II Canavese sereno

II Canavese sereno II Canavese sereno i i e i i a o a e e i ao . IVREA, agosto. Vigna Rossa; qui cominciava la salita. Lo stradone della Serra scompariva alla svolta brusca del ponte per ribianeheggiare lontano tra il verde verso Viverone, e per andare alla Piuma si prendeva a mancina sotto le pergole di malvasia che nell'estate tarda già s'indorava in mezzo ai pàmpini. Di solito alla cascina di S. Pietro, presso il campaniletto romanico che sopra il bruno dei mattoni mostrava la gentilezza della bifora marmorea, si lasciavano le biciclette; ma. alle volte, quando si pensava di non tornare più a Ivrea per vari giorni; le si spingeva su per l'erta acciottolata. Le ragazze, Carla, Alberta, Vittorina, portavano i pacchi delle provviste fatte al mercato; noi maschi, per galanteria, arrancavamo a trascinare anche le loro macchine, una per mano a destra e a sinistra, prendendoci • ad ogni sobbalzo i pedali negli stinchi. I pergolati ombrosi salivano con giri larghi, sostenuti da pilastri robusti di cemento all'uso canavesano; a di giro in giro la pianura s'apriva in basso più vasta fino al dosso boschivo di Masino, Ano alle gole profonde di Valchiusella e dell'Orco, segnata dalle Ale diritte dei pioppi e dei gelsi, dalle anse lucenti delia Dora, dai tetti rossi delle case coloniche fra 1 campi di granturco bruciati dell'agosto. Sotto il gran sole tutta la campagna cominciava ad assopirsi. Le ragazze canticchiavano. L'orologio di Bollengo batteva mezzogiorno. Alla Piuma e alla villa vicina detta « i Bertinetti » sapevamo che ci aspettavano la polenta con la salsa di pomodoro e la peperonata, « l'antipasto di salame e cipolline. Si aveva stomaco eccellente allora. - Adolescenza Poi venivano i" pomeriggi pieni di placidità. Penombra e frescura nelle stanze ampie ben chiuse'alla-luce e alle mosche; torpore ; silenzio. Sul sofà un ventaglio, un libro aperto, un giornale di mode spiegazzato; la siesta. Nelle càmere di sopra le mamme e i papà (quante famiglie eravamo in quella grande casa che il vecchio cugino pittore apriva ospitale ogni estate ai parenti e agli amici? Ormai era cosa convenuta: quando non si sapeve dove andare in campagna o se qualche batosta invernale imponeva economie alla villeggiatura, «i veniva alla Piuma c'era posto per ^utti), nelle camere di sopra le mamme e i papà riposavano. Ma di. fuori, a socchiudere soltanto la porticina verde sul piazzale entrava con la vampa meridiana, assordante lo strillo delle cicale. Sul giardinetto, sul frutteto, pei filari delle vigne, e lungo tutta la pendice della Serra e giù giù fino alla pianura sconfinata, strillavano e stridevano nella calura come impazzite di sole..Il rombo dominava, riempiva l'aria immobile, sopiva ogni altro rumore. di voci, di acque, di lavoro. Non passava anima viva. La vita pareva sospesa, sotto il cielo sfolgorante. Anche il tempo pareva.fermo per magia. Era la, solenne estate canavesana, davvero imperiale e pànica net senso antico. . Ed era per noi l'adolescenza. Ganavese, Montanaro, Rodallo, Camuso. Mercenasco... pìccole stazioni insonnolite dove sale e scende tuffai nosgnomachequil'altrotorun incSi:CVae dsedorecordara,ziocinmalenprecenlicdaLusoltreBonisanchla canla allSstosegmuil il diazegbasolnafrelanlo le gapesalpadi CatilceraErneprlamDunIvabstenialtnte qualche contadino grasso. 11 campa- . 11 * ..Va ~ iJ H ,—;i 1 r. a. — — oaIl a, ii. ue, onno naa a, aoala il no se lagli dara. ne del eltiegto maz vete, re acma o : ni? da si di nla he a le i ss e, ra el si, tti on sa ne he; auo ezte iù ti; ole to nello che continua a trillare, un cane che dorme sull'uscio dell'ufficio del signor Capo, e quella lavagna con notati a gesso i quattro treni giornalieri in partenza e in. arrivo, sotto.il fregio alato del Genio Ferrovieri. Piccole stazioni sempre fiorite da giugno a settembre di altèe e di pingui girasoli dai colori di vespa. Chiuso il passaggio a livello col carri che attendono dietro la sbarra. Si sentono ronzare i calabroni. Passa il militare di servizio attillato nella glacchettina e il fischietto fra i denti. Un fischio; il treno riparte. Si va a Gressoney, si va a Courmayeur. Come.mai c'è gente che vive a Rodallo o a Strambino ? Davvero, signora mia: non le sembra uno scherzo pensare di vivere a Strambino* Guardo la mia vicina; guardo le sue valigie eleganti sulla reticella e i due bimbi gracili che le sono seduti accanto. Avrà fissato le camere al Miravalle o al Rovai; forse viene di lontano, da Viareggio o da Rimini, e prende questa nuova fatica come un altro dovere estivo. Allora è inutile. Terra nostra vera Allora non può capire questa specie di tenerezza che invece a me balza Incontro quando le prime collinette tonde di Candia appaiono ad annunziare il declivio prealpino, mentre a destra il lago limpido sembra accogliere tutto l'azzurro di un cielo fatto di colpo più profondo e puro quasi Io specchio dei ghiacciai lontani ne dissolvesse ogni fumo di caligine; non può capire questo improvviso schiarirsi di pensieri sorgenti sù nuovi dall'anima come un zampillo fresco di fontana, a mano a mano che oltre il verde dei campi e l'argento dei salici,] e dei pioppi e il biancheggiar delle strade e dei borghi sparsi per la distesa, l'orizzonte mi si fa più vasto e la barriera boschiva della Serra mi si profila con il senso di certezza che dà la vista delle cose note. Perchè qui è Piemonte, è terra nostra vera, non è neppttr necessàrio che ogni nome ci desti echi ed immagini che sono un poco come lembi di giovinezza già creduti smarriti ed ora d'un tratto ritrovati. Basta guardare, attraversando i paesi, ferme sulle soglie, oppure lungo la strada dietro i carri del lavoro, queste donne scolpite nella maestà dell'opera agreste, serene come statue. Basta accogliere questa alta solenne pace, secoli su secoli, travagli su travagli, miti tuttora intatti dopo tanta vicenda di fatiche umane, che solo la fida terra paesana può offrire. Basta volgere gli occhi intorno sulla cerchia del monti prossimi, e non più indecisi tra pianura e cielo che a distìnguer vetta da vetta dalla città conviene tener conto di tutti i giri di valle e ancora, infine, si resta con il dubbio che non sta quella la cima che ad Ayas era la prima ad accenderei nel sole e l'ultima'a spegnersi quando al tramonto si ritornava a casa con l'anima leggera e In mano un mazzo di genziane colte lungo la via. Ora la Becca Torchó eccola che a stendere il braccio par di toccarla, con le sue due punte uguaii divise dalla sella e qualche chiazza di neve tra il bruno delle rocce; e se il Monte Rosa ancora è nascosto, se il Cenino bisognerà guadagnarselo con ore di marcia prl hi m& di scorgerlo torreggiar fosco sulla ve. | conCa dolce di Breuil dopo la forra di I Busserailles, che importa, ormai ? Qui. (a|Col dorso appoggiato alla rupe ed il iviso rivolto verso il piano, noi pie- montesi'ci sentiamo davvero in casa pacodiqunesttrfukaretrcorasaniranFmgpcFaftaluFfasMpdtisrlel'dtiltuvBvsu•reè upmgdtilaqsznprsrcsqndcnascsstvsqmza e à , l a o l i l a nostra, saldi, sicuri ; ed è questo bisogno di certezza, di veder breve, forse, ma giusto, che ci fa cercare i monti, che ci dà gioia a sentirceli Intorno. Di qui, vicini come sono, un passo dopo l'altro li raggiungeremo. E ad ogni metro percorso, ad ogni ponte varcato sui torrenti dall'acqua sempre più diaccia, un invito sempre più forte sembrerà incoraggiarai a salire. Destino di AliSi: tornare là di dove forse venimmo. «Km. 5, Bollengo...» Canavese: anni lontani. Allora, chela Valle era «memo aperta alile villeggiature e da Aosta a Courmayeur chi non possedeva automobile doveva farsi sei ore di diligenza,' Ivrea non aveva ancora quest'aria di signorinetta agghindata pel di di festa. Lieta anche allora, certo, ma più modesta. Alla stazione attendevano sempre quattro o cinque carrozzelle, e con uno scudo, mancia compresa, te ne andavi a Bollengo, anzi fino a San Pietro. Oppure prendevi il trenino di Santhià, ottanta centesimi in prima. Melighe, viti, salici, gelsi; e i solchi bruni, fondi, dalle zolle grasse. I bovi aravano. Lungo lo. stradone polveroso, sotto il sole cocente, di fermata in fermata il trenino ansimava asmatico. Burolo, Bollengo. Ecco il Castello, alto a sinistra, ecco il paese, piatto, disteso, di anno in anno immutabile fin nei mucchi di letame, e su a mezza costa della Serra, coi due pilastri rossi del cancello, gialla e bassa tra il verde la Piuma, luogo di pace. L'anima si allargava. Sul finire di quei pomeriggi d'agosto, dopo la merenda e dopo la passeggiata, ci si radunava a sedere sul muretto, oltre il piazzale,.a guardare il tramonto. Come da un poggio tutto il Ganavese 'si stendeva Ano ai colli diafani di .Torino. Saliva dal lago d'Azeglio, appena visibile nel plano, una bava tenuissima di vento mentre il sole calava dietro i monti di Val Soana; la terra arroventata respirava nel fresco della sera imminente con 11 languore che prelude ai" riposi. Il cielo s'inteneriva. Dal « Bertinetti >, con le mamme e'i fratelli, venivano le ragazze vestite.di abiti chiari. Passava per la viottola qualche contadino, e salutava; talvolta anche si fermava a parlare col vecchio cugino di vigne e di raccolti, poi se ne-andava. .Allora Carla si. metteva a cantare. Alta e sottile, appoggiata a un pilastro del cancello, cantava con quella sua voce pura di adolescente, guardando il cielo. Era-la giovinezza. E si rientrava che nella pace Immènsa brillavano già le prime stelle e in casa s'accendeva la lampada a petrolio per il pranzo. Dopo tanti anni, ho voluto cercare in una Guida del Ganavese: • Km. 5 da Ivrea, sulla sinistra, Bollengo, m. 355, ab. 1187, dominato dall'alto antico castello; poco dopo. Km. 5,8, bivio a sinistra per Biella». Tutto qui. Niente altro. MARZIANO BERNARDI. dftdcg

Persone citate: Bertinetti, Camuso, Masino, Miravalle, Montanaro, Vigna Rossa