Il paesse dei sogni

Il paesse dei sogni Verso le zone inesplorate del Tibet occidentale Il paesse dei sogni MULBA', 16 maggio. La valle del Vuaccà continua, anche più a monte, con gli stessi caratteri di prima; relativamente stretta, cosi che non <là posto, sul tondo, per colture e villaggi — Ve una sola altra piccola oasi, infatti, finché i caratteri della valle si mantengono oli stessi — un po' monotona nelle forme e nei colori, ma sempre scenografica in quelle sue pareti inferiori di conglomerati,' rotte in torrioni e spalti giganteschi e tormentate di alveoli, di cavità,, di grotte. Cielo coperto: da che, con Dras, abbiamo superato lo Zogi-la, il tempo non ci concede più il favore di prima. E siccome l'uomo è per natura incontentabile, non ci. ricordiamo più del gran vantaggio che abbiamo avuto col sereno assoluto del cielo durante il valico dell'Himàlaja minacciosa di valanghe. E ci lamentiamo che il sereno ci manchi adesso. Certo, ci manca un poco il sole, ad accentuare colori e forme di questo paesaggio, che oggi, veramente, ha comincialo ad essere paesaggio tibetano. La valle Sind era, per noi tutti, quasi una vecchia conoscenza d'infanzia: tipica valle alpina. La valle Dras e la bassa valle Vuaccà, non vecchie conoscenze; ma forse troppo uguali, troppo monotone, troppo ferrigne e come rugginose nelle loro rocce, troppo disabitate, per soddisfarci, non ostante la sicura impressione di grandiosità ch'esse pure valgono a dare, quando si sa che ci attende un paesaggio ancora più grandioso, se possibile, ma anche più scenografico, più vario di forme e di colori, e animalo da una gente che è fatta di genialità, di senso artistico, di allegria, di umorismo, ed anima di queste sue qualità un ambiente che la natura vuole spoglio e nudo di vegetazione, deserto nelle sue rocce e nelle sue alluvioni. SI, ci mancava il sole, che ci accompagnasse per mettere in rilievo la bellezza fantastica alla quale, dopo tanti anni d'i desiderio, io ritornavo e i mìei compagni si avvicinavano per la prima volta sotto la mia guida iniziatrice. La porta del Tibet Iìisalendo la valle Vuaccà si arriva ad una confluenza, la quale segna il termine del suo lungo tratto inferiore, un poco troppo monotono ed un po' troppo disabitato. E' Il che bisogna cominciare ad aprir meglio gli occhi, a non lasciarsi prendere soltanto dal pensiero, ma stare sempre all'erta, come una sentinella, perchè nulla ci sfugga. Quella è la porta del vero Tibet Occidentale, e per essa si penetra, se è permesso dire, nel suo vestibolo: nel vestibolo entrano ed escono anche gli estranei, ma si vedono già i padroni di casa. Gli estranei, sopra tutto Purighi; i padroni di casa sono i Ladachi. Di qui cominceremo subito ad apprezzare i Ladachi; poi li ameremo addirittura, quando avremo veduto come essi sappiano accoglierci ed ospitarci in quella loro casa grandiosa, della quale il loro genio naturale sa così finemente abbellire la nudità anche grandiosa. La valle dunque si allarga; si allontanano, l'uno dall'altro, quelli che sono i veri fianchi, ma si allontanano tra di loro anche le due opposte pareti del conglomerato che ne occupa il fondo; par di respirare meglio, e con la maggiore ampiezza di ogni visione si apprezzano anche meglio quelle bellezze che già precsistevano, ma sulle quali ci era quasi negalo di soffermarci per l'angustia stessa della valle. Sono due gii elementi paesistici che ci accompagnano, adesso, fino alla méta d'oggi: offertici dal versante opposto a quello ai cui piedi si svolge il nostro cammino, sono, in un primo piano, più basso, le solite pareti dì conglomerato, ma rotte con maggiore fantasia dì resultali, in castelli e fortilizi da scenografo imaginoso, in torrioni e spalti massicci, in campanili e guglie svelte e sottili. Poi, in un secondo piano, segue il vero fianco della valle: monti di-forme e di arditezze tali, che sembrano le nostre Dolomiti; ma non cosi interrotte in lembi quasi staccati, anzi continue, compatte nella loro' muraglia, solo dentellate nella loro cresta arditissima. Di qua, invece, nel versante ai piedi del quale si svolge il nostro cammino, è un paesaggio montuoso dì una morbidezza strana: fianchi e sommità dolcissimi, quasi lisci, arrotondali; ma qua e là ne esce uno spuntone roccioso, piccolo ma asprissimo, come volesse e tentasse imitare le asprezze grandiose del fianco fronteggiante. In mezzo a questo paesaggio, del guata noi possiamo ammirare tutta la bellezza rude, perchè fatto più ampio, ecco nel fondo della valle, sui primi e più bassi movimenti del terreno, qualche cosa di insolito: sembrano rozze e grandi basi di colonne, sormontate da un'appendice minore: color bianco o rosa, od arancione, o azzurro; pcdiuip\pdsbdpasmmspfnldchliupNfbpdmpglidrhgBpsstpcPliqrd isolate od in piccoli gruppi irregolari, od in brevi allineamenti di tre di diverso colore. O su qualche piccola sommità, un ometto di pietra sul quale si inalza qualche ramo e qualche frasca adorni di bandierine svolazzanti. Sono ciòrten, i primi; sono lato, i secondi: che ì fedeli buddisti innalzano alla memoria dei loro morti venerati, 0 per placare ed invocare gli spiriti. Stiamo infatti entrando nel mondo buddista tibetano; e ciòrten e lato animano il nudo, se pur grandioso, paesaggio naturale: fin dal primo mo mento. I «gompa» del Ladàk Ma pur che si guardi dentro la valle laterale che qui confluisce con quella del Vuaccà, si vedrà qualche cosa di più nuovo e di più maraviglioso. La parete di conglomerato vi penetra con le sue fantastiche forme: al suo piede è una piccola selva di grossi ciòrten rosati; ma proprio la parete, uniformemente e lievemente rugginosa, è interrotta da una macchia quadra bianca, incorniciata di colore, rotta come da tanti occhi simmetrici ed oscuri. Quella è la facciata di un gompa, un monastero, con le sue finestrelle, che si addentra in una cavità naturale del conglomerato. Fantastica visione, so spesa a mezzo il precipizio di roccia, creata dal genio imaginoso di questa gente. Niente di interessante nell'interno, specialmente per chi ha, dinanzi a sè, la prospettiva delle maraviglie di tutti 1 gompa del Ladàk; per questo non taccio deviare la carovana verso il piccolo gompa di Sciargòl, ma spingo l'andatura per risalire ancora la lunga valle del Vuaccà. Ma poco dopo, qualche cosa di fantastico, veramente, compare dinanzi a noi: dal basso del fianco sinistro della valle, quello al cui piede corre il sentiero, in mezzo alle pendici morbide, dolci, arrotondate, uno spuntone di roccia, dritto, incisivo, aguzzo come un dente di telino, si leva verso il cielo; e proprio sulla vetta, con una piccola corona di mura diroccate, ruderi dì un antico castello, un pìccolo gompa, e poi un altro, appollaiati sulla sommità, affacciati sui dirupo che precipita d'ogni parte intorno. Quelli sono i due gompa di Mulbà. Ai piedi della roccia, in riva al fiume, il minuscolo bungalow ne è completamente dominato. Mulba. primo villaggio buddista sulla nostra via, ha degnamente ricevuto ti vecchio amico dei Ladachi: che sarei io. Due mon — i mon sono i musi canti, che si trasmettono l'arte di padre in figlio — rullavano con ritmo impetuoso i timpani c modulavano un motivo semplice e velocissimo con il loro lungo clarino d'argento: e i pochi lama dei due gompa erano pure scesl ad unire il battere sordo dei loro caratteristici tamburi e il suono cupo del loro lunghi tromboni di rame, tutti fioriti di ricami d'argento; e la poca popolazione iel paese faceva ala al mio passaggio, accogliendomi coi solili giù, tanto più strascicati quanto più vogliono esprimere la profondità'dell'ossequio. Una visita ai gompa fa estasiare i miei tre compagni, anche se io insisto nell'avvertimento ch'essi sono ben povera cosa in confronto di quanto farò loro ammirare nei prossimi giorni. Ma è la situazione, fantastica, sulla vetta dello spuntone scosceso, che domina tutta la valle e par voglia cercare il cielo. E' uno spuntone che ha anche un valore documentario per la storia della regione: una iscrizione in roccia presso ai suoi piedi ripete una ordinanza di un antico re locale. Fa fresco, u cielo è andato sempre più coprendosi durante la giornata. Non abbandono le abitudini seguite fin qui, e mentre scrivo mi godo un bel fuoco scoppiettante nel camino. La strada delle meraviglie LAMAJURU. 18 maggio. / miei compagni devono credere proprio di essere entrati nel mondo dei sogni. Sembra un poco anche e me, per quanto mi fosse rimasto impresso nel ricordo quasi ogni detta glio di questa vi-i maravigliosa. Son si è ancora perduta di vista la gran roccia coi gompa di Mulbà inerpicati sulla vetta estrema come due sentinelle della valle, ed ecco una roccia minore che su tutta una faccia ha scolpita in rilievo, in dimensioni gigantesche, la figura di Clambà. il Budda dei Tibetani. Ma- anche quando il Ciambà è oltrepassato e i due gompa aerei sono spariti dietro una quinta di colline, si capisce comunque di essere penetrali in un mondo diverso. Lo si capisce dalle stess.i case. Vi ho già iniziato at segreti delle case del Tibet Oocidentale. Ottetto dei Purighi, quelle del Baiti, hanno, si, a dovizia di quartieri che è quasi mposta dal clima; ma hanno anche, quasi sempre, aspetto miserabile: muri tirati su. alla peggio, senza senso della linea dritta, nei muli i ciottoli dsnmprvpgnsppssadlmccLtdaprqrdssdctpdordpzludgsssscpqtfccrlmedmsprscgsamnrpsdvlacptrssfogsmfodslechatovcapadubbilcoMveincoalerdel'achunfinfapil'ud del fiume od i rozzi mattoni cotti al sole mostrano la loro povertà senza nemmeno un tentativo il nasconderla; muri sostituiti da graticci anche più primitivi, si e no intonacati sommariamente di mota; tetti fatti come Dio vuole, dei quali spargono da ogni parte rami e frasche che sono sostegno alla copertura terminale di terra; nessuna ricerca di un aspetto, di una struttura esteriore che possa far supporre, negli abitanti, nemmeno un princìpio di senso d'arte od anche semplicemente di gusto innato. Sono, sicuramente, comode case per 1 loro abitanti, ed anche per i viaggiatori di passaggio, di non difficile adattabilità; ma rimangono comunque, per la maggioranza dei passeggeri, soltanto case miserevoli. SI entra nel paese dei sogni, e vare che a sognare invitino anche le case. La struttura interna è la stessa: quartiere invernale ben riiiaralo dal freddo, quartiere estivo, splendidamente aereato, spesso anche un quartiere per le stagioni di mezzo; maggiore ricchezza di spazio, però, anche in questa comunanza generale di struttura interna. Ma è l'aspetto esteriore, diverso e che non può sfuggire al passeggero più superficiale: muri ben costruiti, con perfetto senso della linea diritta: costruiti però in modo che la casa tende ad assottigliarsi verso l'alto ed assume una sua sveltezza tutta particolare, dove le dimensioni la renderebbero forse tozza e massiccia: la ossatura spesso non si vede, perche ricoperta dì uno spesso velo bianco d'intonaco; minuscole finestrelle si aprono nei mari a più livelli, con graziosi stipili svorgenlt in legno; e sull'ultimo piano si apre quasi sempre un gran balcone sporgente, riparato da una piccola graziosa tettoia, o una gran terrazza scoperta rompe la massiccia compattezza dell'edificio; e finestrelle e balcone o terrazza sono disposti in modo da dare una generale simmetria alla casa; una simmetria che, col bcncvlacito di chi la detesta per principio, dà carattere e grazia a queste prime abitazioni tipicamente tibetane. Poi, come se non bastasse, ecco che fa timidamente comparsa anche qualche colore, olire al bianco dell'intonacatura: qualche casa ha l'orlo superiore tinto di rosso in una fascia che le gira tutto attorno; e tutte hanno il margine del tetto sormontato di fieno e di frasche, disposti così in bell'ordine, che sembrano un voluto ornamento; e ad un angolo del tetto già si drizza qualche rametto, dal quale pendono o svolazzano piccole bandierine bianche. Poi lato e poi ciòrten, sparsi lungo il sentiero, in mezzo ai campi, mezzo nascosti in qualche grotta, inalzati sul filo delle creste o sulla vetta dei poggi; e cominciano anche i mani, i lunghi e bassi e larghi muri, sopra ì quali i fedeli depongono pietre che hanno incisa la preghiera eterna dei buddisti: om mani padme hong. E cosi il paesaggio, che sembra per suo conto divenire sempre più grandioso, pur nella sua costante nudità, viene abbellendosi, viene quasi popoandosi, con le case, coi Iato, con i ciòrten e con i mani: a poco a poco, perchè siamo ancora in una zona di ransizione. Ma anche gli abitanti stessi valgono ad animarlo. Gente allegra e festosa Scendendo dallo Zogi-la e attraverando poi il Purlg, ali abitanti si afollavano, sì, lungo il nostro passaggio, non tanto per curiosità quanto in egno di ossequio; ma era un ossequio muto, silenzioso, sornione, come se osse stato imposto. Qui, a cominciare da Mulbà, la gente ci viene incontro orridente, allegra, festosa, anche con e sue donne, anche con i suoi musianti ed i suoi lama se il villaggio ne ha. Quanto sornioni e poco spontanei, almeno nell'apparenza, gli altri, e tano ingenuamente, naturalmente festevoli e gioiosi questi. Si guarda, per aso, un Purìao od un Baiti: e questo pare voglia assumere una flsonomia nche più tristemente cupa e chiusa del consueto. Si fissa gli occhi sopra n Ladaco: e questo vi fa subito un el sorriso aperto, degli occhi, della occa, di tutta la flsonomia, vi ripete l suo saluto, e vi guarda anche lui ome se gli foste un vecchio amico. Ma dei Ladachi io sono, veramente, un ecchio amico. Passavamo, ieri, partiti da Mulbà<\ n mezzo al campi, e tacevo notare ai ompagni la diversità di vita rispetto lle campagne del Purìg. Nel Purlg vi ra. almeno in apparenza, poca vita ei campi: qualche uomo solitario alaratro: se per avventura vi era qualhe donna, questa si nascondeva dietro n muretto o si acquattava per terra nché non fossimo passali. Qui, ogni amiglia sembra tutta quanta sui cami:' la donna tira i buoi dell'aratro che uomo dirige sapientemente; altri sedimi #ue. a tre. ragazze, rompono, ie. zolle, sollevate dall'aratro, con rapido e ritmico moto di tutta la persona e della zappa, spostandosi veloci lungo il solco già tracciato; e l bambini seguono gli adulti, trastullandosi beatamente con un nulla, come farebbero i bambini di ogni parte di questo mondo se non fossero cresciuti già « blasés » di balocchi. E cosi tutto quanto il paesaggio appare popolato, animalo di questa gente, che sospende, al nostro passaggio, il lavoro per salutarci sorridendo e riprenderlo gioiosamente, come gioiosamente vivono tutta la loro vita. Incontro col fedelissimo servo Dalla valle Vuaccà siamo penetrati in una valletta laterale scendente dalla destra: in pieno in quel paesaggio morbido, di monti, di poggiatene, di colline dolcemente arrotondate, aspro contrasto con gli alti e dirupati monti fronteggianti, di mezzo al quale, però, spuntano e sporgono alcune lenti di roccia salda e compatta, di forme rudemente incisive. L'abbiamo risalita, la valletta, fino ad un colle che è pOco sotto ai 4000 metri. Anche il colle è morbido e dolcemente arrotondato come tutto il paesaggio d'intorno; ma Il vicino spunta, dalla linea delle dolci sommità, uno spuntone roccioso maggiore degli altri, alto, dritto, nudo, arditamente sporgente. Namica, sostegno del cielo, l'hanno felicemente chiamato i paesani; e Namìc-La si chiama il colle vicino. Di là si cala rapidi in valle di Dot Carbu o di Ciktàn. Poche miglia più vi basso di dove si sbocca nel fondo della valle, Ciktàn mostra ancora, in quasi perfetta coni ervazione esteriore, il vecchio castello ereditato dal periodo feudale che le regione ha avuto fin quasi un secolo fa. Arditamente posto sopra una arar, cresta dirupata di roccia, di perfetto stile tibetano, snello e polente nello stesso tempo, sembra un castello da leegenda. Impossibile includerlo nel programma attuale: bisogna affrettarci a maitre la valle. Coppie di gracchi, neri, rilucenti, volteggiano a bassa altezza, posandosi or qua or là sopra il terreno, poi riprendendo il volo; avvoltoi roteano maestosamente, su in alto, quasi sfiorando le cime, come se volessero atterrarvi, poi allontanandosene di nuovo con il loro ampio volo. Incontriamo anche carovane, non grandi però -, poche di portatori, le più di cavalli, anche di somari. Le incontriamo in cam* mino, ed anche in quel riposo che esse sogliono prendere a mezzo la loro tappa giornaliera: i carichi vengono accumulati in bell'ordine, generalmente a descrivere un semicerchio, gli animali si disperdono in quella ricerca di qualche filo d'erba che deve rappresentare per essi una specie di supplizio, oppure, se proprio la ricerca è vana, stanno riuniti in lunghe file davanti a mangiatole primitive e provvisorie, segnate da due serie di pietre tra le quali i carovanieri gettano qualche manciata di paglia, Dio sa di quale origine. E gli uomini, vicino al carichi che possono anche difenderli dal vento che sorga improvvisamente, accendono un piccolo fuoco per prepararsi il the, e vi si accoccolano tutti intorno, a riparare abiti e basti, in attesa che il the sia pronto. L'altro giorno, prima di arrivare a Mulbà, da uno di questi piccoli gruppi di carovanieri in riposo si alzò, come sempre fanno, del resto, in atto di ossequio, un uomo, un Ladaco, il quale si fece subito, senza esitazione, incontro al mio passaggio, con manifestazioni più aperte e più amichevoli di saluto. E giunto sul margine del sentiero, unite le mani in alto di preghiera e sorridendomi tutto, dopo il solilo saluto tibetano, cominciò a parlarmi, sforzandosi di mettere qualche parola di indostano nella propria lingua, e chiamandomi anche per nome, « Danelli sàhib •. li discorso, del resto, fu breve. Lo riconobbi anch'io: uno del venti cdolies di Timosgàm che mi seguirono fedelmente nella campagna estiva, esploratrice, tra le Vepsàng e gli altipiani delle Lingzi-Tang ed ai grandi ghiacciai dell'alto Sciàiok e su pel Rlmu. Gente maravigliosa, che si sarebbe gettata, per me, nel fuoco, sapendo che il sacrifizio sarebbe stato riconosciuto... con una scatola di marmellata! E Sonàm Conciòk, il fedelissimo? A Jàrcand. E Namghiàl, il vecchio aitante, che avevo fatto capo del piccolo manipolo? Morto. E Ghiazó, l'insuperabile ricercatore e raccoglitore di fossili? Non più veduto da allora. Ed io che mi illudevo di ritrovarli tutti, e riprenderli tutti, i miei fedeli di allora! Dal primo incontro, oani giorno ritrovo, fermo per via, vicino al fuoco dei suo the, il mio vecchio portatore; e la sera, alla tappa, vado a vederlo quando, arrivato esso pure, sta preparando con i compagni il suo pasto serale. Bella, anche la valle di Ciktàn'-1 essa, e segmla. nei i/min e net due. bassi o e o i o l i o i i i e e o a o , t ù n o e a , , fianchi, da quelle rocce che dònno un paesaggio morbido alternato di spuntoni rocciosi incisivamente sporgentima dietro ad esse, nell'un fianco, il sinistro, seguono quelle altre rocce, che abbiamo già ammirato lungo il Vuaccà, e che anche qui danno creste e cime di una arditezza maravigliosa di bellezza; nell'altro fianco, il destro, seguono rocce ancora diverse, paesisticamente meno belle ma che, per la loro compattezza e resistenza, dònno torme e rilievi in contrasto con le superficl morbide ed arrotondate fiancheggiami più da vicino il fondo della valle. Ed al margine di questo, i villaggi. Ve n'è uno, Takzè, specialmente pittoresco: si distende tutto, con le sue belle case e i campi verdi e quasi pettinati, allo sbocco di un breve vallone laterale; ma al suo limite sorge uno dei soliti spuntoni rocciosi, ma più del solito incisivo e acuto: e sulla vetta sono l resti dell'antico castello, men tre giù pel fianco meno scosceso scendono i ruderi delle case dei paesani che avevano protezione dalle solide mura della residenza del signore : tracce del periodo feudale, del quale Ciktàn è il più insigne monumento. Più oltre, pittoresco, è Mundlk-. pittoresco, però, in modo diverso. Le sue case si allungano e si appoggiano contro una parete di conglomerato, che segue il fondo di questa valle come della valle Vuaccà, e sembrano anche penetrarvi, Tutto, del resto, è pittoresco; e non saprei quale maggiore armonia possa darsi tra paesaggio naturale e mani fcstazionl umane. Gli uomini, qui, pa re abbiano voluto inspirarsi al paesaggio, e armonizzarsi con esso-, certo non hanno fatto nulla per turbarne le linee e la bellezza. Molti, della nostra gente, potrebbero imparare. Nel regno del fantastico Dinanzi a noi, intanto, va facendosi sempre più chiara una visione fantasticamente scenografica. Domando di essere scusato: i miei compagni, da due giorni a questa parte, si può dire non apron bocca senza usare la parola 'fantastico»; non posso fare a meno di usarla anch'io, anche se non sono alle mie prime impressioni. Tut to ciò che si vede è od appare inimmaginabile, non è ma appare il fruì to dì una fantasia geniale, che concepisca e veda tutto soltanto arditamente bello e grandioso. Spesso si direbbe, a socchiudere un poco gli occhi e ad astrarsi lievemente, di essere dinanzi a vecchie leggende popolari o imprese ed avventure di Cavalieri dalle facoltà sovranaturali. Apriamo gli occhi, e dobbiamo bene convincerci che siamo di fronte alla realtà reale. Ed allora non abbiamo altra parola a dimostrare la nostra ammirazione: si, tutto fantastico; si, fantastico veramente Il fianco, a pie del quale risaliamo la valle, è seanato, dinanzi a noi, da un immenso roccione, di quelli che rompono la morbida uniformità del paesaggio dolce e arrotondato. Un immenso roccione irregolarmente rotto nelle sue pareti, ferrigno e come rugginoso nel colore. Tutta la sommità è coronata di ruderi dell'antico Castel lo, che si profilano incisivamente con tro il cielo. Al roccione maggiore se ne addossa strettamente un altro, come -un minor fratello: ma limitato da pareti dritte, perpendicolari, quasi levigate, come se un genio della natura le avesse tagliale cosi, di netto, a grandi colpi. La sommità, mediocre, ma come spianata; e II una selva, una vera selva di muri slabbrali, dai quali un sottile tentacolo di muretti rinforzati da piccoli torrioni scende serpeggiando, quasi per avvalersi d ogni minima asperità della parete, fino a un vicino vallone. L'antico ca stello sulla sommità maggiore. Vanti co villaggio sulla roccia sottostante, la discesa protetta fino al torrente, per la necessaria presa d'acqua. Un mon do che par tanto lontano nel tempo-. qui conservatosi, intatto, fino a un secolo fa. Poi venne la. conquista dogra, e abbattè e distrusse tutto, come un flagello. Ma la genialità del popolo creò i nuovi paesi pittoreschi, le belle case, i ciòrten, t lunghi mani, ; lato, ed affermò la sua serenità feste vote e ridente, accanto ai ruderi un po' arcigni e paurosi del vecchio feudalismo locale. Eravamo ancora tutti presi dalla visione, «fantastica», delle grandi roccie coronate di ruderi, quando, all'improvviso la popolazione di Boi Carbu ha voluto richiamarci alla, realtà della vita attuale, con la musica travolgente dei suoi mon, con le dissonanze strane dell'orchestra dei suol lama, con le offerte ed i * giù delle sue donne, con lo sventolio di tutte le bandierette inalberate al sommo delle sue case. Qui, a Bot Carbu, ho offerto ai mici compagni il primo saggio di danze ladache, di uomini t di donne, sul mediocre spiazzo dinan zi al piccolo bungalow. GIOTTO DAIfjELLI. Ogni riproduzione, aittfia parjjala, asso-

Persone citate: Danelli, Iato, Spesso

Luoghi citati: Jàrcand, Tibet, Tibet Occidentale, Tibet Oocidentale