"Gran Sala Germania,,

"Gran Sala Germania,, "Gran Sala Germania,, Conoscevo a Boriino l'anno scorso un comico popolavo dir, non avevo mai sentito recitare e che ini accolse spesso in casa sua e nella sua automobile; era tedeschissimo, e del sud conosceva soltanto l'insalata italiana, conio in ogni altro paese, meno che da ,#oi, si chiama quello che noi diciamo insalata russa. In una giornata che passammo insieme tra ristoranti o birrarie, ne mangiò cinque o sci volte con la moglie, e voglio crederò non lo facesse in onoro dell'ospite, a Ma ss vuolo farsi un'idea di conio recito, mi disse, venga con me sabato sera in ima riunione che può interessarla, il club degli Elmetti d'Acciaio. Stranieri, veramente, non so ne possono portare, e lei si vede che è straniero. Ma si metterà in un angolo con mia moglie». |11 Club di cui mi parlava l'amico attore si chiamava «Germaniapracht-sale»: Gran Sala Germania. Era in un quartiere vecchio deJa città, dove non arrivava ueppur l'eco di quanto accadeva nei quartieri modernisti e razionali, dove nei cinema le siguore in pelliccia, gioielli e stivali di gomma cho lo scalzava il cavaliere, battevano le mani al più recente film bolscevico tra le più violente pretesto di certi tipi di uomini duri e gravi. La Gran Sala Germania aveva !à forma di un localo da spettacolo: quadrata, con palcoscenico in fondo, un palchettone in alto, o sotto aquesto una balconata rialzata sul reato della sala e, corno la sala tut-t'inforno, coperta di tavole apparecchiate. Passando per la sala d'entrata, avevamo velluto un bar; gente ci veniva incontro chiedendoci il biglietto di invito, ma a questa gente non avevo fatto caso, occupato a guardare l'ambiento e a stampanno-no ogni dettaglio nelila memoria, co-me d'un luogo raro da osservareL'ambiente si presentava disadorno,o non dissimilo da altri clubs, che avevo veduto, di amica di quartiere e professionali. Lo stesso colore della luco, alta, diffusa, annebbiata, le decorazioni di un'altra vita ed epoca della sala rimaste alle pareti senza senso; era l'aspetto d'un luogo frequentato ma senza troppa cura per il suo aspetto, e perciò sogghignavano inutilmente lo maschere della commedia e della tragedia degli stucchi, alternate alla solita lira delle decorazioni teatrali. Mi accorsi bensì degli uomini quando fui entrato; un adolescente venne avariti con l'aria di chi ha una consegna. «Ma io conosco questa uniformo — disisi al mio amico indicando il vestito dell'adolescente; — ò ripresa da quella fascista; soltanto la camicia c bruna o non nera, ma il tipo è lo stesso, e lo-stesso è il colore e la foggia dei pahtaloni e dei gambali ». Ci sedemmo in un angolo, appartati, dietro la balconata. L'amico attore salì sul palcoscenico e si mise a recitare, la signora mi stava accanto osservan-domi perchè facessi attenzione al ma-rito, aspettando di sapere la mia impressene. Ma io non riuscivo a stargli attento; il pubblico m'interessava di più. Stavano tutti seduti intomo a certi tavoli, lasciando uno spazio libero nel mezzo della sala, ed era un pubblico che c raro vedere raccolto insieme a Boriino. Si distinguevano per prima cosa gli uomini, perchè molti in piedi lungo lo pareti, vestiti di scuro, con la testa pettinata a. modo prussiano, oioò coi capelli rasati intorno allo tempie e all'occipite, e una zona di capetti alti nel mozzo del cranio ; quasi tutti biondi, e eli quella particolare fisionomia eh'» un tempo passava per la carati eristica fisionomia tedesca, il tipo dell'urna-nità prussiana di prima del 1914, asciutta, complessa, lievemente ea-musa, dagli zigomi forti, uniformilad'un paeea in uniforme. Nei loro panni scuri di borghesi, c'era non so che marziale rigidezza; quelle faccia si capivano fatte per comandare e obbedire, non si poteva collocare fra loro che un'idea di disciplina e di moto disciplinato ; e portavano non soltauto quegli sfregi che la vecchia generazione tedesca ai faceva con le sciabole sulOe guancie, ma !o ferite vere e ricomofc'bili della guerra, che a chi ha fatto la guerra parlano con la voce suggestiva del tempo gigantesco di quella gioventù che fu nostra. Molto volto mi era capitato di udirò dai nemici di ieri la fra6e: «Voi avete vinto la guerra», come la ragione del minor male da oui siamo afflitti noi gran male dol mondo moderno, col tono di chi è cancellato da un'eredità ; e in molti di quegli incentri non avevo potuto difenderne da un sentimento nuovo, c, devo dirlo, come se una comunanza legasse, essi e me, sol perchè conoscemmo gli «te-si anni fatali. Tricordo certi ristoranti e birrarie popolari, dove su una parete camreesriava la croce d: guerra, e talvo'ta tre 1 e cinque nero oroci. con l'immàgine d'un soldatn caduto; o i monumenti di sruerra a certi crocicchi di strada, disperati, come se implorassero pace e non ricordo nò gloria; uno raffigurava una mano levata verso il cielo e unaltro un cavallo e un cavaliere da Apooalisso su un cumulo di gente caduta. Senza speranza, dico; o poi le classa ricacciate indietro o in basso dai mutamenti del dopoguerra; e poi il Museo della Guerra, istituzio-ne orribile d'un partito, dove del fronte tedesco non era nascosto nulla che fosse atroce. Era l'immenso patetico di chi ha perduto. Sì, por le strado, alle cassette postali, l'aquila degli Hobrmorern apriva ancora le ali; ma l'ufficiale prussiano andava in autobus sotto le occhiale losche del bigliettaio, e nella città semovente la squadra magra dei soldatcon l'elmo d'acciaio andava al cambio di una guardia come un'apparinone che imponeva silenzio e pensieri. Altrove, in un ritrovo, una recitante faceva fi verso a LnfTp-ndm-f a l e n e ò e i b , a | o -! n e o e e m Queste cose mi tornavano alla mente quella sera, e mi pareva di trovarmi davanti a una setta di iniziati d'unaireligione scomparsa, e<l era pur ieri. Quei visi rimasti alla durezza e all'impassibilità della disciplina, quello ferite, quello croci grandi o nero attaccato alla giacca all'altezza del •primo bottone, sul fianco, era un mondo nuovo nella stessa Germania. Il comico che stava recitando era an- ch'egli nel gusto delle coso stretta-mente nazionali, un poco popolari,comò piacciono ai soldati. L'accusa cho si fa a costoro in Germania, co-mo a tutta la gcaite di destra, è di propensi alle cose dellospirito e dell'intelligenza; lo stesso attore amico mio, scendendo dal palcoscenico, so no lamentava, perchè diceva cho il pubblico era inquieto, cho durante lo spettacolo non avevano chiuso lo porte, e non si era formata quell'aria religiosa che è propria degli spettacoli tedeschi, qualche cosa come una seduta solenne in un tribunale. Quando si riaccese la luce sul pubblico, mi fu permesso di osservarlo bene, e specialmente le donne. Vestivano queste secondo la moda tedesca di prima della guerra, e forse i' loro abito moderno arieggiava a quello del romanticismo; la veste a campana, il bi-stiiio stretto. I capelli biondissimi lunghi. Stavano tutti se- e duti davanti a grossi boccali di bir i ra, a grandi famiglie, con quel sen airimonto pacifico e solenne, greve e . o el n . - riposato, dello loro riunioni intorno a una tavola, il senso della famiglia tedesca provata dai duri inverai e dal riposo serale in caso intime o falde. Non mi ero sentito mai tanto straniero come in quo! luogo; e quando imi ex-capitano con le sue decorazioni venne ad inchinarsi alla si -'gnora cho mi stava accanto, e seppe inmrgmrusucsc,|di mo italiano, fece un breve mehi-<ma no che fu tutta la sua cortesia. Ma!eo-i la parte più bella della serata dove-\ni va venire. Sul palcoscenico salì unaUo! banda in uniforme, spalline d'oro i*o è o, a è , bo ' li e- sulla giacca ','rigia e pantaloni neri ; intonò un valse, di quelli cho i vecchi tedeschi, o i giovani, ballano e cantano con frenesia. Dopo di che, da quelle trombe, da quei tamburi pmancun fox-trot per un poco irrieonoacÌ->bile e poi tanto curioso da sentirlo!9così brusco, col tono dello fanfare in piazza d'armi, dispose tutti al nuballo. La signora'ma propose di faro ^sun giro, e questa fu una buona oc-i, cacone per cacciarmi in mezzo alk|l'cfolla. Ballavano come se marciassero, e più volte, nella vicenda di quei giri, l'ilarità trattenuta a sentir ridire con la voce infreddata del trombone quelito che dicono solitamente con voco cavernosa i sassofoni, faceva di me pure un elemento vagante fcrrc in preda a ricordi e nostalgie non mio, come se anche io tossi stato arruolato in un reggimento. Occhi grigi si posavano su di me, o labbra mormoravano: «Uno straniero». Mi rondo conto corno l'apparizione di un tipo di altra razza, sembrasse stupefacente. Levando gli occhi, vidi una bandiera della caduta monarchia, l'aquila che stringeva ancora il suo .scettro, e la corona elio sui fran- cobolli d'una volta portava la Ger- <mania popputa che parlò all'adole- !eoenza degli scolaretti collezionisti.\ni ,■ f +t: Vpr(,v,;„ .„„;„,_ Ul ff tt,, ™ ™j L„j,„s™„„i i*"! * a.™f/°„„: t _ passo di quella danza: in quale ro- manzo, in quale vecchio numero diajugend»? Poi, alila hue, tutti tornati a posto, un colpo di bacchetta ci fece levare in piedi. Lento, so-len >. ?a <l™} .vis? ".1,e.vat,i in ^o,^ !9«?U .»Ma"» nfld^' ne forti o capaci, dai giovinetti in uniformo che levavano il braccio al ^to romano salì per l'aria fumosa il canto «Deutschland, Deutsch- i, |land iiber Alles»; Anche la mia yi- 'cina cantava, lieta duna letizia in e e fantile all incontro di quel vecchiocanto. Gli uomini masticavano le parole dell'inno come se 6i vendicassero d'un lungo silenzio; o le donne, cantando, li ammiravano. corrado alvaro.

Persone citate: Deutsch

Luoghi citati: Germania, L'aquila