Inverno da lupi

Inverno da lupi Inverno da lupi pOh quanta neve cadde su Torino nell'anno di grazia — o meglio di disgrazia — 1348. a cominciare dal gennaio rigidissimo! Pareva si fossero aperte tutte le cateratte del cielo; e venivano giù senza Dosa, lente ina incessanti, certe falde larghissime e bianche, che sembrava.no proprio fogli del gran libro degli statuii cittadini conservato nella torre comunale. 1 vecchi non ricordavano uh inverno simile, e mastro Zucca — decurione anziano, la cui prodigiosa memoria era proverbiale in Torino — affermava che nemmeno un quarto di secolo prima, durante il 1323 di trista memoria, si era veduto nevicare con tanta insistenza. Vi doveva anzi essere sotto qualcosa di misterioso: o l'ira di Ilio per la malvagità degli uomini, o l'imperversare degli spiriti maligni che battevano la campagna e s'affacciavano anche in città. Dove più si chiacchierava del malempo, di politica, di folletti e di cento *ltri' argomenti, tutti però informati a molte paura e a molto pessimismo, era' nella strada principale della città, che correva fangosa più che nevosa ai. leti della doira ghiacciata. Naturalmente, data la rigidezza del clima, le chiaccliiere non si tenevano più. come in aittre stagioni, sulle soglie delle botéghe e sull'angolo delle traverse:, ma bensì negli interni fumosi, e sovratutto in wx'oslaria situata non molto lungi dalla torre del Comune, e forse per questa ragione comunemente conosciute sotto H nome della Ciocca. Là si fucinavano e si diffondevano, fra un boccale e l'altro, tutte le notizie ; e gli avventori non mancavano, tanto più che per il maltempo molti, troppi erano quelli che non avevano niente, proprio niente da fare: mangiarsi, o meglio bérsi, i pochi soldi messi da parte nei tempi migliori. In un triste pomeriggio di fine gennaio si erano radunati alla Ciocca, Enrietto Sili, venditore di panni, Affogo, beccaio con bottega net pressi del Comune, due barbute della guarnigione cittadina, uno studente di teologia venuto da Carmagnola appartenente alla famiglia dei Ternavasio, e un misterioso messere in robbone oscuro che si diceva' sottovoce essere un famoso esorcista di Rivalla. Fuori della compagnia, ad altri tavoli, sedevano ancora tre borghes»! foresti, un maestro di schioppo assoldato dal Principe d'Acaia, e due frati questuanti che aspetta-,1 vano forse un po' d'elemosina in natura. L'oste, Filippone da Beinasco, trascinava il suo corpo voluminoso erotondo da un tavolo all'altro, prendendo parte ad ogni conversazione, portando qua e là dei boccali ricolmi, occupandosi di tutti, meno dei due frai ohe aspettavano pazienti, incappucciati ed a bocca asciutta. Parlava ad alta voce, e con autorità messer Enrietto Sili, di famiglia comunale, membro del Consiglio stretto o di credenza, molto addentro insomma nelle cose di politica cittadina. — Tristi tempi corrono, mala tempora currunt per la nostra città e per utto il principato: Monferrato, SaVuzzo, Angiò, Visconti, tutti, tutti vogliono farvi bottino; e purtroppo il principe nostro Giacomo d'Acaia non può resistere alle forze preponderanti e colle-, gate di Luchino Visconti, di Tomaso di Saluzzo e d'i Giovanni, di Monferrato. Dio non voglia che messere il principe sia costretto a radunare l'esercito generale, perchè allora... — Ma Torino ha da pensare sovra tutto per sé, alla sua difesa, e il Comune deve provvedervi — osservò Arago il beccaio, oppositore per principio e geloso un poco di messer Enrietto Sili. — E non ha provveduto, forse7 — Bei provvedimenti! I masnadieri assaltano i contadini, che portano la verdura Un presso le mura della città. Ed io fra poco potrò macellare il mio: cavallo ed il mio cane, perdile bestie dalle cascine non me ne conducono più. A questo punto volle intervenire nela discussione una delle due barbute, cui un primo boccale di buon nebiolo aveva messo molto calore in corpo. — 11 nostro eccellentissimo capitano eia pensando ad alzar bastioni al guado della Peregrina e a porre bicocche nei prati di Vanquilia. lo stesso ed il mio compagno siamo incaricati di segnalare con fumate, bandiere e fuochi, qualunque movimento di nemici nel: a pianura. — Lo vedo, lo vedo... — Insomma, la difesa non manca alla città... — Fin che non c'è offesa. Oh, ma diremo, in proposito, il fatto nostro, tm- giorno o l'altro, al Giudice, al Cavaliere ed al Vicario, quando verrà convocalo il parlamento generale I — Calma, calma, mastro Arago, del buon consiglio, — intervenne il Sili. — Verrà la pace, e forse è men lontana di quanto si creda. E' giù a Torino, Giovanni, Vescovo di Forlì, Legato Apostolico in Piemonte di Sua Santità il Papa Gemerne VI, per far stipulare tregue fra tutti i contendenti. — Questo, però, non può ascriversi a merito dol Comune, che amministra male e poco difende la città. Ieri ho vieto passeggiare nella strarla della doira, proprio a pochi passi di qui, un bel maiaile, che grufolava nel fango, faceva gnuf, unii!, e pareva incamminato verso la casa comunale; dove, del resto, si sarebbe trovato in eccellente compagnia. — Mastro Arago. ma quello era uno dei maiali segnato col gran T di messer Santo Antonio, e sarebbe sacrilegio toccando — osservò lo studente di Carmagnola. — Maestro Bertramino, nostro docente allo Studio, ci insegna... — ...che e* sarebbe troppo da fare se si volessero togliere dalle vie di Torino tutte le bestie ntie vi stanno circolando. Siamo d'accordo. . JL» studente tacque timidamente alài «erariata del beccaio, le due barbute, ordinato un secondo boccale di caluso. continuarono a bere In silenzio, e il Sili si raccolse dignitoso e fors'anche un poco offéso nella sua tonaca bene imbottita. Arago tuttavia non volle rinunciare alla conversazione di cui era stato cosi brillante interlocutore, e con tono triste, crollando la grossa testa rabbuffata, brontolò ancora: — Inverno da lupi I II cielo troppo nero, la terra troppo bianca, e un freddo, un freddo che è un castigo di Dio... — Colpa anche questa della cattiva amministrazione del Vicario, non vero, mastro Arago? — osservò con molta ironia Enrietto Sili. — No, colpa degli uomini malvagi e dei loro troppi peccati — intervenne a dire per la j*rima volta l'uomo vestito del robbone oscuro e che aveva qualche fama di esorcista. — Vi sono nell'aria dei pi<esagi oscuri, che paiono annunziare nuovi flagelli e nuove calamità. L'attenzione di tutti 1 presenti fu ravvivata da queste parole, e al tavolo dell'esorcista si avvicinarono anche i tre borghesi foresti, il maestro di schioppo, ed 1 due frati che attendevano invano l'elemosina in natura; perfino l'oste Filippone 6i appressò curio semente, rimboccando sulla pancia vo luminosa il grembiale dal dubbio can dorè. — Dite da senno, messer Pietro da Kivalta? — chiese lo studente di Carmagnola. — Vi son dei mali presagi par i mesi venturi? — E ohe mali presagii Non vedete l'aria com'è sempre cupa? come il cielo sembra ir. ogni ora unu cappa d (piombo? E igii(ji;ite l'orse che a Cri luso è nato un bambino pelc=o con due teste? Che'a Collegllo ur>a cicnn b stata, bruciate per reato di matematica e negromanzia? Figuratevi che tradùceva i libri latini c-unza aver mai saputo leggere. — Per iniaiiilo c'è il malanno dei lupi — osservò uno dei tre borghesi. — L'altra sera, venendo da Villarbasse, li abbiamo sentiti nel buio: spinti dalla fame e dal freddo abbandonavano le forre e i boschi; scendevano connoi verso il piano, e li abbiamo sentitiululare lugubremente fin sotto le mu-ra della città: il cavallo del nostro barroccio tremava come una foglia e noi... — E vi è anche nei dintorni il lupo mannaro, le loup miro», che spopolerà presto tutto il contado. — Storie da far dormire in piedi 1 — Insomma voi, messer Arago, non credete ai presagi l E se vi dicessi che l'altra sera ho esorcizzato uno spirito maligno che si chiama ì'ol grani; e mi ha preconizzato una sciagura pubblica per la prossima primavera? — Anche il venerando abate di Santo Andrea ha avuto per mezzo di astrologia una visione futura e prossima di calamite. Dio ci scampi I Bisogna pregare, digiunare e bere acqua pural A sentine quest'ultima eresia, l'oste Filippone da Beinasco fece un gesto vivace di protesta; ma Arago lo racconsolò subito ordinando: — Filippone, cinque boccali di quello di sotto il banco 1 da bere per tutti, alla barba del lupo mannaro, della congiunzione di Saturno, degli spiriti maligni, e magari di Sua Eccellenza il Vicario ! Comparve il nebiolo, rosso come il rubino, e tutti bevvero coscienziosamente: perfino 1 due frati ctie erano stati tanto tempo a borea asciutta, perfino Pielro da Rivalla evocatore della spirito maligno denominato Fol (tram. Fuori, nella strada, cadeva ancora la neve, lenta ma senza posa; e il cielo bigio, vicinissimo, pareva una soffocante cappa di piombo, discesa dall'alto sulla città triste e silenziosa. Luigi Collino.