La bella vita

La bella vita La bella vita Alla casa si arrivava per una strada disselciata e fangosa in fondo alla quale si vedeva la campagna verdeazzurra e ondulata impallidire fino a confondersi col cielo bianco. Case in costruzione fiancheggiavano la strada, ovunque erano fosse di calce, impalcature, botti sfondate, travi; ma, data l'ora meridiana, i lavori erano sospesi e gli operai seduti su muricciuoli mangiavano senza parlare le loro pagnotte infarcite. Nessuno pa6aava, c'era un gran silenzio : « Le troveremo a tavola — mi disse Marco acavalcando con precauzione le pozzanghere — ma, d'altra parte, è il Bolo momento in cui si possa trovare con sicurezza quella donna ». Gli chiesi cosa facesse, ed egli mi rispose che aveva in città uu negozio di mode e che era appunto là, che sua sorella in cerca di lavoro era incappata in quella tirannica amicizia. «E' una specie di donna di affari — concluse passandosi quella sua mano di gigante, larga come una pala, non sulla fronte ma sul viso intero —; del resto ora la vedrai ». L'appartamento era al primo piano di una palazzina dai muri rosei, dalle persiane verde pistacchio. Ci venne ad aprire una servetta, ci laaciò per un istante in un salottino minuscolo e povero nonostante alcune civetterie a buon mercato, e tornò quasi subito dicendo che potevamo passare nella stanza da pranzo. Come Marco aveva predetto, le due donne erano ancora a tavola. Una gran luce empiva la camera nuda, la vasta campagna visibile attraverso la finestra senza tendine faceva uno strano effetto, come se fosse stato il mare. Quel che mi colpì soprattutto, insieme con l'odore di cucina che appestava l'aria, fu l'aspetto disordinato e materialàssimo della tavola. iUna_ tovaglia con macchie di vino, molliche, piatti sudici, la ricopriva; il vasellame era grossolano e unto fin sull'orlo d'olio e di pomodoro; invece della bottiglia cera un fiasco sbilenco nel suo involucro di paglia. Guardai le due donne che un po' imbarazzate avevano interrotto di mangiare. Dora, la sorella di Marco, sarebbe stata bella se non fosse etata così smunta: era bionda, esangue, bianca come la cera, con grandi occhi azzurri, infossati e pesti. La Vercelloni era invece tutto l'opposto: larga, - atticciata, aveva una testa dai capelli corti, dai tratti carnosi e smussati come quelli degli efebi; gli occhi li aveva tranquilli e neri con uno sguardo lento non privo di una sua inconscia maestà; una leggera peluria decisamente scura ombreggiava le labbra che non orano dipinte. Osservai anche che mentre la Dora stava dritta e composta sopra la sua sedia, l'amica, sia "che avesse bevuto un po' troppo sia che non le importasse, sedeva di traverso, rovesciata alquanto sulla spalliera, col tovagliuolo infilato nel colletto della camicia maschile. Era vestita di grigio è una cravatta vivace le ricadeva sul petto. Non parve sorpresa di questa nostra visita, ma un po' infastidita come da un intervento che stimava al tempo stesso indiscreto e inutile. Sedemmo; e, 6enza .indugio, come se la .Vercelloni non fosse stata presente, piegato il corpaccione sopra la sedia angusta, Marco incominciò ad esortare la sorella a non volere continuare a vivere fuori di casa, a tornare in seno alla famiglia. I suoi argomenti erano solidi e modesti; alluse con abilità al dispiacere della madre, non ebbe una sola parola contro la Vercelloni; evidentemente nonostante il 6uo risentimento, voleva parer moderato ed obiettivo. Ma la sorella aveva, guardandolo, una espressione estremamente ottusa: ano — rispose alfine col tono di chi ripete la lezione — non verrò con te... finora sono stata troppo buona, mi sono sacrificata, ma ora ho capito che devo farmi valere secondo i mici meriti... e poi voglio godermi la .vita*. La Veroelloni che non aveva mostrato alcuna ansietà, sorrise senza ostentazione, tranquilla, mostrando i bei denti regolari, di una bianchezza di latte: «Povera Dora — disse con una voce sonora — è comprensibile che non voglia tornare in casa... a ventott'anni suonati la tenevate chiusa tutto il giorno, le facevate lavare i piatti, cucire, spazzare... »; enumerava con una calma superiore e protettiva le angarie sofferte dall'amica e quest'ultima la stava ad ascoltare con evidente compiacimento come un contadino che senta per la prima volta un oratore da comizio gridargli che è oppresso, taglieggiato, incatenato e che è giunto il momento dellayriscossa. Poi ap- J»ena la Vercelloni éobe finito'di parare, Dora si voltò verso il fratello e con espressione stupida e inorgoglita gli spiegò come qui avesse una stanza sulla campagna e potesse uscire quando voleva, anche sola, e andare al cinema, al caffè... a Sono come uua padrona — concluse con aria sagace —: la mattina mi alzo tardi e prendo il caffè in letto... posso fumare sigarette e bere liquori quando voglio... Maria mi porta in giro nella sua automobile, mi ha regalato dei vestiti, è buonissima con me... e inoltre posso ricevere chi voglio nella mia stanza, anche di notte...». Quest'ultima frase fece trasalire Marco, però non disse nulla e pensai che, stimando sua sorella più mentecatta che sgualdrina, non volesse perciò mettere in quella testa innocente idee e sospetti di possibilità ancora impensate. Rispose invece con molta dolcezza, stringendo i grossi pugni sotto la tavola, che se fosse tornata a casa le avrebbero dato una stanza tutta per lei e che avrebbe potuto come qui alzarsi tardi e prendere il caffè in letto. Ma la ragazza scosse con ostinazione la testaT «Finora — rispose — non sapevo cosa fosse la libertà e quanti vantaggi potessero derivarne... ma pra lo so e non mi lascio più convin¬ cere... avete un bel dire voialtri ma non mi convincete... ora so cosa vuol dire godere la vita»; e in così dire tutto quel suo viso smunto e compassionevole si dipinse di una golosità allusiva e tenace. Per qualche istante ci fu silenzio. La Veroelloni covava la ragazza coi suoi occhi tranquilli e neri di bell'animale; attraverso la finestra piena di quel verde irreale della campagna un pallidissimo raggio di sole veniva a far brillare le stoviglie e i capelli biondi della sorella di Marco. Quest'ultimo scuoteva con rabbia la testa e si mordeva le labbra. Il silenzio venne daccapo interrotto dalla ragazza: «Faccio una bellissima vita — ella disse — perchè dovrei tornare con voi? E poi anche se volessi non potrei... dobbiamo, Maria ed io, partire tra pochi giorni per Parigi... A casa, chi avrebbe mai pensato a farmi andare a Parigi?... E in verità io credo che non ci sia nulla di più bello che viaggiare e andare a vedere una città così magnifica e piena di negozi e di divertimenti come Parigi...». E continuò con lo stesso tono paragonando Parigi alla città natale, ed esaltando i vantaggi di questa sua nuova esistenza. Poi la Vercelloni spiegò che si recava a Parigi per il consueto acquisto ..dei modelli. Marco stette a sentirla; quindi: «Mi faccia il piacere — disse — mandi via Dora... vorrei parlarle da solo a solo...». Venne subito accontentato: «Dorina — disse la Vercelloni — vai di là un istante... ho da parlare a tuo fratello...». La ragazza obbedì e si alzò. Osservai allora che di per¬ sona non era magra come in viso, ma ben fatta e quasi formosa. Indossava^ un vestito cortissimo, portava ai piedi pantofole felpate, 1 polpacci scoperti e ridondanti avevano qualche cosa di sfacciato. Mi colpì anche il passo un po' vacillante col quale raggiunse la porta e pensai che anche Pubbriachezza fosse una delle attrazioni di questa bella vita che diceva di fare. Ma venni distratto da queste supposizioni dal tono violento col quale Marco parlava alla padrona di casa. «Lei sa benissimo — diceva — che mia sorella è una povera demente e che se si avesse quattrini la si avrebbe già messa in una clinica... con che scopo allora portarla via dalla famiglia, montarle la testa, farle credere che è stata fin adesso sacrificata, martirizzata? Io dico che da parte sua è cattiveria incosciente o peggio...». La Vercelloni sorrise e tratto di tasca un portasigarette l'offrì aperto a Marco. Questo gesto, chissà perchè, infuriò il gigante che con una manata fece volare in aria astuccio e sigarette. «Ho proprio voglia di fumare io ! », esclamò con rabbia. La donna non si scompose ma l'avvertì che se continuava così l'avrebbe messo fuori di casa. Raccolse quindi una sigaretta che era caduta sopra la tavola, l'accese e incominciò a spiegare che era stata mossa ad agire in quel modo dall'affetto e dalla compassione che la ragazza le aveva inspirato. «E' una vera indegnità — soggiunse — tenere segregata una così bella ragazza colla scusa che è squilibrata... intanto è perfettamen¬ te sana di mente... siete stati voi che a furia di ripeterle che era stupida l'avevate tanto intimidita da farle disimparare persino di parlare... e poi è maggiorenne ed è libera di fare quel che più le piace». Ci fu un breve silenzio. «Io voglio bene a Dora — disse ad nn tratto tranquillamente la donna — e in nessun caso la lascerò tornare in una casa dove sarebbe maltrattata e peggio...». Trattenendo a stento il risentimento, Marco le rispose che la sua famiglia era troppo povera per far viaggiare Dora fmo a Parigi ; ma che la sorella non aveva mai mancato di nulla; e che del resto la sola volta che l'avevano mandata sola in villeggiatura aveva combinato tante sciocchezze da scoraggiare per sempre la loro buona volontà. Ma la Vercelloni non parve convinta: «Quello che lei chiama sciocchezze — disse — sono semplicemente la vita normale di tutto le persone... la povera Dora mi ha raccontato tutto : pare che si fosse innamorata di qualcheduno... non vedo che gran male ci sia...». Si udì in questo momento un ritmo di grammofono venire dalla stanza attigua. Marco si curvò sopra la sedia: « Insomma — domandò — vuol lasciarla andare mia sorella o no?». La Vercelloni abbassò gli occhi, scosse la cenere della sigaretta, poi, come un banchiere che stia trattando un affare, si rovesciò sulla sedia e guardò Marco: «No, in nessun caso», rispose con semplicità. Non c'era più niente da fare. Nella stanza attigua il grammofono suonava, mi pareva di vedere quella grande camera a cui aveva alluso la ragazza, mi pareva di vedere la ragazza stessa davanti alla quale si apriva il miraggio di un soggiorno a Parigi, ballare per la gran gioia di essere fuori delle strettoie famigliari, nella nnova atmosfera di una vita senza freni. Pensavo anche come tutto fosse ben congegnato: una ragazza quasi mentecatta dominata dalla influenza dorata di questa Vercelloni tranquilla e sicura di sè; tutti quei veri vantaggi, Parigi, l'automobile, il caffè servito in letto; il cerchio era chiuso, impossibile romperlo. All'opposto di Marco serio e preoccupato mi sentivo ilare e quasi sorridevo. Poi il mio amico si alzò. «Vuol salutare sua sorella?», domandò la Vercelloni colla sollecitudine di una madre badessa ormai sicura della vocazione fin allora incerta di una sua novizia. Ma Marco rispose di no, assai cupamente, e passò nel vestibolo. La Vercelloni non ci accompagnò, la vidi scomparire nella oscurità del corridoio. Uscimmo, Gli operai dei cantieri avevano ripreso il lavoro, nell'aria bianca e nuda del pomeriggio invernale echeggiavano dei gran colpi di martello dalle cime aeree di certe antenne di legno. « Per me mia sorella è come se fosse morta», disse ad un tratto Marco. Ma io non condividevo questa sua cupezza, la vanità dei suoi sforzi mi faceva piuttosto sorridere come quelle leggere angosce che» non si capisce mai bene se rechino piacere oppure dolore. ALBERTO MORAVIA.

Luoghi citati: Parigi