Commento a" Ulysses,,

Commento a" Ulysses,, Commento a" Ulysses,, loGscznmrrtgpalspzcGccPspgqausttcdeda e,evesapereenproonamento l'inglese per cavarne qualche cosa», disse il fratello di Joyce a Silvio Benco, a proposito di Ulysses. E il Benco simpaticamente confessa nel Pègaso d'agosto: a Gli risposi a che il mio inglese era molto poc vero, e del tutto subissato da un « nababbismo linguistico come quel« lo di suo fratello; ma che mi aiu€ tava per fortuna una certa intuic zione che ho di queste cose. E fer« inamente io credo che in quanti, t inglesi o no, hanno letto Ulysses * la prima volta, solo l'intuizione « potè supplire a ciò che l'autore esic geva dalla loro elasticità e versa ( tilità ». Se tale è il caso dello scrittore triestino, a cui la conoscenza personale del Joyce sarà riuscita di non Ìioco aiuto per intendere il senso del ibro, che dire dei tanti giovani che da un pezzo in qua si vanno-servendo del nome dell'irlandese come di un elegante gettone nella calabreealla della critica militante? C'è da giurare che tutto quel che hanno capito di Joyce non si estende oltre la vaga constatazione che Joyce adopera cil monologo interiore, contrappuntato dai borborigmi dell'incosciente». Monologo interiore... già, come Proust... già, come Svevo. Come chi dicesse che Firenze s'assomiglia a Londra perchè tutt'c due son traversate da un fiume. « Ah, come t'invidio di sapere l'inglese! * — mi dice qualche amico. — « Almeno tu puoi leggere Joyce nell'originale ! ». Amico mio, l'inglese non basta; per capire Joyce bisogna sapere una ventina di lingue, quante ne sa lui, e conoscere per filo e per segno non solo la letteratura inglese, ma anche un certo poema che tu avrai letto forse una volta sui banchi della scuola, ma che poi, certo, avrai dimenticato per più stuzzicanti novità; quella tale Odissea... Perchè, se fin qui si poteva pen ■are a una vaga rassomiglianza genetica tra il poema greco e la farragine dell'irlandese, oggi, dopo il brillante commento di Stuart Gilbert (James Joyce.'t Ulysses, a study, Londra, Faber & Faber) approvato dal Joyce stesso, bisogna, ahimè, ricono ecere che Ulysses volle essere prima di tutto una trasposizione moderna dell'Odissea, una specie di « ri corso » vichiano dell'Odissea come l'ha interpretata .Victor Bérard nel suo famoso volume: Les Phénicient et l'Odyssée. Ho detto: ahimè! E aggiungo; Otototoi! tanto per tenermi in chiave poliglotta. Perchè dunque le cose stanno così: un certo poeta greco, ammettendo che si tratti di uno solo, e che si tratti di un uomo e non d'una donna, scrisse forse nell'ottavo secolo avanti Cristo un poema,.,,l'Odissea. Un filosofo napoletano del sei-settecento immaginò una più o meno plausibile teoria dei corsi e ricorsi della storia. Un erudito francese dei nostri giorni ha congetturato un'interpretazione affascinali te, ma assai discussa, del viaggio d'U lisse. Su questo triplice strato che non chiamerei di roccia, un moderno letterato irlandese ha ricamato una specie d'opera wagneriana, diabolicamente contrappuntata, in una lingua che, nella migliore ipotesi, sta all'inglese nello stesso rapporto inl/cui la lingua di Rabelais sta al fran-U«se, o quella di Francesco Colonna,|dI autore di quell'Odissea del Rinascimento, l'Hypnerotomachia, sta all'italiano. Dopo ciò, capirete che penetrar nelle intenzioni dell'autore di Ulysses non è da tutti. Ma poi, una volta penetrati in queste intenzioni, coll'assistenza dei commento autorizzato del Gilbert, godiamo noi lo spettacolo di un'opera organica, necessaria, pienamente giustificata? Otototoi, di nuovo! Sentiamo il Gilbert: < Ulysses è, c invero, un'opera di spirito essenc zialmente classico, composta ed ese« guita secondo regole di disegno e « di disciplina di una precisione qua« si scientifica ». E ancora : « La « giustificazione di questa approssi« inazione dell'antico al moderno è otgdsdghdtmitNIdlteFvrfeilttsuAvlrc basata sul misticismo, « sull'incer*-tazza, sull'inverosimiglianza », co« me la-Chiesa, come tutte le teorie « ohe 1 homo sapiens, avido di cer« tazza, ha escogitato per dare una * soluzione al problema del mondo ». Dobbiam dunque fermarci a un Credo quia absurduml Che, quanto ad assurdità, il commento ne rivela a ogni pie sospinto. Secondo il Joyce, le pedestri avventure di quel giorno, oramai immortale, il 16 giugno 1904 a Dublino (che i joyciani di tutto il mondo festeggiano come Bloomsday, il giorno di Mr. Bloom, l'Ulisse moderno) sarebbero un'esatta ripetizione, un «terno ritorno delle avventure capitate a Ulisse a... Vattelapesca, chi sa quando. E magari, a occhio e croce, si potrebbe anche arrivare a veder dei Lestrigoni nei clienti d'una trattoria, l'isola dei venti nella redazione di un giornale, le si rene nelle serventi di una taverna, Circe nella padrona di un postribolo, Penelope in una... stata per compie tare con « moglie fedele »? vi sba gliate: dicevo dunque: in un'adul tara. Codeste son fantasie passate oramai nel linguaggio corrente, e come si dice: sirena,, o: penelope, «Ha prima civetta o alla prima moglie esemplare che s'incontri, così chi ci vieterà domani di dire a un cafone che mangia male: Brutto lestrigone! o di chiamare la redazione di un giornale un luogo pieno sol tanto di vento? Ma il Joyce non la intende così: non si tratta d'immagini, ma di vere e proprie reincarnazioni mistiche. Si dirà : Ma l'ironia ! Ora il bello si è che l'ironia occasionale non impedisce al Joyce di prender terribilmente sul serio il suo sistema di « ricorsi ». Che la casa di Mr. Bloom. numero 7 Eccles Street, Dublino, sia una replica, mti- iatis mutandis, dell'isola di Qgigia,'drNpotlzremrbmchcvsssstgscicmrpsfvfiv0mrdsnidtzgbdllrnlt«qap a ombilico del mare « secondo Omero, perchè Mrs. Bloom corrisponde in parte a Calipso, oltreché «a Penelope (nel modo che s'è visto), e a Gea-Tellus; che la sede del giornale sia una replica dell'isola dei venti, cioè di Stromboli (se l'interpretazione del Bérard è esatta),, perfino nella qualità di esser circondata da mura di rame, perchè alle mura di rame del palazzo d'Eolo corrisponderebbero le verghe d'acciaio della rete tranviaria di Dublino ; che uu sigaro capitoso sia una replica del palo incandescente col quale Ulisse accecò Polifemo e che alla roccia lanciata dal Ciclope corrisponda una scatola di biscotti ; che l'ape che ha punto Mr. Bloom sia la reincarna zione delle sacerdotesse di Cerere di cui Porfirio parla nella misteriosolìca Grotta delle Ninfe... queste sono al cune di quelle mirabili concordanze che faran dire al lettore ordinario: Par di sognare ! Sicuro : proprio come in un sogno, secondo l'interpretazione di Freud, per cui l'atto di salir le scale significa un'intimazione erotica, e quello d'entrare in una chiesa o in altro edificio più o meno specificato, una soddisfazione sessuale per via di surrogato fantastico ; e certi oggetti tondi, od ogni oggetto tondo, denotano un oggetto che si nomina allorchè si desidera che qualcuno si levi di torno; proprio secondo questa esattissima legge di corrispondenza e di simmetria, si direbbe che il Joyce abbia tracciato il piano astrale del s suo romanzo. Ma poi, vediamo che il Gilbert piglia in giro i freudiani! Il Poe ha per primo parlato del demone della perversità; ma un famulo di quel demone dov'essere il demone dell'allusione e dell'associazione d'idee, da cui il Joyce è di giorno in giorno più posseduto. E' un demone che infesta di preferenza i linguisti. Conosco un professore di francese che ha scritto un libro su certe parole che egli chiama *les faux amiss, parole che si scrivono lo stesso in inglese e in francese, ma non hanno altro rapporto tra loro fuor di quello della grafia. Per esempio: le.gs in francese vuol dire «legato», o làscito», in inglese «gambe». Nessuna possibilità di confusione tra le due parole, quando figurino in un contesto; ma, tanfo, quel bravo professore s'è divertito a fare una Usta di tali curiose e vane coincidenze Immaginate un passo più oltre, e avrete Joyce. In quel Work in Progress a cui egli ora accudisce, si legge per esempio la parola: phiUoquus. Il Gilbert spiega eh a quella parola non è altro che il latino (ecclesiastico) filioque trasformato per un'analogia con equus e, evidentemente, per un'altra con phttos. Ora immaginate uno 6tile composto di parole che han perso la loro fisonomia per un diabolico processo di osmosi, e avrete lo stile di Joyee. La singola parola è impotente a resistere agli assalti mossi a lei dai suoni simili e affini. Si disintegra, si scompone, diventa poltiglia sonora. | La persona ignorante può dire per sbaglio cataclisma invece di enteroclisma, un Joyce lo dirà sotto l'assillo del demone dell'associazione dei suoni, o magari ci metterà dontro anche ostracismo e ostrogoto, e astrologo, e logogrifo e ipjiogrifo o ippocastano. Dicono che Joyce vuol creare una specie di esperanto del subcosciente, un linguaggio musicalo in cui il significato non impedisca il fluire del puro suono. Compone secondo una tecnica musicale. Per esempio una parola come lilmstup (sincopo di Bloom sfooil up, cioè: a Bloom si alzò», come diro lihmhù), sarebbe quello che in musica è «una quinta vuota»... Mi pare che da noi i futuristi tentassero di queste diavolerie. Ma quella di comporre una pagina di prosa come una pagina di musica vera e propria è una balordaggine introdotta in letteratura dalla voga wagneriana che infuriò alla fine del secolo scorso. Il Joyce intreccia Icitmoliven, resi irriconoscibili da un contrappunto fitto d'allusioni. Non solo, ma vuole accordare i suoi episodi secondo toni dì colore: il colore dominante qui sarà rosso, li verde, ecc. E' la confusione delle arti che s'iniziò timidamente, con Baudelaire, e divenne un hio^'o comune de! decadentismo, dopo il famoso sonetto del Rimbaud sui colori delle vo cali. Audizioni colorate, orchestra zioni verbali... su quella strada, come si Ba, arrivammo ai quadri fatti | coi pezzi di giornale e i culi di bot¬ tiglia. I! linguaggio del Joyce è un linguaggio deliquescente, e — mi si consenta qui un giochetto di parole joyciano — delinquente. E, ancora, diam fiato a un altro otototoi. Perchè il Joyce non sarebbe solo un virtuoso; è, quando ha voluto esserlo, un grande artista, e Ulysses, se riusciamo a dimenticare l'aìtro Ulisse, l'antico — che è suo antenato come Troilo o Enea lo erano dei patrizi feudali — è tutt'altro che opera erudita e morta. Bloom è un personaggio oramai quasi altrettanto celebre di Don Chisciotte. Il Gilbert nega che negli esperimenti più rischiosi il Joyce sia un puro virtuoso, nega che le conquiste joyciane in fatto di sonorità si traducano in distruzione del senso; sostiene anzi che il senso è intensificato dal contrappunto sonoro ; e magari fosse così ! Ma è un'illusione. Se il lettore, per cogliere il senso d'un passo, deve essere in grado di ravvisare tutte le allusioni e le associazioni che han deformato le parole, e al tempo stesso impregnarsi del suono del passo complessivo, non sarà messo nella condizione di quella figura, comune presso gli emblematisti, cho ha un braccio alato, e un macigno legato a un piede? Il Joyce potrebbe essere un secondo Swift, e lo è in parte; uno Swift già passato attraverso un Huysmans. Ma, come tanti valorosi glottologi, si è lasciato tentare dal demone dell'Esperanto. MARIO PRAZ. PWluovalo.anbetorIn deili ciepiaardagachinctemcacogte strcolinCita hapemromziavinoLsavodedail ed

Luoghi citati: Dublino, Firenze, Londra