Fantocci, automi, dèmoni

Fantocci, automi, dèmoni Fantocci, automi, dèmoni Quando, Epifania, nella rione di-Ma Santa i bambini seguano nelle nebbie benedette della loro innocui»- gaczu i Ile Magi viaggiare ne! silenzio sd-el cielo e de-IHa terra appesantita dillneve — ò il quadretto di genere che cossi si rappresentano por un'antica -ceredità quasi indelebile — e i He Ma- ssi in quell'ombra d'in cali tam olito si idrrasfiguirano nella severa e decrepita l'provvidenziale Befana col suo sacco gdi meraviglie e gli inesauribili dottl|m(dal camino, nel buio, Bianculaudu lai lfata tonde loro già le braccia con Da-\bina Caratasse; mentre Arie-echino fra iil Mago ili Hoceabruna e il Duca di Romitaggio sotio hi cappa confabula con lJulcine,.':i« e Cappuccetto 11 osso ancor unni sgomento, sogguardando l'i-, nocchio, che si inchina a Cenerentola| bionda dai grandi occhi ili stella idsslquando questo essi sognano, i bimbi ndel nostro inondo civile, nella uoUC.«cltlmorica, non sanno, ed è bene nonjisappiano, quali furono gli avi primordiali e remoti dei graziosi fantocci che oggi si stringeranno al petto, con un sublimi' sorriso e una immensa feiicilà sfolgoranti' nell'anima. SI. Avi tremendi, infami, tenebrosi, malvagi, inesorabili... Scattato qualcuno all'improvviso dall'Inferno, emerso qualcun altro dai timi dell'animalità più crudele. Strumenti di tortura, macchine di tentazione, apparecchi della vendetta, artifici della demenza... Arlecchino e Pulcinella dfSl direbbe che il vecchio nano foggiandoli volesse trasfondervi quanto di 9)1(1 oscuro e lenifico lo fascinava o lo raccapricciava. Dèmoni smisurati, spirili insanguinati. Onesto imbestiava, que.Ho risucchiava nel bàratro, retteci, meduse, vampiri, oin'ocefaU, litoti, grifoni, megaton, sparvieri, basilischi, nature incompiuto deformi biformi, nò ut-ino né bestia, dannate. Sospese Hi un limbo sinistro, in un'atmosfera da incubo, ove il sol fatto di' esistere era giù una bestemmia alla luce, una rivolli! «Ila legge d'armonia del Creato. Arlecchino era un diavolo. Pulcinella ora un gallo. Onesto mago era un totem, quella fina una strega... Ma il d'avolo, il totem, il gallo, la strego, apparleiig-wiò a un'epoca già quasi prossima a noi. insogna spingersi ancor più avanti, iiisaiirc ancor più il tempo. Profondarsi lontano. Loco. Cosa sono i nostri fantocci? L'immobilità. Sono moni. 11 giocatore di scacchi, d! cut parla Poe, è un'eccezione. Il sonatore di flauto, costruito da Miuizctti d'Aosialiisdlprnddtdnslscgtttvaniglb— che sapeva evocare una melodìa sul,suo strumento con una strami appa- 1renza di spontaneità — è uii'ecceziono „aiiclie lui. Eccezione, gli'automi di KJacquet Droz. Eccezione anche quelli^ili Valicatiseli. E so un vero miracolo 'aun vero piu-vc l'automa elettrico di Perew. chi va p.. carrozza e dichiara, con un forato in conio, ii doganieri: -- g) Imgnnri, non c'è nulla di dazio, — esso|'è tulio. Noi non possediamo di me- glio. Ma è poco, sono, questi, conge-i'ni che infatti contro 1 più antichi i congegni di di; - rappresentano o tremila anni ippctill il tentativo, el'abbozzo. La nostra polizia meccani- cca non ha nulla da opporre, per e- sciupio, a ciò ohe creava l'Egitto, In dIVrsia, Babilonia, il Ci appone, molti ! f!contenni prima di Cristo. Noi abbiamo levigalo, polito, condotto nel regno del trastullo e della marionetta graziosa dai tre o quattro gesti sempre eguali, i colossi che allora volavano, andavano, tumultuavano, ghermivano, e on ligi ira ti da artieri ilt-nulol, di inimitabile mano. E il motivo sta in ciò: che costoro aderivano lincerà al mistero dal quale estraevano l'anima di quei simulacri. Quel che por noi è un fantoccio, per essi era un dèmone, una forza di quella natura elio dominavano (o lo oredovurio) in virtfì di una scienza oggi affatto ignota o rinnegata. Fantocci di 8 secoli avanti Cristo L'IlarpeKrnd ora, per esempio, un mostro e una macchina che atterriva e stupiva. Fu fabbricato da Aniiuquli. per ordine di Amenoiep I della XV11I dinastia, a Mannuir in Egitto, otto secoli avanti Cristo. Misurava quindici piedi di altezza. Tutto di legno di palma riunì, colava all'interno il compiesse apparecchio meraviglioso delle ruolo, dei pendoli, dei dischi, dei bilanceri, dolio ancore, delle spirali, dei torchi, degli stantuffi, dei perni, in frenetico molo, congegnati con precisione indicibile. Era un dèmone. Sulla sua faccia quasi vanita non apparivano so. non l'informe dentatura bestiaio o i vitrei snoechi intorbidati degli occhi. Gli occhi, due goni! bulbi peduncolati, osci 11,ivano smorti fuori delle orbite comò due tùberi, orrendi, senza pàlpebre, pioni di una perfidia occulta e inesorabile. Il gran corpo ora tumido. Ci li ani, cortissimi, verdi, scagliosi come gli arti dei coccodrilli. F. le dita egli aveva collegato da una membrana opaca, a somiglianza dell'anatra e. del pellicano, spaventevoli di ungine incurvate ad artiglio. Questo mostro si arrampicava ria solo nello piramidi tortuose, e ritornava «I suo tempio con un Istinto quasi infallibile d'uomo. Gli si offrivano doni, gli si consacravano viti imo, gli si «rilevano incensi. E i carbonchi, i crisòliti, le perle splendevano come arcobaleni nei suoi movimenti Ieratici. Il Itol-zikir di Babilonia non ora mono inqiiu-i mio. Oliera di un Murduk\hal del V secolo e conservato io-I palazzo regio di Nabli naid (quegli che Erodoto chiama il Glorioso), divorava e volava. Era bifronte, nudo, di lun- I Rcszi0AtmucmtepAplAPdeMsscpsmdpcnt glie zampe speronale di gallo, attealla corsa, fesche come l'asfalto. Su ciascuno dei due ginocchi gii s'ingros- sava una faccia sullurea, al modo che le due tacce emergenti rial collo, ih- crostate di gemme. L avova il torace -composto di tre anelli -d'argento vos- so, ognun dei quaii portava un paio di braccia terminale ila un piede vo liibile, occhiuto di tre occhi, l'ailidu, gial-io, a sacco come quello della mùsca, era l'addome, convesso: ma ce lesti —- dico il Layurd (Aintvc and Un. bylon) — d'un ceiosie d'acqua marina incantevole erano le ali ampie di fu incollerò, simili a due grandi ventagli di ilice, in perpetuo palpito sulle suo spalle, li mieteva aliene lui vittime, e si pasceva di aromi. Pili atroce ancora era l'Ardekir di liebatana, che descrive j usi in do Sacy nello sue Mèmoi.res sur diverta auli««ws de la. Perse (Parigi, 17U3). Scoli-ito dal giovane ArtavUzd. statuario del re Artabuno 11, in l'aggio deld'Hiulucush, panava sopra il suo corpo i fuochi di un intero empireo ili gioie!-i leria e di oreficeria. Aveva il capo di insetto. Due immensi globi innestati sono le grigie basse corna di bufalo — duo occhi d'oro rotondi come due melagrane, subdoli come gli occhi dei polipi e composti come quelli dello scarabeo, faccettati abbaglianti ossessionanti mobili l'uno birupeudentemenie dall'altro — gettavano tutti i riflessi del prisma, tutte le iiamme della vertigine: coperti delle più rare pietre, dei diamanti più iulgirti, dei vetri più preziosi e corruschi. Le fauci orali nere, d'agata, spalancate: o lasciavano scorgere una binda lingua di corallo e la gola se.iv-aggia. Cd eni il corpo uno scudo duro, bianco e nero, una salda corazza da cui bruno conio lava si generavano le gambe in forma di duo tozzi coni che terminavano a zoccolo. In luogo di braccia, due smilze antenne di metallo, articolate o irrequiete, gli uscivano fuori dell'intaglio onde il capo gli si disgiungeva dal torave, irto di branchie. Lo copriva una azzurra clamide di lana. li nuotava nell'acqua, come nuotano i gamberi. Il « pulcinella » turco Qualche cosa di simile videro anche i primi esploratori del Messico in quei templi chiamati leocalli e nelle prigioni defili Utnli, a Chòlula, a Sciòltila, a Tetzùco. Nel teocallo di Sciòlula — sorla di monte fatto dalle ma■iii dell'uomo — c'erano (scrive, il Brintòti) spemi di pietra, mostri di basalto, demoni d'ogni sostanza e d'oni prosàpiii, taci turni e flessibili, intatti al passo, «Ila presa, o.Ha carezza, al morso, «1 eaval- .,• , 1Jl „„ K,^-, «1 eombaitore. Oranili com.: »>^"'1' fccoli cerno coboldi. i.r. v. corn •' m-iciguo. lievi corno hi piuma. I-.il 'avevano min un occulta membratura profonda, l' ingranaggio animalo meeoanieo, il segreto palpitarne di un ' "' 10 'l"aSl vivo. Karagoz, il pulcinella turco, è già 'iu fantoccio decaduto. Proteiforme ed elastico, indemoniato e convulso, non per questo egli è più di una comune che Moninigne assicura di aver anche, veduti a Villa ri Este di Tivoli; l'Idra dell'Abbazia di Fieiny-Saiui-Benoit, le fui mascella di bronzo masticavano !,.,!!:rìm!'-,.t?? ..lUl aut0,nJ .<!» Augsburg. fuoco; la Ciirgau-Mle danzante . ri. Rotimi; Jean Mange-tont e Graud'gueule di Lione, che si portavano ai denti conigli e lepri palpitanti; Punch che strangolava ii buia di legno sulle piazzo di Londra; ia gran 'festa Parlante, imputata a Roberto vescovo di Lincoln 0 al teologo Alberto Magno: l'ambiguo Andrògini' del novizio Paolino, a cut 1 abate Ugo di Cluny negò l'investitura nel lilHG, accusandolo di essere medianica ni, seu presilaìutorcm et neuromanlinc iledllum: questa ed ancora tutta l'alira statuaria, iner.-anioa manometrica idraulica, che l'Occidente creò attenendosi quasi con scrupolo ai licitami segreti della magia naturale (ricordo in proposilo il De Varietale He rum di Cerohuno Cardano), ebbene, essa è senza alcun dubbio diversa, e superiore al fantoccio Karagoz, movendosi in certo modo pur sempre nella luci di quelle idee o superstizioni che generarono i mostri primitivi, gli Harpakrud, l Bcl-zikir e gli Ardu-kir; favolosi dell'Oriente antichissimo. Accanto a una scienza ortodossa, prospera m Europa una scienza « maledetta ». E' la scienza dei Tigby, dogli Agrippa, degli Selirocpefer, dei Della Porta. E' la fisica di Giovanni d'Espagnet e la fisiologia di Piene Eellier. La meccanica di Fernel e la lapidaria di Franzel. L'i vocatoria di lleuehlin e l'astroóofla di Doutlò. L'algebra di Martinez de Pa.-qualy e il diavolismo clic grida nei libri dei grandi Inquisitori ."u uno s'ondo di fiamme. Questa scienza feconda la pratica. Ispira le idee, le Unzioni, crea i simboli, invoca le « influenzo » e idealmente compone l'automa, molto prima che lo statuario lo scolpisca nel legno. Poi sbocca nella leggenda. Una nave di cadaveri... di fantocci Maldonado — che era un ciarlatano, il quale pine esplorò le coste dell'America settentrionale lungo il Mare di Bering — racconta di avere incontrato uno scheletro di nave alla deriva per quello acque, quasi senza più alberatura uè timone — sulla culcoffa superstite avvisto qua diedi che stava forse in piedi, crune un n.orlo, piegato contro il parapetto, iatesta penzoloni nel vuoto. Abbordalo il naviglio, con orrore si accorse che e;esso non era ormai più se non, una u tomba galleggiante. Tutto l'equipag s- gto era perno. Sopra coperta guice- e va ona ventimi di uomini, supini, la - faccia violacea, irrigiditi, oscillami coe um sacchi di lana. Il silenzio era - enorme. Ma l'orrore di Maldoiladp si o mutò in raccapriccio, quando — asce, a . a i o e i y o i sa la sir.-iua sepoltura — verificò che quei 'morti non erano uomini, ma grandi créature di legno, «cadaveri di automi >, che ia salsedine il velilo la bufera avevano abbattuti da tempo immemorabile, con ciantella d'assassinio. Eia il 1560. La nave si chiamava Urdancta, una caracca portoghese. Anche nel Dizionario di Oértel UiST; se ne ieggo un accenno: quanto basta a comprendere. Anecra. Ordway riferisce che LuUke ;il matematico Norberto LvittUe del secolo XVlft, pure aborrendo da ogni commercio con gli uomini, affermava d'imiattenersi a sera coi suoi « sublimi aulici», che invero nessuni' gli conosceva, interrogato, ghignava. Come una -!volta rispose, più d'uno stupì appren- i i — i e i , ù i o e o a i o o. nenaa a e i iòòai oa - il a donilo che di quel circolò facevano parto X'uola Tartaglia e Niccolò Copernico, nrirti già ila qualche anno, o il ftegiomomano e il Cardano, morti egualmente, e Luca Paciuolo e Leonardo Fibonacci, con Pitagora Euclide Diofanlo Pappo Archimede, trapassati da secoli. Matematici tutti. La risposta s'interpretò allegoricamente: « Studia i grandi maestri». In nessun modo. Tartaglia, Copernico, Cardano, Fibonacci, fra' Luca e tutti gli altri « sub! ini! amici» erano autunni usciti dall'otllclna di un Ludwig Meyeboom, Dèdalo celebro di Jena; e coi quali ii Luttke si riuniva ogni soia fra le lavagne i quadranti le sforo lo iissdtadsLcmccisimdUcaatandervvadrclmappe i traguardi, sotto le ampollol sveloci dell'orologio a polvere, nel suo fsalone di studio'. Nel uualo viveva fe- ~cltvdi Cuzeo, la rapitalo degli Incas, quatt-lSdi.) aveva resulto Almagro alla con- rriuista del l'èrti, aliiueiitn più mnll stimi i selvaggi roghi nella Spagna di dlice. Con un'anima pura. Forse da vero sapiente. lìaldasar da Sllvcira ora- un pazzo. Prima "ni stato carnefice. Distrutto.1' Filippo II. Decimò i .Mori in i.i»li/ia c Li massacrò deportati in Casliglia. I Protestanti dei Paesi Bassi lo paventavano più che il Duca d'Alba, la tigre. Da Silveira infinti era Jena. Puzzava, di putredine, più che di sangue, cosini grondava di sànie. Quando a, sessanfnnni lo toccò il pentimento, il suo cervello era guasto. Si ritirò allora a Luetica in un suo castello, p—srdasn à d per espiare. E quivi si torturava. O, 1meglio, torturava un suo doppione dilYlegno, artificiato a llilhao da un Ma- Lcedo do Aranjo. Oli aveva creato unj Inforno senza difetio e sii prodi-6Igava ogni giorno tutte lo tortine ca- pmurielle: dalla ruota «Ita iiive, dal cpalo «irli aghi, dalla tcna-lia al cu- ,, |<0inn e ileo, dalia pira «!!« propagin.'izio.nc sotterrava audio vivo e lo flagellava alla colonna. La lapidava e giti saggiavo i ginocchi con un segaceli) ad archetto. Quindi — supplizio inventato da lui — lo appendeva per i piedi alla staila di una campana. E, poiché e, a e o g.[.lavasi come un dannato a scampanalo macabro hatacchio percolava, a ogni ino. di tutta forza la povera e sorda . e i e ze, n o ut ie na noaa), ir uili sa, ai a ar. a n i o ia e omo i o, Ae a l|mall0 Siipii:n — tutta aperta le brac ctoi COi grandi occhi sburrali. n i/nmbra della lampada bassa le affi ailia <uUHo il vl-o l " "' A1J„ »• e| «ino Dianco. testa 'l'Ariamo centro il metallo del vaso. Final-mente gemeva disperato^ Misnreattir lui Oninipotens Deus!... — o si prostrava, la faccia contusa a terra, implorando la grazia. Durò cosi quindici ni.ni. NJs si concesse un sul giorno ili riposo. Anna Elisabetta fra g/r spettri Potremmo continuare. La storia di questi fantocci d'ecceziont ft inesauribile. C'è la commedia, l'idillio, il dramma, i! melodramma, Ih. l'arsa, lu tragedia. E ci sono avventure che non sfigurerebbero fra i Conte* de In Heine de Xauarre, come ci sono vicende degne di un Aulo di t.cpe rie Voga o di un dramma ili Pietro Cald&ron. Quella; por esempio, di Tauitia d'Orange (il genero di Giacomo II): — che, tradirò da Anna Elisabetta Flatltead per il maestro di stalla David Walsk, uccide quest'ultimo e segrega Poi la donna in un maniero della Contea di Ber Kshirc; dove una sona di David, somigliantissimo, mobile, di legno, rimane il solo compagno, moltiplicato per ogni stanza, della reclusa che grilla invano, ed invano si torce ahhi-iviriita la none: le saracinesche sono abbassate, abbassalo è per sempre il cancello, levato il ponte, il fosso pieno., — Anna. Elisabetta cosi scopro a poco alla volta l'inaudito, l'orrore. Scruta gli spettri, allibita, o non crede quasi a se slessa... Uno è livido come gli annegati, l'altro è cieco, quello poila scala è morto... E agonizza quell'altro, sulla sedia, laggiù, laciiurno. decrepito... Questo qui non respira. Questo qui si ghermisco la gola strangolate, convulso. Quello balza, minaccia: questo code con un tremendo scoppio di metalli Ed intanto uno gemo, ed un altro digrigna. Uno nuiggo. uno brontola... E co n'è imo nel masi io. dritto in piedi, feroce, con un pugnale noi petto... 1-1 io n'è un altro che va, che cammina notte e giorno, cammina senza requie, su e giù... — Anna Elisabeila non rogge. Cerca un riparo, uno scampo. Non lo trova. China allora la fronte furibonda, contro un muro, slanciandosi... Cade giù con un tonfo. E ri- IemScietUt•pdiidmzvfmVEGGdAUFGMGLCT