Francesco Giuseppe intimo

Francesco Giuseppe intimo Francesco Giuseppe intimo L,'eplstolario con la madre VIENNA, agosto. Ricorreva ai 18 di questo mese il Primo centenario della nascita di Francesco Giuseppe, un Sovrano che la sua Vienna ha quasi completamente dimenticato. Ma già diciottenne, ai 22 di maggio del 1848, egli mostrava di sapere cosa valessero i cittadini della capitane, scrivendo da Verona alla madre, arciduchessa Sona, che Sua Maestà l'Imperatore Ferdinando — scacciato dalla rivoluzione — avrebbe fatto bene a non ritornare a Vienna per dare una buona lezione agl'infedeli. Il centenario s'è compiuto senza che qui siano sòrti monumenti a rammentare l'opera di colui che portò la città al massimo grado di splendore, arricchendola di strade, teatri, pubblici edifici bellissimi e che seppe far prosperare la Monarchia perlomeno fino al giorno in cui il Signore diede vita a lui. Non è strano che le lettere di Francesco Giuseppe alla madre vengano pubblicate a cura di una casa editrice di Monaco, Jos. Kòsel e Friedrich Pustet? Il volume porta il titolo: " Briefe Kaiser Franz Josefs I. an seine Mutter » e riunisce l'epistolario dal 1838 (Francesco Giuseppe aveva allora 8- anni) al 1872, anno in cui, ai 28 di maggio, l'arciduchessa Sofia mori sessantottenne. Lo apre una prefazione del dottor Franz Schnurer, che assisti to da una nipote del Monarca ha col lezionato il materiale prima di darlo alle stampe e che pronuncia sul conto del defunto un giudizio il quale si può in larga misura condividere: « Francesco Giuseppe era un essere per nulla romantico, non sentimentale, alieno da qualsiasi posa, non complicato, sinceramente onesto e che mai pensò a simulare una sensazione da lui in realtà non provata ». Del con cotto, che egli s'era formato, del doveri di un Sovrano non è più necessario far parola: rammenteremo la sua mone, tormentata dallo scrupolo di non aver potuto « evadere « fino all'ultima le carte che nella solita busta di cuoio l'aiutante di campo aveva deposto sul tavolo al mattino. HqcMsmpnbaptl. .largo contributo allo studio della psi-:La scelta della fidanzata Le lettere alla madre forniscono un cologia dell'uomo che al mondo esteriore apparve sempre chiuso, impene- trabile, freddo. La madre fu per lui lllna vera amica, ed all'influenza ma <terna Francesc° Giuseppe si ribellò. in fondo, una volta sola: fu allorché recatosi a Ischi per conoscere Sofia di Baviera, che la genitrice avrebbe voluto dargli in isposa, scelse a compa¬ Sofia, Elisabetta, che a tale unione .aveva pensato tanto poco quanto lui. ^ felicità o meno della scelta è un \altro affare: però, rileggendo le espres: sioni allora scaturite dalla penna del l ventitreenne, bisogna ritenere ch'egli |^USÌ?;.oSe"-Ì!°„V"tm„e,"te felicissimo' e e , ! ? i a o gna della vita la sorella minore di jDefiniva divino il breve soggiorno di Ischi, non riusciva a nascondere il de¬ siderio di correre di nuovo al fianco della fidanzata, della quale nessuna fotografia o ritratto gli pareva degna- mente riuscito, parlando della sua Sisicome uno studente innamorato sino alla cima dei capelli. Uomo pratico però rimaneva, tanto che in una lettera da Monaco del 17 ottobre del 1853, av-vertiva che la preparazione del cor-redo procedeva piuttosto male, per cuigli pareva già da un bel risultato escludere. La calligrafia di Francesco Giuseppe si rivela, nei fac-simili, chiara, u '[ guale. vergata da mano sicura: con gli -'fam:., intere dovettero essere scrii- -ì1! più ,ln f,re,ta' m» è comprensibile che molto tempo libero per la corri i, sp0ndenza privata Sua Maestà non po tesse averlo. Lo stile è piano e la lin gua, dal punto di vista letterario, non -1 purissima; abbondano quelli che 1 te ;de«w sogliono chiamare austriacismi, 1 e che soprattutto consistono in parti- jcoiari co^truzioni deUa frase, e qua e - ha fanno capolino i barbarismi che fuajrono e rimasero una caratteristica del è parlar viennese: l'Imperatore volentie ! e , a a ! a l i e o i , a l i e e a e i i . a , a l o ri adopera le parole lalìguen, fatigant, exzellent, magnlftlt, insultiti, blessur.nel senso che ad esse viene dato in francese o in italiano, e non per il gusto d'infiorare il discorso con un detto straniero. L'umorismo, nel tempo dell'adolescenza, a tratti fiorisce spontaneo: il giovane Franz, descrivendo certe feste, si prende beffa di questo o quel personaggio, e quando vuol dire che una cosa gli è piaciuta assai dice che se l'è passata da re. Religioso, ne dà prova con ripetuti accenni olla fiducia in Dio, con le frequenti descrizioni di giornate iniziate o chiuse da servizi divini, però clericalissimo non era, altrimenti nel '70, quarantenne^, non avrebbe preso le parti dei vescovi austriaci Rauscher, Schwarzenberg, Strossmayr e altri, ritornati a Vienna delusi dal Concilio vaticano nel quale, auspice Pio IX, s'era proclamata la infallibilità del Santo Padre. « Dio tornerà a mandare tempi migliori, scrìveva alla madre, e non pianterà in asso la Sua Chiesa: ne sono fermamente convinto». Per il momento un accordo col Vaticano era impossibile. Presentimenti sull'indipendenza italiana Le lettere più interessanti sono quelle che fanno conoscere le vedute d Francesco Giuseppe in questioni politiche e militari. Fosse effetto dell'am biente o che, a 17 anni egli già osserva che in Italia le cose andavano molto confusamente e che quindi fosse impossibile prevedere ciò che ne sa retobe venuto fuori : lo apprendiamo da uno scritto dell'll di settembre del 1847, a pochi giorni di distanza seguito da un altro in cui manifesta ammirazione per Alberto di Sassonia, a motivo delle sue « giustissime opinioni » in materia antiliberale. Nel campo internazionale, gli odii del defunto si diressero, di volta in volta, verso il Regno di Sardegna, che avrebbe dato pace alla monarchia o solo il giorno in cui l'aquila bicipite fosse stata piantata a Torino », verso la Prussia, la Russia e Napoleone III. In generale, dell'Italia egli scrive sempre tradendo un senso d'intima rassegnazione ad eventi la cui fatalità doveva apparirgli ineluttabile : da Milano, da Venezia, da Verona, mai sfoggiò entusiasmo o fiducia, anzi giunto a Venezia con Elisabetta, nel dicembre del '56, riferì alla madre : « La popolazione è stata molto corretta, senza mostrare particolare entusiasmo ». In guerra con gli italiani, spesso muta opinione: talvolta si preoccupa della grande superiorità numerica dei piemontesi, poi si consola con la convinzione che scapperanno. Da Verona, nel maggio del 1848, annunziava che i reggimenti italiani comandati da Haugwitz e da Sigmund non s'erano battuti bene contro i piemontesi, i quali, pero, a Santa Lucia, andati incontro ai granatieri italiani di Sua Maestà austriaca con bandiera Bianca e gridando evviva, si ebbero per risposta un attacco alla baionetta. Ai 31 di maggio dello stesso '48 scriveva dal quartiere generale, in Rivalta: « Partiti ieri da Mantova, abbiamo preso la direzione di Uoito, dove la nostra avanguardia ha cozzato contro i piemontesi. Ne derivò un vivace combattimento del nostro primo corpo di armata con i piemontesi che ci costò parecchia gente e in sostanza non portò a nessun notevole risultato, giacché non riuscimmo a prendere Goito, cosa alla quale speriamo di rimediare domani ». Undici anni dopo, Imperatore, dove» va, da Verona, cercare di riconfortare la madre per la disfatta dì Magenta e per la ritirata fino al Mincio, che a lui era toccato di comandare: il nemico era valorosissimo e numericamente superiore, da parte austriaca si erano commessi molti sbagli e per giunta la Monarchia aveva sofferto per tradimenti ed infamie che il Cielo avrebbe dovuto vendicare... Gridando all'infamia e al tradimento, egli non alludeva tanto a Napoleone IH, che chiamava mascalzone o arcimascalzone, a Vittorio Emanuele, responsabile di « furti », e a Garibaldi, autore di « ruberie », bensì, ai prussiani. Tuttavia i suoi duri giudizi del 1859 e del '60 debbono sorprendere se si riflette che nel 1854, infierendo la guerra di Crimea, aveva riassunto il suo pensiero sulle amicizie politiche. In poche frasi che vale la pena di riprodurre: « Malgrado tutti i pasticci politici, lo Timango di buon umore, giacché a mio avviso da questa faccenda orientale, se agiremo con forza ed energia, per noi potranno derivare solo vantaggi, dato che il nostro avvenire è in Oriente, e noi ricacceremo la potenza e l'influenza della Russia entro i confini dai quali essa potè uscire solo grazie alle debolezze ed alla discordia del passato, per provocare lentamente — forse che senza l'Imperatore Nicola lo volesse, ma in mono indubbio — la nostra rovina. E' dura cosa doversi schierare .contro antichi amici, però in politica :norl si puo diversamente e in Oriente la Russia è sempre la nostra nemica naturale ». Dunque di che si sorprese più tardi l'Imperatore austriaco, quando antichi amici suoi, come lui ragionando che » in politica non si può diversamente » impugnarono le armi contro di lui, per far valere dei diritti o delle pretese? Nel '55 non gli aveva arrecato somma j gioia la notizia dello sgombro della Valacchia e della Moldavia da parte delle truppe russe, il cui posto avrebbero oramai preso le austro-ungariche? « Le nostre aspirazioni e i nostri interessi sono così per la massima parte garantiti — egli scrive quella volta—e quindi la pace è sperabilmente raggiunta ». Anche il Regno di Sardegna, nel '59 e nel '66, liberando la Lom- bardia ed il Veneto, aveva pieno dirìt | to di ragionare in modo uguale, !. j.i ,ec . _„.„, j„i ,la «ai"P«6M dal '66 a la guerra del '70 o a La guerra del '66 Francesco Giuseppe la vide chiaramente venire, ma dichiarò alla madre ch'era impossibile E terminata che fu -j evitarla con onore, Ila campagna, scrisse alla genitrice da 'Schoenbrunn, in data del 22 agosto: « Quando si hanno tutti contro e non si ha un amico, allora c'è poca speranza di successo, però bisogna difendersi finché è possibile, fare il proprio dovere sino all'estremo e flnal- I jnénte^callere^con ' onore. Allorché si j ripensa come la sfortuna ci ha perseguitati colpo per colpo, quante giuste speranze sono svanite in poche ore e come i migliori di questo valoroso e cosi infelice esercito oggi sono morti o mutilati, bisogna credere d'aver sognato. Abbiamo riportato vittoria su vittoria per mare e per terra dove meno lo potevo sperare e il risultato è che proprio lì dobbiamo pagare lo scotto al vinto, solo perchè già prima della guerra eravamo stati traditi e venduti ». SI augurò una vendetta Indiretta, una consolazione morale, dalla guerra - e | ™tt ^™£EX^eo» nna"voìS .ì™ 'Ì^-'^Ip,^ mp„t™ E o o , e a a a a con infamia » dalla Prussia, mentre la Francia aveva peccato t di leggerezza' e di mancanza d'abilità». Egli s'illudeva che la Francia avrebbe potuto perlomeno resistere più a lungo della Prussia, la quale aveva subito sfoggiato tutte le proprie risorse, però tre settimane dopo, ai 25 di agosto, da Schoenbrunn scriveva: « Le catastrofi in Francia sono terribili e non incoraggianti per il nostro avvenire. Le leggerezze e gli errori commessi dai francesi superano ogni limite. Comunque, ancora non è finita e le perdite dei prussiani sembrano così colossali, ch'essi non potranno rifarsi rapidamente. Il Re, colla sua al« terigia, la sua vanità e la sua ipocrisia, ha una fortuna sfacciata... ». Ahimè, i prussiani potevano resistere, e come! Nell'ottobre Francesco Giuseppe, costretto a constatare che la buona stella non si era da essi dipartita, confidava alla madre che oramai 11 fronteggiarli sarebbe diventato più difficile, tanto più che il resto dell'Europa era preso da tremenda stanchezza e indolenza. E concludeva: « Io vedo molto fosco nell'avvenire, che probabilmente sarà ancora più triste del presente ». ITALO ZINGARE!.LI.