posa a voce rauca la buona ventura al colto pubblico e all'inclita guarnigione. Nel crocchio degli ascoltatori vi erano talvolta Tirie verde, una donnetta magra come un chiodo, curva, anemica, vagabonda silenziosa di tutte le vie cittadine per cercare qualche soldo d'elemosina, e magari, il magico Mec'ca, di cui è curioso ricordare la storia. Era celebre soprattutto per il suo abito rattoppato e sporco Ano nil'inyerosimile; ma tutti sapevano più o meno che quell'abito lo aveva portato vent'anni prima alla sepoltura della moglie facendo voto di non deporlo Ano alla morte. Pietosa sporcizia, fc fedeltà impressionante, fatta por com■ muovere i cuori sentimentali di molte l mogli scontente del marito, che guar davano il magico Mecca come un fenomeno vivente. Ma, ohimè, tutte o quasi tutte le cose belle non sono vere! Un brutto giorno Mecca mori, e 3o Stato Oivilo rivelò brutalmente che non aveva mal avuto moglie: celibe, sporco, rattoppato, senza fedeltà e senza poesia I Si diceva una volta che H romanzo 'Santa Cecilia di A. G. Barrili era stato ispirato all'illustre romanziere da una macchietta torinese. Senza attardarci a cercare se sia nato prima l'uovo o prima la gallina, ricordiamo però — ce lo raccontava anche il buon Alberto Virìglio — che Santa Cecilia era veramente denominato un musicista randagio che girava la città trascinandosi dietro una sconquassata spinetta, da cui traeva armonie strazianti: strazianti più per le orecchie che per il cuore. Era vestito sempre di un palamidone verdognolo, aveva 1 capelli lunghissimi, forse mo-lto frequentati, un cappcl'lo a cilindro, e trascinava il suo strumento su una carretta turchina. Si fermava generalmente sotto i portici — almeno fin cfne le guardie non lo mandavano via — e dopo aver suonato con qualche approssimazione una o due melodie di (Verdi o Bellini, si abbandonava piangendo sulla tastiera. Un monello crudele gli trasse un giorno di 60tto la spinetta, e Santa Cecilia battè la teista sul lastrico. Povero artista manicato 1 Non lo si vide più. Tappato invece non aveva velleità di alcuna specie: si accontentava della sua qualità di facchino onorario Bel mercato coperto di Piazza Bodoni, 11 quale più non esiste; girava continuamente per la città, fermandosi in più osterie che poteva: minacciava i ragazzacci che lo schernivano per ii 6uo camminare traballante, e incassava rassegnato le botte pubblicamente impartitegli dalla moglie per guarirlo della costante ubbriachezza. Figure ormai sfumate nel tempo, queste! Ma la' tradizione' dei randagi jtorinesi diventa anche moderila, e di pos,Q tempo pi-ima della guerra euro- pea sono alcuna tipi non certo ancora dimenticati. Ària al monti l Chi non lo ricorda col cappello impennacchiato e coll'abito ravvivato da qualche nastro sgargiante? Portava la paglietta anche d'inverno, ed aveva una faccia bonaria, spesso sorridente. Era galante colle belle signore, affettuoso con tutti, meno coi monelli che lo facevano imbestialire. Dormiva a rabel, estate e inverno, e rare volte soltanto andava al San Giovanni per farsi curare di qualche disttirbo che egli, eroe del digiuno, definitiva, non senza" Ironia, indigestione. Un giorno lo videro triste e pallido m Piazza Carlina: non reagiva nemmeno più ai monelli che lo tormentavano, e piangeva. Gli chiesero compassionevolmente: — Aria, che hai? — Non ho più famel — L'organismo del povero vepchio si era infranto; e lo raccolsero il giorno di poi, morente, mucchio inerte di stracci, di carne e di sporcizia, suli'angolo del malfamato Vicolo del Montone. Materia invece era più cattivo: attendeva il ritorno del Re a Torino, faceva delle sfuriate contro i monumenti e, se ci arrivava, picchiava a sangue i monelli che lo schernivano. Era stato cocchiere di una famiglia patrizia, poi vetturino pubblico, e conservava una sola affezione: i cavali!, a cui dava, carezzandoli sul muso, qualcuno del tozzi di pane che raccoglieva dalla carità pubblica. Era vestito sempre di un pastrano rattoppato e portava in testa, schiacciato sugli occhi, un vecchio cappello duro da vetturino. Le porte del manicomio si aprirono un giorno anche per lui. Gastaldi, rilustratore dei marciapiedi cittadini, invece non era pazzoina alcolizzato. Si inginocchiava per terra in qualche luogo di passaggiopiù spesso sotto 1 portici, e dipingeva a mezzo di certi pastelli che stemprava alla brava sul lastrico col pollice e coll'indice. Scene dantesche, fatti degiorno, qualche caricatura; ma soprattuto il suo autoritratto, cogli occhi spiritati, su uno sfondo cupo dove si disegna la figura della morte o la porta di un cimitero. Sotto la composizione la firma: Gastaldi, l'alcoollsia. Forse un giorno gli tremarono troppo le gambe, la mano, ed egli non potè più illustrare i nobili marciapiedi di Torni o. Ancora qualche figurina del dopoguerra: un vecchietto in giacchetta nera che girava col trombone sotto ibraccio, piangendo dirottamente e traendo talora dal suo strumento accenni di armonie; e infine quel commovente burattinaio che portava con sè una specie di teatrino meccanico rudimentale, accompagnando la danza di quattro burattini allacciati colle note di un triste carillon. — Per 1 nipotini miei, che ho perduti I — Tristezze, solitudini disperatedrammi senza ribalta, povertà ignotetutta una umanità di scarto Insomma clie la civiltà moderna forse ha fatto scomparire per sempre dalle vie della città I Luigi Collino.

Persone citate: Bellini, Gastaldi, Luigi Collino, Minot, Santa Cecilia, Verdi

Luoghi citati: Cremona, Mecca, Torino