I cinque secoli di storia dell'Accademia Albertina

I cinque secoli di storia dell'Accademia Albertina Dopo le dichiarazioni di S. E. Giuliano alla « Stampa » I cinque secoli di storia dell'Accademia Albertina Tire diversi ordini di considerazìoni ci hanno fatto accogliere con soddisfazione profonda le rassicuranti dichiarazioni che S. E. Balbino Giuliano, Ministro dell'Educazione Nazionale, ha voluto fare al Podestà di Torino e al nostro Direttore, Curzio Malaparte, intorno alle sorti dell'Accademia Albertina, per dissipare prontamente e recisamente ogni timore di soppressione, e comunque di diminuzione nella sua importanza, dell'antico e illustre istituto torinese. Come ieri l'altro abbiamo pubblicato, il Ministro ha creduto di spiegare le allarmanti voci che da gualche tempo circolavano insistenti negli ambienti culturali e artistici della nostra città, mettendole in relazione a quel progetto di generale riordinamento dell'istruzione artistica per studiare il quale egli aveva nominato una Commissione composta di persone di alta competenza che appunto in questi giorni gli hanno rimesso uno schema di provvedimenti per l'opportuno esame. Ad ogni modo, il latto stesso che S. E. Giuliano abbia pregato Curzio Malaparte di render noto per mezzo della Stampa alla cittadinanza torinese che egli — pur desiderando di tenere nel massimo conto gli studi della Commissione — « non pensa lontanamente ad una soppressione e nemmeno a una parziale trasformazione della Accademia Albertina », e la esplicita sua dichiarazione di essere, da buon piemontese di antica razza ;« geloso custode delle tradizioni culturali piemontesi », costituiscono le più esplicite ed esaurienti garanzie che noi potessimo desiderare, e ci tolgono ogni rammarico di aver eerbato (e unicamente per un senso di disciplina e per non accendere una discussione allora forse prematura) il silenzio quando tempo fa udimmo ventilar propositi di riservar la sede degli Istituti superiori d'arte alle tre città' artisticamente più illustri d'Italia: Roma, Venezia, Firenze ed a Milano. Tre ordini di considerazioni, abbiamo detto. E poggia il primo tanto sull'origine antichissima della nostra Accademia quanto sull'esser state le vicende di questa cosi intimamente legate a quelle della Casa di Savoia e alle alterne fortune del popolo piemontese, che i periodi fulgidi e i periodi bui della storia di questa nostra altissima Scuola di artisti altro non sono, diremo cosi, che uno spirituale sensibilissimo commento delila storia politica e militare di uno Stato cui il destino doveva affidare le sorti della patria Italiana. Ciò ohe ancora una volta proWcome i bisogni dell'arte non siane nella vita dei popoli un superfliwr-trensl il più squisito Imttctrdeila civiltà, non quella apparente e meccanica ma quella interiore ed umana. Una con:pietà cronaca della Regia Accademia Albertina di Torino non è purtroppo — dopo le cronache parziali del Vernazza, di Onorato Derossi, del conte Giuseppe Roberto di Malines, dell'abate Luigi Lanzi, del Duboin, di Carlo Felice Biscarra e di Felice Barnabei — ancora stata scritta. Vi attende ora L. C. Bollea, che si ripromette di darcela fra tre anni, per il prossimo centenario della rinnovazione albertina, del 1833, dell'Accademia. Ma chi vuole averne qualche accurato anticipo, vada alle monografie pubblicate quest'anno da cfuesto studioso: Gli storici dell'Accademia (Torino, Bocca, L. 10) e La R. Accademia Albertina e la lì. Casa di Savoia (Torino, Bocca, s. p.). Leggerà che, quando nel secolo XV l'arte piemontese trovò un suo sviluppo con impronte forti e tutte proprie, comparvero le prime forme di quell'associazione artiariana dei pittori'e degli scultori piemontesi, che fu'la matrice della futura Accade mia ed alla quale si richiamano le disposizioni legislative dell' editto 17 giugno 1430 del duca Amedeo Vili di ' Savoia. 1430-1930: cinque secoli esatti di tradizione, dunque; se anche — dopo il riconoscimento di Carlo Emanuele I nel 1619 (« tutti, secondo le professioni di ogni uno, matricolati e notati in un libro, proibendo ad ogni uno, che non vi sarà ammesso, di- esercire... ») — si dovette attendere fino al 1652 perchè la « Università de' signori pittori, scultori et architetti in Torino » ottenesse il diritto di restaurare ed usare l'altare della cappella della SS. Trinità della cattedrale di S. Giovanni dedicandolo a S. Luca, protettore dei pittori: e se soltanto nel 1678 Madama Reale Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours, accogliendo una supplica dei « pittori, scultori et architetti » fondava la prima vera Accademia di pittura e scultura assegnandola « dentro uno dei palagi Reali » quale « stanza per tenere scuola » e nominando come primo presidente il senatore e cavaliere Niccolò Gazzelli. E sorgeva questa Accademia con caratteri professionali e agnostici, indipendentemente cioè dall'organismo religioso della « Compagnia di S. Luca » permessajlall'arcivesoovo G. B. Roero nel 1756, netto sdoppiamento, questo, con carattere di schietta associazione religiosa che sussistette anche quando, fra il 1799 e il 182i, la vera e propria Accademia subì una interruzione di vita. La quale Accademia che, se pure Impropriamente, potremmo chiamare civile, risenti come tutta quanta l'arte e la cultura piemontese, le tristi conseguenze della guerra per la ■ Successione di Spagna: risorse nel 1716 quando il suo direttore Ghibert ottenne da Vittorio Amedeo II «tre camere nel palazzo Reale del'Università » e un corpo di statuti «regolamenti; fiori sotto Vittorio Amedeo III con la scelta, intorno al 778, de! direttore francese Lorenzo Péeheux. pittore da tempo romanizato; fo chiusa quando la Casa di svola parti per l'esilio sardo; vena aggregata come semplice Fa¬ aanpdtcdarvrtsDilmqmqlla(S coltà delle Belle Arti all'Università durante la dominazione napoleonica; visse quietamente nell'ombra universitaria fra il 1814 e il '22; e finalmente, regnante Carlo Felice, il 13 luglio 1824, venne ufficialmente restaurata col titolo di Regia Accademia delle Belle Arti, in attesa che la luminosa riforma di Cario Alberto e la sua concessione della attuale sede la fregiassero dell'appellativo di « Albertina », di cui l'insigne Istituto va giustamente orgoglioso. Vennero poi i ritocchi ai regolamenti per i quali — e specialmente per la legge del 16 marzo 1850 — l'Accademia andò perdendo (come accenna il Bollea) la sua coloritura accademica per trasformarsi sempre più in un organismo di educazione nazionale. Ma questa è ormai storia di ieri; ed è una storia le cui tappe, più ancora che dai vari riordinamenti, è illuminata dai nomi e dalle opere di quegli artisti che all'Albertina si vantarono di essere insegnanti e che a loro volta all'Accademia diedero un vanto il cui ricordo dura. Un nome solo basti citare per tutti: quello di Antonio Fontanesi, del più grande pittore di paesaggio che l'Italia abbia avuto nel secolo scorso, più grande — lo si tenga presente se anche si è in pochi o i soli a proclamarlo — di Fattori e Segantini. Questa è la nobilissima storia cinque volte secolare dell'Accademia Albertina di Torino: nobiltà e vetustà che dovrebbero essere incitamento e ammonimento e orgoglio per tutti gli artisti che in Torino lavorano: anche per quelli che, dichiarandosi « accademici di nulla accademia », sorridono all'idea che, se non l'arte, almeno il modo di aspirare all'arte possa essere insegnato in aule scolastiche, e pensano che il sommo dell'espressione consista in un punto esclamativo, e che una passeggiata in collina sia sufficiente all'ispirazione. Ma le assicurazioni di S. E. Balbino Giuliano, a parte ogni professato rispetto per tradizioni e affetti regionali, rivestono in questo momento altro e diverso e forse meno contingente significato. Implicitamente esse vengono a ribadire tutto l'altissimo valore — professionale e morale — della scuola intesa — anche nelle cose dell'arte — come disciplina, freno, pazienza e tenacia ancor prima che studio. E poiché oggi tutta quanta la vita italiana a questa disciplina e a questa pazienza tende con le sue forze migliori per la riconquista di virtù smarrite attraverso a un lungo errore e di pratica e di spirito, noi che a una rinascita della nostra gloria.artistica guardiamo come all'indice più certo per giustificar la speranza di ogni altro primato, siamo grati al Ministro di codesta riconferma. E di un'altra cosa ancora gli siamo grati, come piemontesi e come cronisti delia vita artistica italiana: d'aver cioè riconosciuto, garantendo la intangibilità della sua Accademia di Belle Arti, che Torino non è, nel quadro dell'attività artistica nazionale, quella Cenerentola che qualcuno affetta ritenere. Meglio di altre, le sue parole varranno a ricordare a coloro che spesso lo dimenticano che in questa città troppo spesso considerata soltanto <■ città ndustriale» operano, sia come « isoati » sia come gruppi, parecchi dei più vivi ingegni artistici d'Italia, tanto nel campo della pittura e dela scultura quanto in quello della architettura. Lasciamo pure da parte i nomi. Limitiamoci ad un accenno: che Torino è la sola città itaiana che con Roma e Venezia condivida l'onore, in quest'ora di risveglio architettonico, di possedere una Scuola Superiore di Architettura: scuola che. tenacemente voluta da Mario Ceradini e finalmente riconosciuta con decreto del 16 luglio dell'anno scorso, è ancor essa una creatura, ormai destinata a vita autonoma, della nostra Accademia Al bertina. mar, ber.