La Contessa Lara

La Contessa Lara La Contessa Lara Di tra gli sfondi ottocenteschi del Salotto della Contessa Maffei il Barbiere ci addita una figurina gentile « ...lieve nel passo e sottile come silfo, magnifica nello sguardo, ammaliatrice nel sorriso. Quando si presenta in un palco alla Scala, i cannocchiali s'appuntano verso di lei. Quando arriva nel salotto Maffei, 'col suo abito di velo rosso trasparente, i crocchi tacciono, ognuno l'ammira. E' una poetessa, sposa felice Evelina Cattermole. Viene nel salotto talvolta accompagnata dal marito... ». In quel « talvolta » c'è il primo accenno presago alla sventura che trasformerà poi la sposa «r felice » nella Contessa Lara. Allora la «cantante» era un demonìaco maleficio, rovina di focolari; cantante e ballerina eran sinonimi di perdizione. E il capitano dei bersaglieri conte Eugenio Mancini — occhi vellutati sotto una candida fronte spaziosa, ammorbidita dalle onde composte dei capelli — marito della giovanissima Evelìna Cattermole, avendo qualche predilezione per ballerine e cantanti, alla sera non si sforzava di nascondere la sua beatitudine se a qualche amico gli riuscisse di passar la consegna « Tieni compagnia a mia moglie: io esco». La povera Lina, innamorata com'era del marito, ritrovava la sua felicità nei... rari arresti di lui; tanto che trascorso l'ultimo giorno della punizione, eccola a rievocarsi quei giorni e tentar qualche verso che nella sua ingenuità ci fa vedere come in lei non ci fosse per nulla la stoffa della donna « fatale » (che, dopo qualche generazione, soppianterà la « cantante »), ma quella, invece, d'una mogliettina che ebbe forse la sua prima vera sventura nel non aver bimbi. Si scrive il tema del compitino nel mezzo del foglio — 'Arresti: e si noti con quale candido impegno se lo ripropone all'inizio del primo verso: Arresti di rigore. Egli ha mancato non mi ricordo a qual regolamento, ina con la disciplina de '1 soldato, nessun fa, non c'è Cristi, a suo talento. Ed eccolo qui in casa sequestrato: addio cavalli, addio divertimento! E torse in nulla, chi lo sa? sfumato d'un capriccio il segreto abboccamento. Tacito e grave el legge: lo, gii occhi mesti gli lascio addosso e di crucciarmi fingo co '1 suo malvagio superior scortese. Ma è tutto una commedia. O santi arresili Per farmelo plU serio e casalingo CI vorrebbero almen due volte al mese. Quando si scrivon di questi versi, e non c'è un a superior cortese» che infligga al bel capitano almeno quindici giorni di rigore due volte al mese ; quando si pensi alla bellezza della Lina, biondissima e delicata, dolcissima e altera; allo spirito, all'eleganza, alla grazia di lei ; quando si sappia che il frequentatore più assiduo del suo salotto era un giovane veneziano, per nulla artista, per nulla complicato, per nulla a intellettuale », ma che aveva un nome, ridondante e prezioso da parere un letterati»simo pseudonimo, Giuseppe Bennati di Baylon: e che era biondo, bellissimo, elegante; non è difficile il credere che il marito avesse qualche so. spetto. Un giorno, incontrato il Bennati, scese da cavallo e gli disse il dubbio che lo assillava. L'altro impallidì ma subito si riprese: e le parole che lì per lì tranquillarono il Mancini furori di certo «devota ammirazione, ospitalità, amicizia, dovere». Ma fu in quei giorni che qualcuno intese dire al Bennati «Sono perduto». Nel maggio, a un ballo della Società del giardino, la contessa Mancini Cattermole fu ammiratissima ; e pochi giorni dopo il marito riusciva a sorprenderla, per la delazione d'una sua cameriera, di lui innamorata. Il duello, a gravissime condizioni, fu ritardato di qualche giorno, per la difficoltà del Bennati a trovar medico e testimoni; fu assistito da un sol padrino ; e nei pressi di Bollate, un tardo pomeriggio, in una radura lungo una fornace, lo scontro avvenne alla pistola. Gli avversari si fissarono per oltre un minuto, poi il capitano s'avanzò in due riprese di cinque passi ciascuna: il Bennati s'ostinava a rimanersene immobile: il Mancini abbassò lentamente l'arma: e poiché l'altro non si muoveva, esplose il suo colpo. Il Bennati cadde sul fianco destro, con un lungo lamento. Sua madre impazzì. Il Mancini commentò quella morte con un «Me ne spiace, ma era necessario». Al cimitero, tolta dal carro l'ultima corona, s'udiron delle grida: la cameriera che aveva reso quel servizio aveva ingoiato dell'acido solforico. Dall'imputazione di omicidio commesso in duello il Mancini fu assolto ; e i due coniugi si separarono. Il Mancini era figlio del grande giureconsulto Pasquale Stanislao, il Bennati apparteneva a un'ottima famiglia veneziana, della Lina, celebrati ingegno e bellezza: era il fattaccio elegante, il dramma a tinte fosche non personaggi, diremmo oggi, d'eccezione, E la condanna più tremenda, per la povera donna, fu certo, in quegli anni, quel volersi far dimenticare, sfuggendo a molesti omaggi e a curiosità morbose. Le clausole della separazione le imponevano di abitare Firenze; ed eccola girovagare di camera d'affitto in camera d'affitto, avvilita e sperduta dapprima, poi via via raccogliendosi in una calma che doveva donarle la sua sola salvezza: il lavoro. S'incontra col Rapisardi, collabora al Fieramotea diretto dal Malenotti, conosce Mario Foresi, avvicina il Sommaruga e il suo luogotenente Cesario Testa: e con lo pseudonimo di Contessa 'Lara pubblica dal Sommaruga Versi, il suo primo volume di liriche. Il successo che l'accolse doveva far diventare la Contessa Lara un'assidua collaboratrice ai migliori giornali d'allora; qualche ambiente non facile le tornò ospitale ; ma l'alone del primo dramma non potò mai abbandonarla: e per qualche sua stramberia non facilmente giustificabile, e per qualche suo impulso che talvolta le faceva dimenticare le opportunità più or. Nlrccpvmmsguafivacmpssnsaciccdpgsmpvpmtlr todosse, eccola diventare, soprattutto per chi non la conoscesse, una donna perversa, una donna corrotta. Non per nulla sorge, in quegli anni, l'epoca delle donne fatali. Era prodiga e fu detta spensierata; era elegante, e fu detta un'eccentrica; era mutevole, e fu detta capricciosa. Amata invano dal Rapisardi, forse invano dal Foresi, invocata da parecchi, desiderata da molti, questa poveretta che finalmente riesce ad amare un giovane scrittore, e tutta s'abbandona alla gioia di avere di nuovo una casa, una casa quasi sua, e che scrivendo all'amico si fa umile e piccina, e si firma sempre « tua moglie », doveva, dai più, esser creduta almeno almeno un'avventuriera che il suo cammino spargesse di sventure: mentre passava le sue giornate e parte delle sue notti a scrivere e a scrivere, il solo suo mezzo di sussistenza — condanna a vita alle cronache mondane, alle poesie d'occasione, alle interviste, alle recensioni, alle cronache della moda. Questo caotico ed assillato prodigarsi spiega in gran parte la lenta decadenza di chi, con maggior disciplina e forse con maggior respiro, sarebbe potuta diventare un'autentica scrittrice; la poesia, per lei, quando non fu un gioco elegante che giovasse al suo fascino di donna bella, fu semplicemente uno « sfogo », appena temprato da un buon gusto non sempre vigile. Da gli Arresti più sopra riportati seppe di certo progredire; ma quel suo prodigarsi, come scrittrice, che quasi sempre era un disperdersi, doveva corrispondere al lento declinar della sua vita, dopo la parentesi di quell'amore che l'aveva come risollevata e che lei stessa, d'un tratto, dopo qualche anno, aveva voluto troncare. La Contessa Lara è ormai una povera donna dimessamente vestita, quasi trascurata, sempre in cerca di un po' di pace che non troverà mai, e che già vede dinanzi a sò lo spettro della vecchiezza. S'incontra con un giovane pittore, senza talento, senza un soldo; dapprima lo aiuta, poi lo ama, poi se ne lascia sfruttare; quello la maltratta, la percuote; una volta giunge a schiaffeggiarla dinanzi alla cameriera, dicendole « Vedi come si schiaffeggiano le contesse? »; e quando, in un ultimo tentativo, cerca di ribellarsi, cade colpita a morte da una rivoltellata che quello, per l'ira di vedersi sfuggire quei troppo facili proventi, le esplode in un delirio di bestiale vendetta. Così, con due processi diversamente « sensazionali », s'apre e si conchiudo la vita della bionda Contessa Lara. Delle sue opere, tranne un libretto per ragazzi, ben poco è ricordato, forse nulla resterà. La sua eredità fu dispersa. Il suo corpo perduto nella fossa comune. Figura indubbiamente interessante: ma forse ancor più interessante pretesto a rievocare tutto un mondo e tutta un'epoca. Maria Borgese (La Contessa Lara, Treves, 1930, L. 20) non se l'è lasciato sfuggire: e il suo bel volume è tanto lontano dalla vita più o meno « romanzata » quanto dalla semplice ed arida raccolta di documenti. E' in questo equilibrio che trova la sua felicità la biografia avvincente come un romanzo e seducente come soltanto un'opera storica può esserlo, nell'accennar figure e nel tratteggiar panorami che non si vorrebbero di menticare. MARIO CROMO. denpcdcveddlinucpmemlcadcnqcdlgngtcl

Luoghi citati: Bollate, Firenze