Il buon veliero

Il buon veliero Il buon veliero Tutte, o quasi tutte, le bianche fiele di « Il buon veliero » (1) s'aprono gonfie di quella « aura poetica », della quale da qualche tempo la narrativa nuova -«- e la colpa non è proprio di Angioletti, ma più ancora della critica dei giovanissimi, — appare nutrita sino all'indigestione. Strano, pericoloso destino della letteratura italiana! Appena liberatisi da una rettorica, i nostri scrittori ne creano una seconda, una terza, una quarta, e le giustificano con definizioni critiche. Queste il più delle volte non sono allatto chiare e quel ch'è peggio nuove: tuttavia, siccome la critica le accoglie e le mette in circolazione quasi ad occhi chiusi, senza inventario, esse acquistano in breve tempo una aria sussiegosa, d'importanza. Bontempelli ha inventato il «realismo magico d, Angioletti l'« aura poetica », altri ancora il a realismo poetico ». Nel cerchio di queste e di altre formule si avvicendano sensibilità ed esperienze riscontrabili in formule preesistenti. 11 romanticismo ha oggi cento facce, mille travestimenti; e se qualcosa muta, mutano gli schemi, le architetture, in .una rielaborazione secca, arida, icastica. La scoperta — ogni scrittore, .che sia tale, scopre sempre una propria estetica, — diventa a poco a poco epigone di se stessa, maniera, cifra, quando da istintiva e legittima lentamente, forse incoscientemente, si teorizza. A tutt'oggi, codesta narrativa nuova sta tra il monologo interno e il frammentismo vociano, tra l'autobiografia e il ritratto, tra il poemetto e la pagina specchiata. Per ciò, codesta « aura poetica », codesto a. realismo poetico » non sono in fondo che stati di ànimo, spesso industriosi, resi con grazia leggiera, con tocco morbido. Ma l'arte, da che mondo è mondo, è appunto tocco: discrezione. Questo discorso, si badi, non vuol essere indirizzato ad Angioletti, ma 'fi quegl'innovatori i quali non hanno di Angioletti nò il buon gusto nò la misura e tanto meno la sensibilità felice. Tuttavia, se colpa c'è, un po' ricade anche sopra Angioléfciti, a cui spetta la paternità di una « aura poetica », che, se in lui indica una qualità di natura, in altri ed cambia in rettorica, o per lo meno nel pericolo dell'astratto e del manieroso. Grosso pericolo per una narrativa giovane, liberatasi dagli schemi ottocenteschi, e che tendi) al romanzo ! E pericolo anche per Angiofetti, sperso a legare d'aria la propria ispirazione, i propri tèmi, le proprie allegorie, per dar loro trasparenza, fluidità, Ieggierezza, insomma gli attributi meglio riconoscibili di codesta benedetta « aura poetica». Se guardiamo ai racconti di «.Il buon veliero », al modo con cuiAn gioletti li ha raggruppati, al loro diverso sapore, alla diversa qualità della materia, subito ce ne accorgiamo. Alcuni (Piccoli calibri, L'amica dei soldati, Ritorno sul mare, La giornata della bambina, Primo giorno di miseria), sono bellissimi, compatti, di qualità splendente; altri — e sono quelli (Gloria di Alarla, Allegoria d'autunno, Invenzione di Silvia), dove l'a aura» ha miglior giuoco, e quasi si pavoneggia, — sbiadiscono qua e là in una proSa viziata, speciosa, arbitraria. Dopo ciò, si direDbe che Angioletti, per essere troppo fedele a » stesso, troppo legato alle sue convinzioni di critico, ai suoi gusti di riformatore, finisco invece per peccare proprio d'infedeltà, inquantochè, ammesso che l'i aura poetica» voglia anzi tutto significare una scelta poetica dei tèmi, questa poesia egli l'affida appunto a tèmi, che sì sentono creati a bella posta per rappresentarla. Con altre parole, allorché Angioletti si trasporta dalla realtà alla fantasia, dalla memoria («Perchè poetica è soltanto la nostra memoria») al mito e alla allegoria, dalla trasfigurazione del vero all'idillio, dà l'impressione di creare il simbolo della propria estetica. Già la tendenza a mitizzare, a evadere dal reale, a disancorarsi, non soltanto era palese anche nei racconti di a. Il giorno del giudizio », ma ne era la caratteristica. Nei nuovi racconti, accanto ad alcuni gioielli, la mano dello scrittore si ferma a costruire l'arte secondo la teoria; ed ecco allora il pericolo della rettorica. Una rettorica magari di ottimo gusto, di buona lega, interessante per quella luce chiara che vi mette lo scrittore sempre sensibile e accorto, ma tuttavia irta di incognite per l'avvenire. Se Angioletti si dà prigioniero a codesto estetismo allegorico, la partita con il d'annunzianesimo rimane sempre aperta, e si ritornerà con il pensiero agli insegnamenti delle Vergini delle rocce. Chi lo salva, almeno in questo libro, nella parte veramente bella, è il realismo: non un realismo minuto, sperimentale, obbiettivo, di cinquant' anni fa, eppure non tanto vecchio che non faccia capolino tuttora in qualche giovane come Moravia; ma un realismo risognato, reso fresco dalla lontananza, dal ricordo, dalla memoria, còlto nella 6ua poesia più intima, più pudica. Se confrontiamo non soltanto racconto a racconto, ma pezzo a pezzo, frase a frase, sentiremo carne Angioletti si svia: la pagina piena, che suona, accanto alla pagina la cui perfezione e musicalità sono inerti; l'immagine definita e definitiva accanto all'immagine letteraria, di se stessa innamorata. Ma il bello è bello. Da tempo non leggevamo racconti, come L'amica dei soldati, come La giornata della bambina. In queste pagine le qua¬sqluddeuiegnclpsvslscsrsFnlptur ità più pure di Angioletti — freca spontaneità, sensitivismo sottie, morbida grazia, nitidezza stilistica, accortezza di chiaroscuri, e quel tono lento, pacato, personaissimo, che dà alla pagina come una lontananza, una luce quieta d'alba, una oscillante trasparenza di acquario, — sono tutte adunate, e prendono spicco per fondersi in una armonia costruttiva che è rara in altri giovani trovare sì netta e vigorosa. «All'alba partimmo. Nel gelo i cavalli fumavano, allineati nel cortile, tenuti per le briglie dai conducenti pronti a balzare in sela; i serventi erano già saliti sui pezzi e' sui cassoni, con i loro moschetti a tracolla e l'elmetto di traverso sulla nuca. La campagna verso cui dovevamo muovere era pallida- di brina, dall'orizzonte nebbioso veniva il rombo opaco di qualche cannonata. Feci un cenno e saltammo tutti a cavallo, Bollevan do uno stormo di passeri. Appena rialzai il braccio per far incolonnare i traini, vidi uscire dalla porta della cucina la bionda. Era smorta, aveva gli occhi gonfi e piccini. Mi ai avvicinò, mi salutò con voce - fievole : buon viaggio. Voleva forse aggiungere qualcosa, ma già s'udiva il cigolare delle ruote alla prima spinta delle pariglie. Allora, butta in lagrime, s'alzò ad abbracciare la testa del mio cavallo, la baciò cercando di sorridere, e come il cavallo s'era, mosso, lo lasciò passare sfiorandogli il dorso con una lunga, piena carezza». Non si poteva dire di più, nò meglio. In questa semplicità, in questa purezza di parole, ha lume davvero la poesia. Par poco; la pagina sembra più scarna che discreta; più povera che ammorbidita di pudore; eppure quanto calore, quale grazia ! E' la grazia dell'Angioletti migliore, terragno, uomo, quasi esangue per il troppo peso della sua sottigliezza sensitiva, donde il nascere di quell'i aura poetica» che qui è soltanto trasfiguratrice, e altrovenella giornata della bambina, trabocca di trattenuta tenerezza. iPer un'ora la casa ha vegliato al 6u0 sonno, quieta e propizia nell'ombra delle imposte chiuse. Quando si sveglia, rossa dal calore pomeridiano, vestono la bambina e l'accompagnano a passeggiare. Cammina ilare e fiduciosa, i colori della sua veste rallegrano la strada, il mondo non le dà soggezione. Automobilitranvai, gente affaccendata che passenorme a sfiorarla, tutto le è estraneo, indifferente. Corre un treno su un cavalcavia, la incitano a guardare, ella guarda obbediente ma non si stupisce. Si stupisce d'un gattbianco su una porta, d'uno straccio sollevato dalvvento, della musica d'un organetto. Chiama fiori le er be dei prati, mare l'acqua della fon tana, le nuvole d'aprile la seguono lente in viaggio ». Questa laura poetica» noi l'ammettiamo. Non ammettiamo quella che serve a nascondere entro il rac ■•(conto o il frammento o il pezzo di 'bravura o l'intarsio o l'ala d'Icaro dell'immagine letteraria, fredda e senza vita. L'ars narrandi non può che rappresentare: vita trasfigurata e pur vivente. Si sa: questo è da tempo il nostro chiodo fisso ; e quando capita l'occasione propizia, noi lo ribattiamo con tutta forza. Oggi, invece, a causa dell'i aura poetica» ogni pagina diventa pagina narrativa, racconto: il poemetto in prosa, la descrizione icastica, il monologo interiore, il frammento, lo stato d'animo. Per fortuna che Angioletti con i fatti, se non in tutto, almeno in buona parte ci dà ragione. GIUSEPPE RAVEGNANI (1) 6. B. ANGIOLETTI: « Il buon veliero . Giuseppe Carabba, editore, Lanciano, 1930 Lire 9.