Traduzioni da Catullo

Traduzioni da Catullo Traduzioni da Catullo Fra tutti i poeti latini, maggiori d minori, del periodo aureo o della ideeadenza, è Oàttìllo veronese, un |k>' per la leggiera e tersa familiatità della sua poesia, e piti ancora T le varie e contrastanti espressioi ch'essa poesia assume, quanto taai impegnativo per i suoi tradutlori, siano essi o vecchi o giovani, Maestri o apprendisti. Eppure, ecco ihe, dopo la integrale paziente e lavorata versione del Pascal, altri ancora s'attentano, con maggiore o con minore. fortuna, a volgere in italiano quel « Catulli veronensis liber », eacro all'amore e all'odio sin dai tempi felici di Cesare. Cotesti nuovi e ardimentosi traduttori si chiamano Ugo Fleres e Carlo Saggiò. *** Il primo, tanto per essere subito fedele alla lezione dei testi, cambia il c Catulli veronensis liber > in « Catulli carmina ». Perchè? Quale codice egli ha seguito? E con quale spinto? I codici principali, e cioè il Germaneusis, il Marcianus, il Romanus e l'Ambrosianus portano come titolo il classico e notissimo « Catulli veronensis liber incipit », mentre invece soltanto l'Oxoniensis porta la dicitura « Catullus veronensis poeta ». Carlo Saggio (2), che per l'ortografia del testo latino ha accettati quasi in tutto i criteri seguiti dal Pascal (Corpus Paravianum), giustamente 0 fedelmente quale titolo alla propria traduzione pone quello di c II libro di Catullo ». H Fleres poi sente anche la necessità di dare un titolo ai singoli carmi catulliani. Ma, domandiamo noi, ha forse il traduttore il diritto e l'arbitrio di porre un titolo là dove l'autore stesso ha taciuto? E, dato come ammesso questo diritto, crede forse il Fleres che belli siano e catulliani i seguenti titoli: Farabutti in auge; La tosse letteraria; Stai fretto; Tariffa esagerata; Scusi tanto; Faccia tosta; La lingua batte dove il dente duole; 0 garbo o quattrini; Chi la fa, l'aspetti; C'oppia modello; La scaramanzia dei baci; Purità e stitichezza; Cambiare aria; ^L'acqua fa male, il vino fa cantare; ecc. Luoghi comuni, proverbi, frasi fatte e moderne, ecco i nuovi titoli dei carmi catulliani; Ma non •'accorge il traduttore di tramutare Così il garbo ironico e il sorriso acido e jmpertanente del poeta in risataccia da villanzone? In quanto alla traduzione in pro«a, benché il Fleres tenti spesso di imprimerle un ritmo, molta parte essa disperde della dolce canorità catulliana. Anzitutto, il Fleres troppo segue e la lezione del testo e la traduzione francese del Lafaye. Prèndiamo, ad esempio, il famoso passo controvèrso del carme LXVI: Ablunctfie paulo ante cornac mea fata sororcs lugebant, cum se Memuonls Aethlopls unlgena lmpellens irmtantibus aera tennis ohtullt Arslnoes Locrldos ales cqmis, irque por aetherlas ine tollens avol.it umbras et Venorls casto collocai in gremiti. Dice la traduzione francese del Lafaye : « Récemment séparces de moi, les autres bouoles, mes soeurs, pleuraient ma destince, lorsque s'offrii à ma vue, fendant l'air du battement de ses ailes, le frère de Meinnon l'Ethiopien, le cheval ailé de la Loorienne Arsinoé; il me prend, vole au milieu des ténèbres du firmament et me depose sur le chaste sein de Vénua ». Ed ecco la versione del Fleres: a Recentemente separate da me, le altre ciocche, mie sorelle, piangevano il mio destino, quando mi si offerse alla vista, fendendo l'aria col remeggio delle penne, il gemello dell'Etiope Meninone, l'alato cavallo di Arsinoe di Locri ; esso mi prese di fra le ombre del firmamento e mi depose sul casto grembo di .Venere ». Come mai il Fleres ha seguito la lezione errata del cavallo alato — alee equus —, e non quella più giusta del Nigra: alisequus: seguace alato? E come mai, del verso 50 dello atesso carme, traduco il « ferri frangere duritiem » con « forgiare la durezza del ferro »/ Diverse sono le lezioni del passo, ma niuna è quella data dal Fleres, poiché il Datanus porta « ferris frangere », l'Oxoniensis t ferris fingere », il Marcianus ■ ferris fringere ». Così, al penultimo verso del medesimo carme, egli accetta per buona, invece del comune c corruerint », la lezione data dal Lachraann i cur iterent », che viene ad alterare il senso logico dell'ultimo verso, mentre è oggi dalia maggior parte dei filologi considerata come ottima la vecchia lezione, data dal Pontano: <r cur retinent ». Altri errori di lezione sono riscontrabili in altri carmi : « visumst ■ per a visum. est » (c. X) ; « et nate» pilosas » per « et natis pilosas » (c XXXIII), che il Fleres mal traduce con a d carciofo ha messo il pelo » contro l'ottima traduzione del Lafaye (ftsses poilues) e del Saggio {pelose chiappe); « deperit impotente amore » per « deperit inpotente amore » (c. XXXV) ; o phaselus 'iute fuit » per « phaselus unteti fuit » ; «ce. Per ogni classico, le varianti formano, si sa, la questione più dibattuta; ma, a parar nostro, il Fleres non è stato troppo felice nella loro scelta. Criterio ottimo invece è stato quello seguito dal Saggio: «Essa (lezione) è fedele ai codici più autorevoli, ma non fino all'assurdo ove Catullo diventa insolitamente difficile, oscuro e inespressivo, quasi eertamente lì v'è colpa di amanueu se, e un buon emendamento vale più di un certo, sia pur venerando er rore ». Come interprete, il Fleres abusa troppo di latinismi e di altre sviste. Per esempio, non comprendiamo per che traduca i due primi versi lei e. XXIII . Furi, cui neque servu»iste neque arca — nec ttmex ntqve i a n a o , o n , i i o a n araneus neque ignis... »,. con il plurale: a Furio, tu non hai nè servi, nè arca, nè cimici, nè ragni, nè fuoco »; il <t culo filius » del XXIII carme con a i glutei del figlio »; le a futntion.es » del c. XXXII con a galoppate ». eufemismo inutile e ridicolo quando si pensi al crudo realismo della poesia catulliana. Così, il <t morbosi » del c. LVII) che il Fleres traduce semplicemente a morbosi », seguendo per comodo orecchio il testo latino, vale invece il nostro « corrotti » ; il « salox taverna » del e. XXXVII, tradotto pure con « salace taverna », non dà tutto il senso dell'espressione latina, e meglio corrisponderebbe il nostro ir oscena taverna»; e vera e propria infedeltà interpretativa è tradurre il « Intera ec fu tuta » del c. VI con « fianchi così smunti » invece che « reni sì sfottute » (Saggio). Imprecisione certamente non' voluta dal Fleres per mitigare l'oscenità di Catullo, poiché in altri molti casi il traduttore segue perfettamente il testo. Assai migliore a noi pare la traduzione di Carlo Saggio : traduzione in versi, e perciò di maggior difficoltà data la tirannia del metro, e date le mille sottili sfumature della poesia catulliana. Spesso, presi dall'incanto canoro, dimentichiamo che il testo sia latino, tanto la traduzione risulta perfetta: tam ver egelldos retert tepores latti caell furor acrpilnoctlalls locundls Zephyrl stlesclt aurls. LltiQtisntnr Phrygll. Catullo, campi Nicneaeque ager nher acstuosne: Ad darà» Aslae volemus urbes. E il SaggioGià primavera porta 1 suoi tepori, già 11 furore del cielo d'equinozio si tace alle gioconde aure di Zefiro. Si lascino, o Catullo, I campi Frigi e 11 suolo pingue di Nlcea Infocata. Voliamo alle città chiare dell'Asia. Peccato solo che il Saggio alla sua bella e abile fatica premetta notizie sopra Catullo troppo brevi e discrete. Giuseppe Ravegnani (1) Ufio Flkres: Conni di Catullo. — Milano, Istituto Editoriale Italiano. 1938, L. 12.H0. (2) Carlo Saggio: II libro di Catullo. — Milano, Casa Ed. Alpes, 1928, L. 40.

Luoghi citati: Asia, Casa, Locri, Milano