Aureole

Aureole Aureole La veste di tulle bianco guarnita idi mazzolini rosa, vaporosa come un eoffio, un. amore di toeletta da primo ballo, secondo la moda d'allora i(1830) era destinata alla nobile e leggierissima damigella torinese 'Olimpia Rosai, la quale faceva, una «era d'inverno di quell'anno, la sua •prima comparsa in società. Figurina slanciata, ideale, con quei lunghi ricci biondo cenere e gli cechi chiari, ella si abbigliava guardandosi timidamente allo specchio, sotto la sorveglianza dell'amorevole e 'austera madre, la quale non avrebbe ancora voluto condurre a feste la figliuola soltanto quindicenne; aveva ceduto alle sue preghiere soltanto perchè si trattava di una festa ■eccezionale: un ballo dato dall'aristocrazia torinese in onore della pria cip essa Maria Cristina. La gentile Olimpia trepidava, il cuore le bat leva troppo forte, ella non poteva dominare la sua emozione e stringeva convulsamente il fazzolettino di pizzo, sciupandolo. Come faceva tutta quella gente a scendere così disinvolta di carrozza, salire lo scalone illuminato, entrare in quelle sale dorate sorridendo, conversando, come se fosse la cosa più naturale del mondo?... Entrò anche lei là dentro, ma come in sogno, fece lriverenze dovute, balbettò qualchparola alle benevoli domande dei padroni di casa, poi si rifugiò accantalla madre, in un cerchio di damvestite di velluto e scintillanti dgemme, che discorrevano sommesse sventolandosi gravemente coi loro magnifici ventagli. Il suo primo ballo!... Ma ella non fremeva d'impazienza; riflessiva e osservatrice per natura, preferiva guardare all'essere guardata; ora che la prima emo zione era passata anche lei si alzava con disinvoltura per sprofondare nel 1» riverenze d'etichetta all'entrare di quelle « teste coronate >. Entrava Maria Teresa d'Austria d'Este, la regina vedova, dall'aria altera ed energica, tipo £i donna dall'animo forte nelle avversità... Entravano le sue figliuole: Beatrice, granduchessa di Modena, Maria Teresa, granduchessa di Lucca e la principessa Maria Cristina... «Io non ebbi occhi ♦) simpatie che per lei !... » scrisse poi Olimpia. La principessa, allora sui diciannove anni, era alta e bella, col viso soave poeticamente incorniciato dalle onde inanellate dei capelli castani e illuminato dagli occhi azzurri. Ella aveva il collo lungo e sottile, i suoi gesti eran timidi e dolci, la sua bellezza quella di una candida colomba. Portava un fulgido diadema di brillanti sui capelli, vestiva un abito celeste guarnito di mazzolini bianchi... Benché il ballo fosse dato in suo onore poiché si diceva che ella fosse sposa, non ballò mai, la rigida etichetta di corte glie lo vietava. Sedeva amabilmente composta e ogni sua parola, ogni suo sorriso erano di innocenza e di bon• tà. Quando la giovanissima Olimpia lo fu presentata le s'inchinò trepida, mde ogfrfigilppdalsuchvglanamchvTgaCipsmcL.1sptlcbmqqtdrcrapita di commossa ammirazione, la I principessa scambiò con la nobile ' giovinetta uno di quegli sguardi di tenerezza con cui le anime elette si sfiorano anche in un incontro solo della breve vita, riconoscendosi amiche. In veste da ballo, sorridenti e bello entrambe, ignoravano ancora ì dolori e le glorie del loro destino. .Maria Cristina di Savoia aveva! I tre anni appena quando era venuta a Torino, da Cagliari, dov'era nata, quarta e ultima figlia di Vittorio Emanuele I. Allora la chiamavano Tintana; Tintina navigava in braccio alla sua governante e guardava il mare con quei suoi angelici occhioni azzurri, eenza sapere che il suo papà era un re che tornava sul trono dei suoi avi e che su quello •tesso mare navigava quel giorno Napoleone Bonaparte, verso l'isola d'Elba. A Torino il mare non c'era più; lia piccola principessa, dietro i vetri delle finestre di Palazzo Reale, guardava volare le rondini e i colombi intorno a Palazzo Madama e alzando una manina li indicava a Tete, _a Bios, a Nanna, le sorelle maggiori. Dame austere e pie s'occupavano allora già di lei, la marchesa di San Giorgio, la marchesa di Villamarin*, la istruivano nei lavori donneschi, nelle lingue, nelle scienze, mentre gli augusti genitori le ispiravano e coltivavano in lei quella fervida religiosità, quelle virtù cristiane che dovevano farla santa. Rinunciare ai beni terreni con gaiezza, oh, questo già d'istinto sapeva farlo. Aveva nove anni, quand'era stata svegliata a notte alta e chiamata, con le sorelle, nell'oratorio privato di sua madre. La regina, uscita allora dalla stanza del re, grave, ma tranquilla, disse alle figliuole: tU re vostro padre ha abdicato, e perciò non siamo più che eempiici private. Ringraziamo Dio che sono salve coscienza e onore». Era la notte del 13 marzo del 1821. Lo principessine non tornarono più a letto, dovevano prepararsi per una sollecita partenza; all'alba la famiglia reale lasciò la reggia, le carrozze da viaggio s'incamminarono su per la strada di Nizza dove Vitto rio Emanuele I voleva stabilirsi e così, tornando in esilio, Maria Cri stina rivide il mare. Il mare... Fissando su di esso il suo sguardo velato, senza speranza, il re Vittorio Emanuele si sentiva declinare, quelle onde monotone e insistenti, senza fine e senza meta, sembravano dire tutta la vanità dei Iìoteri umani: anche*il grande Napoeone era ormai morto, in riva ad un altro mare... Le sue quattro figliuole .' sarebbero tutte salite su di un tron», 1 e poi? Maria Cristina, la piccola che il elii camminava accanto, capiva quei ■' 6 . r ■-. 1 • Ilei che aveva trascritto in: pensieri, ■»•«•» "."' "' tui buo quaderno ì versetti di San Eihppo Feri quelli che incomincia-1 vano: « Benché io sia sana e ricca p bella, e poi? ». |Ora il buon padre era morto e le e e ; a e a o a ì sue tre sorelle regnavano, Beatrice a Modena, Teresa a Lucca, e Nanna, cioè Marianna sul trono d'Austria, moglie dell'imperatore Ferdinando I. Lei era ormai in età da marito e le richieste di nozze giungevano da ogni parte, da Luigi Filippo re dei francesi, per il duca d'Orléans suo figlio, dal granduca di Toscana, per il principe ereditario, da Lisbona, per l'infante don Sebastiano, da Napoli, per Ferdinando II, re delle due Sicilie. Ella si rimetteva in tutto alla saggia sua madre, ma nel cuor suo sognava la serenità soave del chiostro, la dolcezza sicura di una vita interamente dedicata a le preghiere e alla carità... Morta anche la madre, le nozze decise con Ferdinando II furono ritardate; tornata a Torino dove il re Carlo Alberto, ormai capo della famiglia, l'aveva chiamata, la giovane principessa, diventata amica della pia regina Maria Teresa di Toscana, andava ogni giorno con lei a prostrarsi davanti alla Madonna, nella chiesa della Consolata: oh perchè non era una ipovera figliuola libera di seguire la stia vocazione? Quando usciva, i mendicanti seduti sugli scalini della chiesa si alzavano per accorrere a lei che si fermava contenta; ella voleva l'amore dei poveri, non quello dei potenti. Sposò Ferdinando II e salì sul trono delle due Sicilie nel 1832: la reggia di Napoli, la reggia di Caserta aprirono le loro sale raggianti per le feste di nozze. « Bella donna — diceva di lei la gente napoletana — bella donna, ma fredda ». Dolce, riservata, timida, silenziosa, ella faceva gran contrasto col marito chiassone, burlone, amante dei lazzi e delle facezie volgari, coi cognati violenti. e rissosi, con la suocera loquace. Il popolo stesso, così all'ingrosso prendeva quella nobile riservatezza per superbia e qualcuno cominciava a mormorare contro la sterilità della giovane donna. La conobbero tutti meglio quando, pochi anni dopo, appena ebbe dato alla luce il bimbo, che fu poi il re Francesco II. giacque esangue nel suo letto di morte, nel suo atteggiamento di serena rassegnazione, bianca colomba inanimata. Candore, innocenza, gaiezza e bontà infinita non erano mai venute meno in lei nemmeno nelle ore d'isolamento e di dolore, nei momenti di prove più dure, adesso si riflettevano ancora sulla sua fronte di marmo. Ora si sapeva quanto bene, in silenzio, ella avesse fatto ai poveri di Napoli, quali tesori chiudesse il suo cuore profondo, la sua mente gentile, tutta nutrita di santa poesia. Attorno alla sua tomba, nella chiesa di Santa Chiara, accorsero i suoi amici più cari e segreti, i poveri, i malati, gli abbandonati, e là cantavano le sue lodi e spargevano lacrime. In quello stesso anno, 1836, Olimpia Rossi sposava il barone Savio e diveniva una delle più radiose bellezze torinesi, una dama squisita, cultrice delle Muse e patriota ardente. Quando nel 1859 il Papa Pio IX, dichiarando venerabile Maria Cristina iniziava quel processo di beatificazione che è ora ripreso dall'attuale Pontefice, la baronessa Savio dava i suoi due figli diletti alla patria. Alfredo ed Emilio Savio morivano per l'unità italiana, uno ad Ancona e l'altro a Gaeta, e lo straziato e glorioso cuore materno, ormai ritirato dal mondo, rivivendo il passato, rammemorava con dolcezza l'attimo in cui, sulla soglia della vita, il sorriso d'una Santa era stato suo. CAROLA PROSPERI.