Prima attrice
Prima attrice Prima attrice Al giungere della compagnia nudi un nuovo palcoscenico, eccola battere il piedino dinanzi alla buca del suggeritore, con attorno attori macchinisti elettricista nel rassegnato atteggiamento di chi si dica: passerà anche questa. Misura a gran passi la ecena, arriccia il naso, butta delle occhiate sprezzanti alle file vuote dei palchi, alle lampadine polverose della ribalta; d'un tratto afferra una sigaretta, voracemente, da un astuccio che ha pescato nel fondo della sua borsa — borsa da viaggio, capace quindi come una valigia — se la pianta proterva fra le labbra e chiedo: «Presto, un cerino!», come se non avesse visto tre, quattro attori ognuno con l'esile fiammella fra due dita, mentre un macchinista continua a frugarsi per tutte le tasche del suo giubbone di cuoio. Ora si ricorda del suo camerino: « Il mio camerino, il mio camerino ! ». «Il suo camerino, il suo camerino», si sussurra d'attorno; e finalmente arriva quel poveretto del segretario con un mazzetto di chiavi. L'attrice si ferma sulla soglia, degna appena d'uno sguardo la squallida cameretta, gelida nella luce violenta delle nude lampadine, nei riflessi della triplice specchiera; e dalla soglia, con un dito, con quel brillante, con quella sigaretta, accenna rapida e de fini ti va alla cameriera sottomessa «Là il pouff; là l'altro pouff, quel lo più piccolo; là il mio tappeto; le fotograne puoi metterle lì; fiori, voglio fiori, fiori; e su quel baule il gobelin» (un povero frusto arazzo, ohe talvolta serve persino in scena, per camuffare un divano un po' stinto). Torna in mezzo al palcoscenico, pesca nella manica della pelliccia l'orologino da polso: lo guarda, ci pensa su, corruga le ciglia, dilata le nari, sbatte le palpebre: e con una voce secca, tagliente, delle estreme risoluzioni, delle scialuppe a mare si salvi chi può: «Alle tre, prova». U son le due e un quarto. ,Va all'albergo, il naso alteramente puntato al soffitto d'incerato dell'au* tomobile da piazza, guardando di sfuggita quelle vie lasciate da cinque, otto, dieci mesi, e che per dieci, quindici, venti giorni saranno di nuovo le vie della «sua» città. Tornano alla mente tutti gli aggettivi delle critiche compiacenti. Tutti gli applausi organizzati in loggione. Tutte le corbeilles che, per la serata d'onore, più d'una volta s'è l'atta mandare a se stessa. Tutti i quattrini spesi da fotografi, tutti i sorrisi largiti a redattori e a redattori-capi per aver poi quella fotografia ben collocata, nel centro della pagina più importante di tutto il fascicolo. Eh, l'arto e difficile. E a qualche cantonata si sporge un tantino, per tentar di scorgere il suo nome — alto almeno 40 centimetri, ha fatto scrivere dal segretario — in caratteri di scatola, chy». sempre le danno una fitta al cu orp„ .perchè sempre son troppo piccoli, fra quelli cubitali di un'acqua diuretica e quelli mastodontici d'uri dentifricio. All'albergo, naturalmente, la posta, la posta! I soliti copioni che sùbito butta sdegnosa, anzi, col compatimento che si deve avere per tutti quei poveri illusi ; qualche giornale, qualche lettera, le bustine dei ritagli della stampa : su questi si butta avida, impaziente, fremente : e di solito son quelli che già ha veduto. E allora il bagno, sùbito sùbito. Chiama la cameriera, vuol sincerarsi'di persona: « Avete il parrucchiere in albergo? ». L'altra annuisce, l'attrice l'assolve. E dopo due ore, una telefonata giunge dalla biglietteria del teatro, dove si sono adunati l'amministratore, il suggeritore e il direttore di scena a ben ponderare la formula di quella richiesta azzardata: « Bene arrivata, bene arrivata, tutto a posto, sì, tutto a posto, nulla di spiacevole? No? Ne son proprio contento. Mi deve perdonare, signorina, ma... Nulla di grave, nulla, nulla: ma... ci saremmo dimenticati se dobbiamo attender lei per la prova oppure... Perchè son già le cinque: e s'era detto, mi pare, alle tre ». La risposta giunge con un bell'impeto drammatico: « Ma che volete che... Provate voi, intanto! Poi verrò io! ». E la compagnia, dopo due ore d'attesa, si aduna attorno al tayolinetto del suggeritore, che dice, aprendo il copione: or Tu, Pasquale, farai la signorina ». E Pasquale si siede in un canto, vicino al suggeritore, e, leggendo, incomincia rassegnato e sommesso : — No, o signora: voi credete di poterci disprezzare, noi donne perdute. Tocca a te.Quandq arriva, lisciata profumata riverniciata, con tra le braccia il canino, con al fianco un signore che si deve esser già visto, qualche sera, sulla « piazza » precedente, si sente cordiale, amicona, espansiva. Caro di qua e cara di là, a tutti del tucon tanti per favore e per cortesia, con molti grazie caro e grazie cara.0 non è proprio dei grandi di essere affabili, direi quasi indulgenti, verso gli umili, i poveretti? Ma poi il dèmone dell'arte la riprende, e sente o^e deve interrompere all'improvvi-1 ) una scena. « Ma no, caro, non < .Ci non cosììì! Fa come me ». Eccola deporre il canino, la borsetta, aprirsi la pelliccia sul petto, puntate un indice verso un riflettore, e far l'uomo, il maschio deluso, il maschio avvilito (Atto II, Scena IX) che d'un tratto si ribella; e sbraita, urla, inveisce, con certi gesti risoluti che sembrali quelli d'una lavandaia che 6Ì rimbocchi le maniche: per poi finalmente sedersi in un canto, affranta per tanta fatica, per tanto esempio donato. Al signore the l'ha accompagnata indica una sedia accanto alla sua, chiedendogli contrita perdono se debba farlo assistere a quel lavoro ; e l'altro, esattamente come tutti quelli che a quelle prove eon già stati ammessi, lieve¬ e o e a e a mente s'inchina per dichiararle che, tutto ciò, è interessantissimo. Son quasi le sei. Non si pretenderà che provi tutta una commedia. Bastano le scene culminanti, i fulcri, come lei li chiama. (Le altre secondarie, i «passaggi», se le prova da se, al mattino, un braccio arrovesciato dietro la nuca, il copione dinanzi al mento sulla coperta, il canino sul scendiletto). Ecco il fulcro del secondo atto, il vero fulcro di tutta la commedia. Butta la pelliccia in un canto, col disdegno che si deve avere per le cose assai costose: si avanza come allucinata: alza due dita, come un prelato che benedica: sogguarda in tràlice il suggeritore, e agitando le due dita, quelle dai brillanti « L'ultima battuta per favore ». L'altro gliela soffia, lei l'afferra per l'aria: e su di un istinto ampolloso sospiroso declamatorio, che ogni tanto interrompe con una lunghissima pausa, eccola a capovolgere valori, a trascurare parole, sorvolando toni e atteggiamenti e coloriti, ognuno dei quali, quando l'ha scoperto, ha dato un brivido di esultanza al poeta. — Vogliamo andare, amico mio? — Il signore l'aiuta a infilarsi la pelliccia, le porge il canino; la compagnia debutterà la sera dopo; i comici si disperdono per le vie della grande città, verso le loro camere d'affitto, verso i loro albergucci ; l'attrice va a cena con l'amico suo, e poi, anziché andare in qualche altro teatro, a sentire dei cani che han la pretesa di recitare nella stessa città dove c'è anche lei, si fa condurre a un cinematografo. C'è sempre qualcosa da imparare, da quegli indiavolati americani. Un gesto, magari un gesto: ma è sempre qualcosa. E l'amico suo approva, serio e convinto. Ma la sera dopo, mentre sta per entrare in scena, e s'appoggia alla corda d'un fondale tra un pompiere e un macchinista, deve appoggiarsi a quella corda, quasi aggrapparsi, per starsene ritta. Il fiato mozzo, il cuore che le pulsa in gola, lo sguardo smarrito, le dita e le labbra hanno un trèmito che domina a stento; la grande attrice ha degli sperduti sguardi di bimba sperduta; sembra una scolaretta che debba affrontare un esame difficile, una commissione tremenda. Verrebbe fatto di aiutarla, quasi di sorreggerla, povera vittima che quella voragine buia, puuteggiata di sguardi e di volti, condanna al sacrificio ; e quella che non sarà mai un'artista vera, e che forse sarebbe potuta essere, invece, una semplice cara dolce donna, eccola affrontare, tremando ogni sera, il più penoso momento del suo falso destino. . MARIO CROMO.
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