Marcia nuziale

Marcia nuziale Marcia nuziale Marcia nuziale L'architetto Oldrado era sempre stato buon musico. Ancora in quei giorni, a più di ottant'anni, sonava il piano con un tocco appassionato e ed compiaceva di comporre musiche serene: qualche canzonetta o qualche romanza, cose brevi di cui spesso dettava lui stesso le strofette in quinari o settenari, alla moda del tempo suo. In quegli ultimi anni poi avendo cessata qualunque attività professionale gli accadeva sovente di mettersi al piano dopo colazione e di obliàrvisi improvvisando o componendo magari fino all' ora del pranzo. Quel giorno Piero, che veniva a passare qualche mese nella villa paterna, mentre raccolto nel suo studio all'ultimo piano della casa lavorava intorno al suo romanzo, udiva giù nel salone di pianterreno suo padre che stava componendo al piano una specie di marcia eroica. Alzava il capo dal lavoro e stava ad udirlo. Come picchiava sodo sulla tastiera quel, vecchio ardente, di buona razza lombarda. Quanta foga ci metteva, e che vita era ancora in lui. La melodia vecchiotta e quadrata riempiva tutta la villa della sua sonorità, l'attraversava come il canto di una anima lanciata in glorioso trapasso verso l'eternità... Povero babbo. E stando lì affacciato all'uscio gli piaceva di sentirglielo uscire dalle dita, nota per nota, per quel canto, sentirglielo rifare e migliorare le mille volte con quelle sue dita armoniose e potenti che avevano tracciate tante fabbriche e s'erano provate in tante invenzioni. Quella vecchiaia così sola e forte che gridava laggiù la sua passione di vita lo commoveva fino alle lacrime. A costo di lasciar a mezzo il romanzo, volle alzarsi e scendere da basso. Poi aprì pian piano l'uscio del salone, ed entrò. Suo padre era là curvo sulla tastiera che sonava alla luce di una unica finestra aperta sul giardino. Un foglio di musica era davanti a lui, sul leggìo, e sopra quello, abbozzate a matita, alcune frasi musicali. Un piccolo setter dormiva appallottolato ai suoi piedi. — Sarai stanco... — fece Piero, ponendogli una mano sulla spalla. — E' dalle due, babbo, che sei al piano. L'Oldrado si volse e lo fissò stupito. La sua persona era curva, come stroncata, col nodo della cravatta disfatto, gli occhi che brillavano lucidi nel pallore giallognolo del viso dove spuntava una barba di tre jriorni — Hai ragione, perbacco, — disse poi guardando l'orologio. — E adesso sono già le sei. Come passa il tempo con queste sciocchezze. — Poi sbadigliò forte abbassò il coperchio del piano, s'alzò, impugnò il bastoncello e s'avviò verso l'uscita. — Che stavi componendo, babbo? — Piero domandò mentre di lì a poco erano usciti a passeggiare in giardino: La primavera ch'era incominciata da un bel po' diffondeva le sue gagliarde tenerezze di profumo e colore sul bel apparato d'antichi alberi che circondavano la villa. Essi camminarono adagio, in silenzio, poi il vecchio si fermò e disse: — Vuoi proprio sapere che cosa componevo? Dna Marcia nuziale, Piero, una Marcia nuziale, per te, per quando ti sposerai. Una dolle solide ubbie di suo padre. Sposarsi ! Egli che aveva ormai trent'anni sonati, neanche ci pensava a sposarsi, provvisto com'era di un' amante giovane, graziosissima e gelosissima, ch'egli adorava e ch'era tutto il grande amore della sua vita, e che valeva da sola ben millo matrimoni messi insieme... Senonchè il vecchio, che di^ questa relazione nulla sapeva, gli andava ripetendo a sazietà ch'egli avrebbe tanto desiderato prima di morire vederlo accasato con una signorina perbene, munita di una dote cospicua, e, se'capitava, intelligente come lui. Era quello il suo pensiero dominante. «Fatti una famiglia, benedetto ragazzo. Cos'aspetti?». E non mancava di mettergli sott'occhio ora questa, ora quella signorina borghese e qualche volta gli aveva giuocato perfino il tiro birbone di condurlo, a sua insaputa, in casa di un conoscente che aveva una sniufia da marito. Un vero guet-apens. E Piero, sdegnato, aveva colto il primo pretesto per .svignarse'**.- E ora ci voleva anche la Marcia nuziale. Di fatto, però, ci pativa. Quelle ingenue manovre del padre lo commovevano tristemente, comprendeva infine quanto fosse giusto e legittimo quel desiderio di lui di vedersi continuato nella stirpe, e il non poterlo appagare lo attristava penosamente. ÌVIa che farci? Egli era ormai votato all' eroico celibato eh'è appannaggio dei grandi spiriti. Il poeta non deve sposare che la sua poesia, ha detto un grande. Dopo qualche istante ritornati in casa venne loro annunciata una visita. Il dottor Guarniento e la sua figliola ' Giorgetta. — Dottore caro I Signorina ! — esclamò l'Oldrado muovendo incontro ai nuovi venuti. Il Guarniento era un antico compagno d'università dell'Oldrado, medico studioso e assai stimato nella città vicina : un vecchiarello tutto in nero, suppergiù dell'età dell'Oldrado, sbarbarissimo e di bei modi. La figlia era una fanciulla sui venticin que, magra, non troppo brutta, piuttosto vispa e piacente. Piero capì subito il nuovo traboc chetto che suo padre voleva tender gli, ma stavolta deliberò di pigliare la cosa piuttosto allegramente. A tavola gliel'avevano messa vicina. Egli le passava galantemente il piatto suggerendole il miglior boccone da prendere e discorse con lei 'di tante figure provinciali, ridendo, in piena libertà. Poi la conversanone si fece generale, si raccontarono barzellette, s'inalzarono dei ssdlsgdpvllsaicteumselpccbstdlatdvlscnangpdavmmdsplcuf brindisi, e di matrimonio nessun ceuno. Fu, soltanto dopo il caffè che il gioco si scoprì. Col pretesto di mostrare al dottore, enologo espertissimo, i prodotti delle sue vigne, l'Oldrado lo condusse in cantina e lasciò là soli i due giovani. Piero allora si credè in dovere di condurre Giorgetta a fare quattro passi in giardino. Per un poco i due discesero a passo a passo il viale, godendo della frescura notturna, guardando evasivamente la volta stellata, senza parlare. La serata era splendida e tutte le rose erano in sboccio lungo le spalliere. Giorgetta d'un tratto, si fermò ad ammirare sopra un piccolo prato un intenso, favoloso carosello di lucciole. — Beato lei — sospirò — che vive tra queste bello cose! Piero la guardò. La sua figuretta era calma, chiusa, tutta sospesa come un punto interrogativo sulla velata malìa del prato primaverile. — Ma sa — egli soggiunse — ci son pure le sue noie anche qui. — Per esempio? — Quel mio vecchio genitore — egli disse. — Gran bravomo, com'ella vede, ma come tutti i vecchi, un po' noioso, un po' strano... Sa perchè ci ha lasciati qui soli? — Oh lo imagino — ribattè la fanciulla volgendosi a lui senza preamboli — perchè tra lui e il mio babbo si Bono messi in testa di sposarci. E e ò a a a e e n e a — o scoppiò in una schietta risata. Figurarsi un po' se io voglio sposare lei! Io sono innamorata di un altro. Brava — saltò su a dire Piero — allora le dirò che anch'io ci ho la mia brava innamorata. E ambedue a ridere di cuore. Giorgetta gli raccontò candidamente che da anni faceva all'amore con un giovine laureando in ingegneria, ma che suo padre non voleva saperne perchè aveva parenti poveri, e che sempre aveva desiderato chesposasse lui, Piero Oldrado. E Piero, di rimando, le narrò il suo amore con la moglie divisa di un grande industriale in ferramenta, un cattivo uomo che le aveva fatto patire le pene d'inferno: poi, esagerando la parte, le raccontò le malefatte di colui, l'infelicità di lei, la propria cavalleria, il suo grande amore. La fanciulla ascoltava, commossa, camminando a piccoli passi accanto a lui. Ma arrivati in fondo al giardino si fermò ed' aspirò .voluttuosamente, a larghe sorsate, l'effluvio delle madreselve che ricoprivano il muretto di cinta. — E allora — Piero disse sedendo sul muretto e invitandola a sedere accanto a sè — mi dica un po', perchè ha accettato quest'invito a pranzo 1 — Mi scuserà. Non avrei dovuto farlo, ma ciò faceva tanto piacere a mio padre che non ho saputo resistere al desiderio di accontentarlo. Per nulla al mondo vorrei farlo sofrire, povero vecchio I — Giorgetta, ed è appunto per non ar dispiacere al mio, ch'io in questo momento mi trovo qui con lei. — E' tanto triste, non c vero, vedere un vecchio contrariato. — La cosa più triste del mondo — ece Piero. Fu allora che ad ambedue balenò un'idea. E se per accontentare i loro babbi fingessero un reale interessa- mento l'una per l'altro? se in qual- he modo dessero loro a divedere ipos ibile la situazione ch'essi vagheggiavano da tanto tempo? — Si tratterebbe infine di tenerli a bada con una pia finzione, lusingarli che un giorno o l'altro ci spoeremo. — Ho inteso, ho inteso — fece Giorgetta, chinando il capo Ritrovarono i loro babbi in terrazza, seduti davanti ad una tavola ngombra di bottiglie e bicchieri. I visi piuttosto accesi dei due amici estimoniavano che tutte quelle botiglie erano state debitamente salasate e discusse, una per una. Come i accorsero che i due figliuoli si avvicinavano i vecchi si volsero. Ma di i a poco Piero vide suo padre levarsi in piedi ed affacciarsi tutto eccitato e ridente alla balaustrata e con le braccia tese gridar loro in tono di sfida allegra e vittoriosa: — E co9Ì, ragazzi, ve la suono o non ve la suono questa Marcia nuziale? Piero rimase un po' interdetto, ma poi, come preso nel giuoco, risolutamente cinse con un braccio Giorgetta per la vita e la portò di volo su per la scalea. — Ma sì, babbo, suonacela pure!Un poco barcollante allora il gran vecchio entrò in salone tirandosi dietro il dottore, non meglio in gambe di lui, e accesa la luce sul piano cominciò ad intonare la famosa melodia. Adesso era pieno d'una foga stupenda. La sua potente vecchiaia fiammeggiava da ogni poro. Il vino delle sue torre che gli scaldava le vene, dava una vigorìa d'esaltazione quasi tempestosa alle sue dita. E mentre dietro di lui, in piedi, il dottore i due giovani lo contemplavano sbigottiti e quasi trascinati loro malgrado da quella Inagica irruenza di vecchio, egli suonò, suonò due, tre volte la sua creazione, accompagnandosela col canto, variando nei bassi come una fanfara, inneggiando alla bellezza della vita a cui tra poco avrebbe dato un addio per sempre, alla gioia del sapersi finalmente continuato nella perennità indeclinabile della sua razza. Ma dopo poco, come sfinito, stroncato di colpo, ripiegò il capo sulla tastiera e rimase là così con le dure mani ancora aggrappate ai bemolli, ansando a fatica. CARLO LINATI.