Guerra di Dame

Guerra di Dame Guerra di Dame Noi convento dulie Murate, a Fienze, dove piccina ancora era stata essa in educazione, la chiamavano a «Duchessina». Ella aveva dei rossi occhi neri troppo sporgenti, ma 0 sguardo di quegli occhi era grave, almo, straordinariamente vigile e ttento. Subito, davanti a quello guardo, la vita era apparsa qual era ella realtà di quei tempi: un terbile giuoco della fortuna, in cui on v'era sicurezza di nulla. Non caso suo nonno Lorenzo il Magnico, aveva cantato : « Chi vuol esr lieto sia, di doman non v'è cerezza d. I suoi genitori erano morti opo un anno di matrimonio, la adre, Maddalena de la Tour d'Au ergne, appena l'ebbe messa al mono, il padre, Lorenzo de Medici, duca Urbino, cinque giorni dopo. Bima decenne, la Duchessina guardava muri del suo convento come se ca sse che non erano un baluardo sufciente contro i tradimenti sempre n agguato, le violenze, le vendette. ltre quei muri correvano i fiorenni assediati, i cittadini in armi, i ro gridi di guerra giungevano fin el chiostro tranquillo, nella chiesa rofumata d'incenso e passavano ome onde minacciose sulle teste reinate delle monache e delle edu ande. Un giorno, la porta del conento dovette cedere all'urto di un otto di forsennati ; erano i repubicani, i nemici dei Siedici che ceravano la Duchessina. Tremebonda, iangente, trascinata là in mezzo, af rrata da quelle mani brutali, sotto fuoco di quegli occhi iniettati di angue, sentì la sua vite appesa a n filo; un nulla, uno strillo troppo orte, un pianto troppo sommesso, no sguardo ribelle o troppo suplice sarebbero bastati a spezzarlo. lcuni» di quegli uomini gridavano : Buttiamola fuori e che sia sbraata'a furore di popolo!... ». Altri roponevano di metterla nuda in ci a alle mura assediate, perchè serisse di bersaglio alle artiglierie nemiche. I più perfidi, inferociti dalla ua innocenza, volevano chiuderla in ualche casa infame, tra le donne erdute. Ella si guadagnò la salezza col suo istinto che era quello di na politica nata, di una giuocatrice i genio, ma il ricordo di quell'ora on si cancellò mai dalla sua mente. ortata nel monastero di Santa Lua, fu poi mandata a Roma..^iel 1530, iusto quattrocent'anni fa, dallo zio protettore pontefice Clemente VII promessa sposa a Enrico, secondoenito del re di Francia Francesco I. cortata dalla squadra di Andrea Doria, sulla galera pontificia, interamente ricoperta di broccato d'oro, aterina de Medici, insieme con Clemente VII, navigava alla volta di Marsiglia. Ella aveva quattordici nni. Era piuttosto alta e di forme iene, con bellissimo gambe e manifiche mani, la pelle troppo biana, come è delle recluse, che sembrano on aver sangue nelle vene. La bocca arnosa e gli occhi troppo sporgenti, enti, immobili, davano al suo volto ualcosa di sonnolento, di apatico, di cquamorta, che nasconde nel fondoi uoi segreti. Vestiva riccamente, il uo abito di velluto cremisi era foerato di taffetas bianco, le maniche ran coperte di ricami d"oro; perle, astri e fiori s'intrecciavano nei suoi apelli chiari. Nell'insieme ella avea una grazia molle di fanciulla un o' grassa, una taciturnità di peroncina insignificante, la quale sa he il suo matrimonio è unicamene politico e che il suo destino ovrà svolgersi tutto nell'ombra e ella rassegnazione. Nessuno poteva ntuire il suo genio nascosto, l'increibile dominio che ella aveva su di è, la sua capacità di sicura osservaione. Nelle sontuose feste di nozze, lla girò intorno a-guardare i suoi enti occhi bovini. Vide il re, il gran e artista, il mecenate, il conquistaore di donne, il grande amatore, rasso, giallo, fiacco, corroso fin nelle midolla dal suo male, vide la regina Eleonora che non contava nulla, la uchessa d'Etampes, la favorita del e, che contava troppo, i suoi due iovani cognati e il suo sposo, un dolescente taciturno, malinconico all'aria assorta, sognante. Era bello l suo Enrico. Ma egli non la guar dava, egli non staccava lo sguardo pieno di adorazione da una bellissima dama sottile e bruna, vestita di un icco abito bianco e nero, che balava la a gagliarda », allora di moda, on un'eleganza e una grazia ammievoli. Caterina guardò quella dama a ungo e seppe che era Diana di Poi iers, vedova di Luigi di Brezé, gran Siniscalco di Normandia e che per parte di madre era. sua parente Qualcuno, chinandosi all'orecchio della sposa giovinetta, osservò sog ghignando che la dama era vecchia, aveva "già trentacinque anni e che presto sarebbe stata ridicola. Sia Caterina non rise, non disse parola, come se non avesse udito. La scrittrice Jehanne d'Orliac, nel suo recente libro « Diane de Poitiers Grant' Sénéchalle de Normandie » nell'esaltazione di questa frionfatrice della vita, di quest'eccezionale figlia della fortuna, accerta che Enrico si era innamorato di lei fin da quando era andato col fratello in Spagna, come ostaggio, prendendo il posto del re suo padre, il quale tornava in patria. Giunto al confine, il malinconico e sensibile fanciullo, volgendosi a salutare il seguito francese che là lo lasciava, si era gettato al collo di una bella dama che lo guardava con tenerezza e che, con vent'auni più di lui, poteva èsserle madre. Quella dama era Diana. Enrico pensò a lei nel suo esilio e tornato in Francia, al suo primo torneo (egli aveva allora dodici anni) la elesse dama dei suoi pensieri e giostrò per lei, portando i suoi colori famosi : bianco e nero Da allora, vedova di un marito che era molto più vecchio di lei, madre di parecchie figlie, imparen tata con le più nobili famiglie di -Francia, olla cominciò a salire. Il nfoblofogDgmdgcitiuiltrEdvbfeertiefrstfgaffsingi rmpdmserdlsmmsdCcntblsrsflsenddssiiasa«tcagrlilcsmpspNfcgbvcddmsimengvldMcnoisEcmsn e l s » e a i o , o n matrimonio con Caterina aveva avuto a sua approvazione; quella grassa e pallida giovinetta, apatica e docile, non lo faceva paura, ella si sentiva forte del suo amore, sicura del suo bel principe, piena di ardente volontà di dominare e di vincere. La fortuna faceva docilmente il suo gioco. A una partita di caccia, il Delfino, accaldato, bevve dell'acqua gelata, si ammalò, in pochi giorni morì: Enrico si trovò a essere erede del trono. Morì dopo poco il terzogenito del re, il più giovane dei principi, Carlo: egli era a capo del partito contro Diana, poteva diventare un nemico pericoloso. E infine morì il re Francesco I, Enrico fu re. Il trionfo di Diana era al suo culmine. Ella toccava allora cinquantanni e da quindici i suoi nemici si affannavano a proclamarla vecchia, a fabbricare canzoni, epigrammi e satire feroci, in cui le si offrivano dei denti e dei capelli e ad attribuire la sua miracolosa apparenza giovanile a pratiche magiche e demoniache. Diana era Bempre bella, snella, slanciata, fresca, elegante, amabile, sempre vestita di bianco e nero, sempre trionfante. Ella si alzava avanti giorno e galoppava per due ore, poi tornava a letto-a riposarsi, mangiava poco, faceva largo uso di lavacri e d'acqua fredda : le sue pratiche erano tutte sportive e igieniche. Nei dodici anni, in cui Enrico regnò, ella maritò magnificamente le sue figliuole, arricchì i suoi generi, favorì tutti i suoi parenti, colpì inesorabilmente i suoi ne mici e si fece regalare dal re una prodigiosa quantità di beni. Donna d'affari, fredda amministratrice moltiplicò all'infinito le sue ricchezze si circondò d'un lusso insensato che ella giudicava indispensabile al suo rango, disprezzò apertamente i suoi detrattori e guidò a mogio suo, con la sua piccola e fortunata mano il suo regale e fedele amante, senz'aver mai, nemmeno per un attimo, il timore di perderlo. Sapeva che Enrico si sarebbe lasciato staccare da lei solo dalla morte. E questo lo sapeva anche Caterina. Nessuno immaginava quel che la pallida e silenziosa regina, te nuta sempre in ombra, all'oscuro di arcfec«^evlsnuogrqnMwtutto, come una quantità trascurabile, pensasse quando ella guardava la lunga e agile persona di Diana, la sua piccola testa volontaria, così fieramente eretta, così orgogliosa e il suo viso dalle piccole, nobili, superbe fattezze. Ma certo è che quando i loro sguardi s'incontravano, Caterina sorrideva. Una delle sue massime era: o Sorridete soltanto ai vostri nemici ». Giorno per giorno ella studiava con passione quel gran giuoco del potere; fin dai primi giorni del suo matrimonio, aveva imparato a sorridere a Diana. Sapeva di essere in sua mano. Enrico non l'amava, inoltre la sua sterilità durò dicci anni. Un cenno di Diana sarebbe bastato per farla ripudiare e rimandare a Firenze. Un'altra sua divisa era: « Odiate e aspettate ». Ella aspettava, in silenzio. Senza batter ciglio, con l'impassibilità del giocatore - che aspetta il suo momento di fortuna, guardava Diana ingoiare un mare di ricchezze, ascoltava umilmente il suo linguaggio imperioso, i suoi cousigli, i suoi ordini. Ella non badava a coloro che chiamavano Diana « la vecchia ». Ella aveva una specie di rispetto per quelle qualità così rare e meravigliose, per quella volontà implacabile, per quella fortuna mai smentita, così ostinata, così duratura per quella stessa avidità mai sazia. Non era gelosa Caterina, ella era una fredda mente politica che nessuno an cora conosceva, non una povera mo glie trascurata, che si rode nell'abbandono e sogna rivincite comuni e vendette volgari. Ella seguitava a recitare a meraviglia la sua parte di donna insignificante e prolifica; dopo dieci anni di sterilità aveva messo al mondo sette figli e sembrava che non s'occupasse d'altro. Sempre bianca, ingrassava, vestiva sempre modestamente di scuro, parlava poco, non esprimeva mai la sua opinione ; intorno a lei s'agitavano le lotte di religione, le fazioni everse si dilaniavano, la vita era sempre quella che le aveva dato una così dura lezione a dieci anni, laggiù, al convento delle Murate. Anche in Francia, in tanta crudeltà di guerre civili, a di doman non v'ò certezza », coi suoi grossi occhi attenti ella osservava e taceva, impassibile. E quando nessuno se l'aspettava, a quarant'un anno, il re Enrico morì, in un torneo, per un colpo sbagliato del capitano Montgomery, la cui lancia penetrò nella visiera del re mal chiusa e sprofondò nel suo occhio sinistro. Allora Diana, a sessant'anni, si sentì vinta. Gettò un urlo di disperazione, mentre Ca terina si accasciava svenuta, poi chiusa nel suo palazzo, divorò le sue la crime di dolore, le prime che la vita le facesse spargere. Prima che Enrico spirasse ella mandò alla regina i nioielli della corona che il re le aveva dato. Quando seppe che non le era permesso di entrare nella camera del morente per un ultimo saluto, sentì levarsi la potenza di Caterina, qualcosa le disse che quella donna, dopo aver dissimulato per tront'anni, si alzava temibile, inflessibile e forte. Ella partì per le sue terre, scomparve, e il silenzio si fece intorno a lei. E Caterina cominciò a regnare. CAROLA PROSPERI.

Persone citate: Bima, Clemente Vii, Francesco I, Francia Francesco, Lorenzo De Medici, Medici

Luoghi citati: Firenze, Francia, Marsiglia, Normandia, Roma, Spagna