Il poeta innamorato

Il poeta innamoratoIl poeta innamorato Fu in una piccola città antica, a Odense, in Danimarca : tutte le case avevano il tetto acuminato e, intorno, i campi di grano biondeggiavano e si stendevano i prati di un bel verde cupo, come di velluto. Là, in una povera stanzaccia a terreno, che serviva da cameta, cucina e bottega, nacque unu sera del 180ò un piccolo bimbo gracile che salutò, con un vagito pieno di dolcezza, la vita, quella vita che pei lui doveva essere ■ una bella fiaba». Anche i suoi genitori avevano l'aria di personaggi da fiaba: la madre, una donnetta semplice e mite, che da bimba chiedeva l'elemosina (doveva somigliare alla « Piccina dei fiammiferi »), il padre, un giovane ciabattino, che teneva sul deschetto libr, di versi e di tragedie, irrequieto, sognatore, poeta, gemale, che taceva burattini movibili, adorava follemente la campagna, dipingeva paesaggi e figurine fantastiche di cui tappezzava le pareti, e chi aveva fabbricato egli stesso l'immenso letto su cui suo figlio era nato, col leguauie nero o dorato di un catafalco ch'era servito, nientemeno, pei funerali d'un barone. Dietro le tende di percalle a fiorami di quel lettone, il piccolo Cristiano poteva benissimo figurarsi di abitare il palazzo del re. Ed ecco a proposito di re e di imperatori, che un giorno il giovane ciabattino fu preso da un entusiasmo così violento per l'imperatore Napoleone che decise di arruolarsi soldato. Disse alla moglie e ai suo bambino : — Diventerò maresciallo, chissà, o per lo meno luogotenente. Saremo ricchi e gloriosi I... E partì, ma appena fu arrivato a Holstein. fu conchiusa la pace del 1815 ed egli dovette tornarsene a casa, a capo basso strascicando i piedi su per la lunga strada maestra. Sedette di nuovo al suo deschetto, ma tossiva sempre e non aveva più voce per declamare i suoi versi favoriti. Quell'inverno il freddo era intenso e al mattino i vetri della finestrella erano istoriati da figurine candide; il povero ciabattino, che guardava tutto con occhi di fanciullo e di poeta, disse un mattino, indicando alla moglie e al figlio una bianca figurina sul vetro: « Vedete? E' la regina dei ghiacci, che mi tende le braccia. E' venuta a prendermi, per me è finita ». Poi, il grillo che era nel focolare cantò tutta una notte. E alla mattina il povero ciabattino, che aveva appena trentacinijue anni, giaceva immobile nel suo gran letto, pallido e con gli occhi chiusi. Sua moglie, tutta tremante, disse : « La regina dei ghiacci l'ha portato via» Egli fu seppellito nel verde cimitero e sulla sua tomba crebbe un meraviglioso rosaio e volarono le farfalle che egli amava tanto La povera vedova sposò allora un altro giovane calzolaio, buono, ma senza fantasia, che lavorava assidua niente per campare. Il piccolo Cristiano restò allora come solo, abbandonato a sè stesso, perchè anche la madre andava a servire, per stentare meno la vita. Cristiano non era bello, no, era a il brutto anitroccolo» della fiaba. Lungo, tutto gambe come una cicogna e con gli occhi piccolissimi; e poiché, sempre perso dietro le sue fantasie e alle commedie che faceva per i suoi burattini, gesticolava e parlava anche da solo, oppure cantava con la sua bellissima argentina voce per esprimere la sua gioia di vivere, accadeva che i monelli lo rincorressero, deridendolo, e lo dicessero pazzo. Come risvegliandosi da un bel sogno, allora egli andava a nascondersi e versava copiosissime lacrime. Egli aveva una tal sete di emare e di essere amato, una così riva sensibilità, una cosi ardente tenerezza da esprimere verso tutti, che soffriva terribilmente quando non si sentiva ricambiato. Il mondo non era dunque come glielo aveva descritto suo padre o come gli raccon tava la vecchia lavandaia sua ami ca, la quale gli assicurava che infondo, oltre il fiume, c'era l'Imperodella China e che un bel giorno un meraviglioso principe chinese sarebbe sorto dalle acque nel sentire la«ua bella voce e l'avrebbe portatocon se?... Un poco di quel fuoco difantasia e d'amore che egli irraggiava intorno era tuttavia sentito,poiché gli uomini più prepotenti emaneschi non lo toccavano e moltisorridevano dolcemente nel vederlo,come si sorride, davanti a un piccolo santo o a un innocente visionario Egli aveva quattordici anni e tredi- ci talleri accumulati a poco a pocoquando disse a sua madre che voleva andare a Copenaghen, la piùgran città del mondo. La poverettagiunse le mani. «A far che, figliuolo?». Cristiano le rispose che volevaandarci a far fortuna e diventarecelebre. «Non temere, mamma, stascritto in tanti libri che bisogna farcosi, patire ogni sorta di miserieper poi diventare famosi». La ma;dre, spaventata, mandò all'Ospiziodei poveri a chiamare una certa vecchina che leggeva l'avvenire nellecarte ed era celebre nel profetizzareLa vecchina venne e lesse l'avveniredi Cristiano nelle carte da gioco enella posatura dei fondi di caffè«Vostro figlio diventerà un grand'uomo — disse — e verrà un giorno in cui Odense sarà illuminatain suo onore». Allora la madre fecun fagottino dei suoi panni, gli dette la sua benedizione e lo lasciò andare. Ed ecco i torrioni di Copenaghen !... E a Copenaghen la vitafu proprio come nelle storie deglnomini diventati celebri: famefreddo, solitudine, miseria; poi, come vengono fuori i buoni genii nellfiabe, ecco qualche buon protettoreuno che lo fece studiare, un altrche l'aiutò a rappresentare i suoprimi lavori di teatro, un terzo chgli ottenne la benevolenza del r(che era anche lui un buon re dfiaba) e una pensione per un viaggjo... Allora Cristiano fece come l rondini delle sue fiabe; a vidt, vidt, vidt I... » che vuol dire, in danese, lontano, lontano, lontano I... E volò verso il paese dei suoi sogni, venne in Italia, dove scrisse il romanzo: «L'improvvisatore» che ebbe un grande successo. Egli scrisse altri romanzi e poemi e drammi... I critici erano però severi con lui, spesso duri o addirittura ingiusti. E il grande Cristiano si nascondeva per celare il suo dolore e forse anche le sue lacrime, come quando da bimbo si sentiva straziare dalla beffa di un compagno. La sua anima rimase sempre quella di un fanciullo, candida, ingenua e sensibile, e non poteva vivere che di carezze e di bontà. Intanto egli scriveva anche delle fiabe e ne raccontava ai suoi amici piccoli e grandi, forse senza sapere che proprio quelle fiabe, che erano poemi soavissimi, pie ni di genio e di arte infinita, gli avrebbero dato l'immortalità. Il grande critico danese Brandes scrisse: «Cristiano Andersen si trovò fi nalmente davant: a una porticina misteriosa, la toccò appena, e la porticina che menava al regno delle fate si spalancò per incanto e den tro ei vide luccicare l'acciarino che doveva essere per lui quel che fu per Aladino la famosa lampada. Lo battè, ed ecco apparire i tre cani con gli occhi grandi come scodelle, come mole da molino, come il torrione di Copenaghen e portavano i tre seri gni, di monete di rame, d'argento e d'oro. Era la prima scintilla, la prima novella; e dietro ad essa vennero tutte le altre. Felice l'uomo che sa trovare il suo vero acciarino!...* II brutto anitroccolo era diventato cigno!... E, come dice la novella, «che importa l'essere nati nel cortile delle anitre, quando si esce da un ovo di cigno?...». Ora in tutta Europa si sapeva che Cristiano Andersen era un grande poeta e i suoi amici erano Chamisso, Dickens, Schumann, Heine, Balzac, Dumas; e cantatrici meraviglioso come Jenny Lind l'avevano caro come un fratello. Senza contare i re e i principi!... Egli era accolto alle corti come un ospite preziosissimo, come un genio luminoso e nello stesso tempo come un bimbo adorabile. Le principesse gli facevano dei regalini e ricamavano per lui albi di velluto e portafogli di seta. La principessina Maria Elisabetta di Sassonia, dal profilo così fine dall'eleganza così squisita, lo adorava e sapeva a memoria tutte le sue fiabe. Quando fu maritata e venne a Torino, a palazzo Chiablese, le raccontava ai suoi due bimbi biondi, dagli occhi ceruli, a Tomaso e a Margherita di Savoia. E diceva con gentile fierezza: «Io le ho sentite dalla viva voce di Ini, dal poeta!...». E la gentilissima bimba che doveva essere poi regina s'infiammava d'entusiasmo bevendo quel filtro di poesia che avrebbe illuminato tutta la sua vita. E le donne?... A venticinque anni Andersen si era innamorato. « Ero in una piccola città della mia patria — scrisse — e una ricca famiglia mi ospitò. E qui, bruscamente, s'apre davanti a me un mondo nuovo, una immensità che è contenuta in questi quattro versi. — Fio veduto ora due occhi neri. Tutto il mio universo vi si riflette. L'anima vi brilla, una pace infantile vi splende — non li dimenticherò mai. Poi, ci rivedemmo a Copenaghen, l'anno dopo, lo non osai mai parlarle d'amore, ma un solo pensiero era nella mia mente: lei!... Ma lei amava un altro e lo sposò. Molto tempo dopo ho capito che era meglio così per lei e per me. Ella non sospettò mai il mio amoro ed e un'ottima moglie e una madre felice. Che Dio la benedica, lei e la sua famiglia!... « Ecco il cuore di Andersen : mai una goccia d'amaro, amore soltanto, fervido amore per tutti e tremante tenerezza e sorridente dolcezza anche verso la morte. Negli ultimi momenti della sua vita ripeteva: «Come sono stato felice!... Da ogni male m'è venuto un bene, i giorni di miseria e di pena portano in sè dei germi di benedizione e di felicità. E ora me ne vado dolcemente, lontano come le rondini, vidt vidt vidt, là dove splende sempre il sole e non c'è più dolore... ». A Odense, secondo la predizione della vecchina dell'Ospizio, avevano una sera illuminata la città in suo onore, come si fa coi re. Quest'anno, in tutta la Danimarca, si festeggia il centoventicinquesimo anniversario della sua nascita. Poiché egli amò l'Italia «come il paese dei suoi sogni » ricordiamo anche noi questo poeta unico, dall'anima innocente e sublime, che attraverso il tempo pare guardarci con un sorriso raggiante di bontà e d'amore, quasi dicesse: «Qualcosa di bello, ora ha da venire», come diceva sempre l'abete della sua fiaba —ricordate ? « L'abete», che sembra proprio la storia di tutti. CAROLA PROSPERI.