L'orrenda recita

L'orrenda recita L'orrenda recita .etrortené pienamente confesso... In gioventù, egli era stato filodrammatico » (Ultime del giornali) Non è vero che soltanto la vanità eia veniale; che soltanto l'ambizione sia colpevole. Sono ambiziosi anche gli innocenti, e sono vani anche i mostri. C'è nell'estetica del criminale il segno d'una compiacenza addirittura puerile per le apparenze eccentriche, per gli emblemi vistosi. Guardate. Non ce n'è uno che, rischiando il riconoscimento e la galera, non si cali per distinzione un ciuffo sugli occhi, non si stampi in rosso un tatuaggio sul petto. E' vano Vu[,ache parigino cantando Ma téle — cioè la testa che mostrerà al popolo nel dì della ghigliottina — ed è vano il selvaggio S'oux, parandosi deile chiome strappate ai vinti nemici. E' anzi la vanità che li fa agire : come è la vanità che li perde. De Sade osa offrire i suoi libri nefandi a Napoleone, che fa subito rinchiudere l'autore a Charenton. Peter Kiirten osa indicare ai poliziotti di Dusseldorf, l'indomani dei suoi de litti, i modi delle uccisioni e li fosse delle vittime sepolte. Si direbbe che egli stesso aneli di rivelarsi, affrettando l'epilogo d'un sì gran dramma. Protagonista di questa recita orrenda, quasi egli sollecita il momento di mostrarsi, finalmente, alla ribalta. «Sono molto lieto che i giornalisti si siano occupati diffusamente della mia persona e dei miei delitti ». Così Peter Kiirten. La vanità sovrasta in lui ad ogni spavento e rimorso. La prigione è là. Il capestro è là. Non vuol dire. Egli è lieto, egli è fiero che si parli dei « suoi » delitti. Ma tète! Nel suo dannato cuore non c'è che un demone pubblicitario. Pazzo? Forse no. Così potente è la vanità nel cuore dell'uomo, che per lei sola esso può giungere al crimine. O alla santità. Eroe perchè si sappia ì Oh, il caso è comune. Ma pur anche reo, perchè si sap pia. Il caso è meno frequente : e però gli antichi avevano già inventato il mito di Erostrato, appunto a significare come per brama di pubblicità ogni misfatto sia possibile. Anche Jean Richepin.'in un racconto famoso, ci ha parlato di un uomo oscuro che divenne assassino, solo perchè si parlasse, una volta almeno, di lui. Ancora e sempre, l'arte ha anticipato la vita; Oscar Lapissotte ha preceduto Peter Kurten. Nella cit„tà di Enrico Heine, un anonimo ha voluto la sua parte di celebrità. E ha sgozzato dieci fanciulle, per pareggiare qualche libro di poesie. Egli ò vano, come tutti i solitari. Non è vero che l'uomo solo sia sempre l'uomo sdegnoso. L'esibizionista può isolarsi allo stesso modo del misantropo. Si apparta per distinguersi': t .perchè lo vedano, perchè lo scò- fWW.j perchè la solitudine diventi a sua innalzata ribalta. Io ho scoperto vanità infantili sino in qualche eremita venerabile. Uno, in un santuario della Valsesia, si curava il barbone canuto con delle forbicine. Ed era un santo. Quante volte deve aver contribuito, questa vanità così piccolina, alle azioni pur grandi degli anacoreti, degli apostoli, dei martiri ! Por vanità si può anche mostrare, come Giobbe, delle piaghe; o saltare, come l'indù, sopra i carboni accesi. Incorniciato nella sua grotl a di bosco, San Gerolamo aveva forse il presentimento del quadro futuro. Simeone Stilita, immobile in cima alla colonna, faceva forse la prova del suo monumento. apEgli è un uomo qualunque. Ha quarantasett'anni ; e tira la carretta. Invecchia. Già qualche incisivo ha perduto. La moglie è brutta, e fa la cartolala. Così insignificante è questa moglie, ch'egli le confida i Buoi delitti. Non ci si confessa, lo sapute, che al testimone più augusto o al più insignificante : al sacerdote sull'altare ; oppure, come Re Mida, ai giuncheti nel vento. La mo glie di Peter Kiirten è agli occhi del mostro come l'albero e la pietra. Accanto a lei, nella soffitta suburbiana, egli si sente nulla. Ma una notte, affacciandosi da quel suo sottotetto alla città illuminata, alla grande, alla sfavillante città che lo ignora, una notte Peter Kiirten sen te, in una tentazione demonica, che potrebbe essere tutto. Basteranno due dita nel collo cedevole d'un* passante. E così per cinqui, otto, dieci volte. La morte passa ; la rinomanza resta. Tutta la città grande trasalirà al crimine arcano. Tutta Dusseldorf si volgerà a lui, Peter Kurten: tuttora anonimo, ma vivo, presente, impunito, minaccioso, spaventoso. Ora, dal tugurio, l'uomo qualunque comanda. La storia dovrà ricordarsi, un giorno, anche dell'Erostrato carrettiere. La parte è grossa. Il teatro è affollato. La recita è riuscita. Allora l'ex-filodrammatico può lodare i giornalisti della grida che gli fanno, della strepitosa nomea che gli conferiscono: « In virtù della loro attività professionale, il pubblico può provare sempre nuove emozioni... ». Pubblico: dice il filodrammatico. Égli pensa al pubblico. Pen6a se stesso, cioè, come il protagonista della recita mai vista. Ah: quale parte egli s'è preso, di colpo, nel repertorio ! Un siffatto ruolo di scellerato non toccò mai nè a Kòrkner ne a Krauss, i più celebri tiranni delle scene tedesche; e neppure a Beery o a Bancroft, i grandi omicidi dtìllo schermo. Egli li ha superati tutti. E' l'ultra-criminale, il super-mostro, il recordman del brivido ostile. Spaventoso. Orribile, Sì. Ma è grazie a lui che il pubblico, il caro pubblico, avrà « nuove emozioni ». Per quanto l'attore non abbia applausi, tuttavia l'effetto gli basta. Gli basta la certezza delle emozioni. Badate che Peter Kurten ha detto di odiare l'umanità. Odiarla: ma divertirla. Strane reliquie affettive, ncomprensibili sensi di simbiosi galeggianti in questi naufragi di anime ! Avverso agli uomini, il mostro accetta però d'esserne l'istrione. Ucciderli, ma servirli. Dalla sua soffitta miseranda, guatando la città infinita pare a Peter Kurten di impugnare la cetra di Nerone. Allora egli teme il castigo; ma lo desidera. Lo teme, e lo sollecita. Perchè l'arresto, sarebbe l'apoteosi. Una pena sicura, enorme: ma anche un'enorme rinomanza. E tutti gli occhi nei suoi. E il suo nome su tutte le labbra. Ah, il suo grigio nome qualunque, perduto fra i comignoli d'un sottotetto! E' allora ch'egli affretta la scoperta poliziesca: che scrive di sè, quasi rivelandosi, ai birri, ai giornalisti, ai giudici. L'attore è impaziente di comparire ài proscenio. Sa che vuol dire: la cella, il pane duro, il raggio obliquo di sole; e poi il processo, la condanna, l'urlo della folla, il capestro, la sepoltura. Non importa. La catastrofe chiuderà il dramma. Il supplizio definirà la storia. Ed egli resterà al centro di questo tragico rosone — egli, l'eroe uefario, lo sgozzatore di dieci innocenti — come quei mostri delle architetture gotiche che vediamo qua e là affacciarsi, alternati agli angeli e ai fiori celesti, nella gloria delle cuspidi. Ora, prima dell'arresto, era avvenuta - una cosa terribile. Era avvenuto che altri ignoti dei sobborghi, stimolati da quell'ignoto accoppato-re, compissero nella città altri omicidi somiglianti. Dusseldorf non aveva più un mostro. Ne aveva, ormai è accertato, parecchi. Dai resoconti dei giornali, il pubblico poteva crederò che attore dei misfatti fosse sempre quell'unico. L'unico sapeva, invece, d'avere dei plagiariSapeva, e soffriva. Di questo soffriva: che qualcuno, ritogliendogli la parte, gli attentasse iV successo. Intrusi, poveri intrusi, che volevano la loro parte d'infamia! Se il filodrammatico sollecitò la sua catastrofe, fu anche in odio ai contraffattori. Dispetto istrionico, appunto. Subire una pena, ma unv'liare un rivale. Ancora e. sempre, la vanità. Barabba, sulla sua croce, era fiero di essere il solo alla sinistra del Signore. Non un mostro aveva la città renana: ma dei mostri. L'eterna emulazione ! Dopo ogni suicida vengono dei suicidi; dopo ogni assassino, degli assassini. L'umanità non conosco soltanto le pecore, ma anche le belve di Lanurgio. «E quel che l'una fa, e l'altre fanno». Nella dannazione, come nell'esaltazione, la tendenza nostra è di andar dietro all'attore perfetto. Dietro Gandhi smoltiplicano i salvatori di animedietro -Kiirten si moltiplicano (i "macellai di fanciulle. C'è una po'litipia criminale, come c'è un contagio eroico. Soltanto, Peter Kurten non può accettare degli emuli. Egli è certo d'essere, quale mostro, nella perfezione. Pensate. Ha quarantasett'anni, è carrettiere, gli mancano deglincisivi: e le donne lo seguono. Le donne, le giovinette, le bimbe. La bella servetta di Magonza, di non più di vent'anni, lo preferì di colpo a un suo fidanzato che amava, a un altro bel giovine ch'era con PeterAndò subito, con Peter, nella foresta. Qui il bruto tentò d'assalirladi violentarla. Aveva la bava alllabbra. Aveva un martello in manoLa fanciulla riuscì, atterrita, a fuggire. Ma il giorno dopo andò ella stessa a ritrovare colui che aveva visto con un martello in pugno, con la schiuma alla bocca. Poi durantl'istruttoria, l'ha riconosciuto. Ma senza indignazione. Ha detto che Peter le piaceva, in fondo. E ha detto d'averla «scampata bella». Non altro. Le vittime consentivano avittimarlo: quasi consapevoli, o presaghe, di dover contribuire alla sua recita atroce, alla sua parte senza pari. Ah, il vagante lupo è ancora imedesimo, per frusto che sia, dellfavola sempiterna! I suoi occhi dbrace fermano nella notte Canuchon-Rouge. Per lui soltanto ella può attardarsi e perdersi nel boscoE stavolta non è pure il « magnifico lupo » sospirato dall'amante dNeri. Queoti è sdentato, e tira lcarretta. E' vecchio e sozzo. Non hneppure un fiore da offrire alle sudonne. Non ha che da assalirle ed oltraggiarle, oltraggiarle e sopprimerle. Superstiti, esse lo ricercanoFu ricercato, dalle sopravvissuteanche Landru. Ricordate? AnchLandru non ebbe, al suo processouna sola donna sfavorevole. Qual'dunque la legge che fa le femmine sì clementi ai loro1 sgozzatoriJ Per quale misteriosa misericordia? Per quale istinto despiazione? Per quale Nemesi, o pequale follia? Sarebbe dunque la donna, veramente, la nemica nostra, solo capace d'inchinarsi al giustizierche la sacrifichi? O ella solo consacra, nel suo carnefice, l'eroe delldistruzione necessaria, l'uomo sì forte da non temere nè Dio nè gli uomini, nè la cella nè il cappio, nl'angoscia altrui nè il proprio rimorso? Abisso oscuro, gorgo insondabileeterno enigma eleusino delle attrazioni sessuali I Dice Réray de Gourmont che a tentar di guardare, ital baratro, c'è da restare ciechi pesempre. « I miei delitti »: dice PeteKurten. « Ma tète » : dice l'apache dellcanzone. « La mia croce » : dice Barabba. Vanità. Ora Peter Kurten la pagherà cosuo sangue, dopo che con l'altrui. Megli sa che, come sarà maledettosarà ricordato per sempre. Avrà, carrettiere, la sua apoteosi vistosaPotrà, come Till EulenBpiegel, ghi a i e o o ' a i l , . l i o e i gnare nel suo capestro; farci dal suo rogo, come i diavoli veneziani di Jerome Bosch, uno sberleffo. La recita è compiuta. La parte s'è impojsta. Tutta Dusseldorf ha parlato di 'lui. e la Germania; e l'Europa. Una rossa stella ha brillato anche sul sottotetto qualunque. L'esecrazione sarà immensa. L'infamia sarà impareggiabile. Ventimila voci grideranno alla belva, nel dì del supplizio*: e il mostro salirà a prender posto tra gli altri mostri della sua chiesa gotica: quei ceffi orrendi che si spalancano nella pietra tra i volti d'angeli e i fiori di neve. Urlerà, quel giorno, la folla: e selve di mani 3'alzeranno a maledire: e sarà, insomma, l'ultimo quadro della recita. Per l'ultima volta, al braccio del manigoldo ultimo buttafuori, l'attore Peter Kurten saluterà il suo pubblico numeroso. Sarà là una moltitudine urlante. Sarà là, forse, anche una servetta di Masronza, attonita, che non dirà nulla. Cappuccetto Rosso sarà là con la nonna. La superstite sarà la sola a guardare negli occhi, senz'odio, l'uomo atroce nel momento della sua agonia. Ma di quell'unica luce caritatevole il mostro, tuttora compreso nella sua vanità, non avrà modo d'accorgersi. E questo sarà il più duro castigo, ed il più giusto, del filodrammatico vanaglorioso. MARCO RAMPERTI. s

Luoghi citati: Europa, Germania, Magonza