Ritorno di popolo e festa di rapsodi

Ritorno di popolo e festa di rapsodi Ritorno di popolo e festa di rapsodi Dopo la visita a « Mamma Schia vona » - La grande sfida di Nola • Le avverse schiere dei « cantatori» - Un gigantesco banchetto ■ La parata e la corsa - Carmela o Rosina o Napoli, 9 notte. Trascorsa la domenica di Pentecoste in preghiera, « rifocillata l'anima col sacro cibo », come dicono i libri d'orazione, comincia il ritorno non men della partenza famoso, pittoresco e ricco di soste, ai passa, scendendo, per Ospedaletto, borgatella ricca di apicultori: le case dei contadini abbondano d'orci colmi di bruno e purissimo miele. Cominciano i nocelleti, i mandorleti, i boschi di castagni. Giù, ad Avellino, lungo il corso ombrato di platani, fastoso ricordo, parmi, del regno di Carlo III, si premiano i migliori equipaggi. I giovanotti son venuti in domatrice, in biroccino, qualcuno in tilbury. Il premio, attribuito da una giuria municipale, è una sorta di stendardo ricamato d'oro che il vincitore pianta sulla sua vettura. Poi si corre lietamente per le balze e le gole, lungo una via che si snoda, sale, discende, ripida, sassosa e polverosa, passando per certi villaggi e gruppi di casolari che ricordano un po' la Sardegna e un po' i paesaggi spagnuoll dei Pirenei. L'immenso corteo scampanellante, trionfo di rosso, di giallo, di turchino, di verde, di viola, di bianco, di barbagli d'oro e d'argento vince la spessa nube di polvere che vorrebbe mortificare 1 bagliori e i luccicchii. Si corre verso il Nolano. 11 fervore religioso è quetato: ora erompe liberamente la frenesia del canto. Ad ogni sosta i rapsodi provano le loro voci e la loro memoria preparandosi alla grande gara che avrà luogo a Nola. A Cimitile, a Mugliano del Cardinale, a Mercogliano, già si sono svolte le prime scaramucce, le prime contese di canto a figliola,' non tali però da superare gli altri canti, più attinenti invece al pellegrinaggio. Ne rammento uno molto antico, d'una piacevole ingenuità : Bella, ch'a Montevergene vogl'lre tanta denaro che me II 1)6 tiare? M'ascio acchlettate trentatré «ari-Ino. a mezzanotte te vengo a sostare; e quanno slmmo 'ricopra la montagna Nennella bella mia vo' li castagne; e quanno simino 'ncoppa 11 monte-Ile Nennella bella mia vo' Il nucelle: e quanno simmo 'ncoppa a la Madonna Nennella bella mia vo' fa' la nonna. Canto a figliola Descrivere la vivace bellezza folliloristica del canto a figliola non è facile: i colori della ingenuità popolare sono impossibili a riprodurre. Certamente, però, tra gli usi e costumi del mezzogiorno d'Italia questo è uno dei più interessanti e dei più nobili come spirito e tradizione. Un tempo i gio vanotti del popolo, che dedicavano gran parte dell'anno ad esercitarsi nel canto a figliola, appartenevano a tutti i quartieri della città. Ora bisogna an darli a cercare In Borgo Sant'Antonio Abate o in Borgo Loreto. Esso consiste nella celebrazione rapsodica della storia civile e religiosa di Napoli. La contesa avviene a Nola, al ritorno da iMontevergine. Ad essa presiede una giuria composta di esperii, che sono naturalmente vecchi e provati cantatori, nominata dal Comune. Un tempo, come i partiti dell'Ippodromo bizantino, il popolo napoletano era diviso nelle due avverse schiere della valanza, (bilancia) e del sciore, (flore). Il primo era il simbolo della camorra dei quartieri più popolari, Porto, Vicaria, Mercato, Pendino, il secondo era emblema degli abitanti di Chiaia, San Giuseppe, Montecalvario, San Ferdinando. Ogni schiera aveva la sua compagnia di cantatori. Ora esistono, invece, solo comitive composte di familiari, di amici e di ammiratori del divo. Qualche ricca famiglia popolana conserva ancora l'uso di recare con sè, per fasto, un cantatore. Un tempo se ne poteva assoldare uno con la mercede di quattro carlini al giorno. Ogni comitiva prende in fitto un balcone sulla piazza di Nola e vi espone lo stendardo. La sfida è fatta ad versonani: un cantatore, dal suo balcone, sul motivo di una strana nenia chiama a nome l'avversario e gli chiede, per esempio, di cantare quante volte e come San Gennaro, ha salvato Napoli della'furia del Vesuvio, oppure di cantare quante volte Napoli fu cinta d'assedio e da quali eserciti. Gli ascoltatori dalla piazza concludono cantando: Canta a figliola! che fa da verso di commiato alla strofe dello sfldatore e da esortazione allo sflduto. Costui, senza indugio, deve rispondere con la massima precisione, citando anno, mese, giorno, ora e circostanze del miracolo o dell'assedio. La nenia si distende o si accorcia secondo le esigenze del periodo e ad ogni sosta il popolo canta Il commiato o ritornello. Appena lo sfidato ha finito, ecco che lo sfidante procede ad una sdegnosa critica del canto avversario, critica che vien fatta, naturalmente, sulla medesima nenia: in essa si contesta al cantatore l'esattezza dei particolari e delle date e gli si citano testi più autorevoli o che danno maggiori dettagli. Lo sfidato replica confutando e, a sua volta, proponendo all'avversario un tema da svolgere. Alfine la giuria composta di memoriacce mitridatiche, proclama il vincitore e gli consegna lo stendardo. Questo certame, o meglio questa olimpiade cele brata da Pindari popolari, non è, talvolta, senza conseguenze cruenti. Chi conosce le popolazioni meridionali, comprenderà che passione gelosa essi portino a questa contesa patriottico-re ligiosa nella quale entrano in gioco il fanatismo religioso, l'amor di patria, la passione di parte, il desiderio di preminenza e, talvolta, represse gelosie di donne che pongono a fronte due can tatort Spirilo a radici dalla rapsodia Andare a Nola e assistere alla gara significa comprendere poco o nulla: se se ne vuole percepire tutto il grande e singolare valore bisogna fare ima sorta di preparazione spirituale e familiarizzarsi un po' con l'ambiente. In questa condizione d'ignoranza si trovano non solo i forestieri, ma la enorme maggioranza dei napoletani, lo stesso che scrivo non avevo che una conoscenza piuttosto letteraria del canto a figliola. Approssimandosi la Pentecoste ho sentito la necessità di compiere una piccola inchiesta per rintracciare gli ultimi e più famosi cantatori, per conoscere come e dove coltivassero la loro passione e dove, soprattutto, attingessero le notizie storiche. Fu un vecchio pittore partenopeo che mi buccinò d'una taverna del Bavero Orlto, (Borgo Loreto) dove da gran tempo si radunava un gruppo di cantatori. Borgo Loreto: bisogna traversare piazza del Mercato, ingombra dei fantasmi di Corradino, dei Baroni decapitarti, di Masaniello, di Eleonora Pimentel Fonseca, traversare ancora piazza Guglielmo Pepe per vederselo innanzi con la sua larga via nel cui fondo spicca azzurro il Vesuvio. Il colore di quest'-ulti-ma zona della vec cliissima Napoli, dipendenza del grande porto, è orrendo. Anche se veduta di mattino, quando nel sole che precede di poco il mezzodì tutte le cose di questa città fiammeggiano variopinte, le mura, le finestre, i panni che vi son tesi ad asciugare, le botteghe, quasi direi il volto dei suoi abitanti, hanno un colore grigio, plumbeo. E' que sta, dunque, la zona ove in ogni città, di almeno un milione di abitanti ha sede, naturalmente, la Corte dei Mi racoji. Vecchia retorica anche questa! Tuttavia, siccome i tempi migliori han dedicato la prima e più rapida cura all'estirpazione della deliinqniienza, è naturale che il color locale di questo estremo quartiere periferico sopravviva in attesa del piccone. Non si cerca a lungo: una specie di spelonca, che dovrebbe essere una canova di vini s che s'orna del nome di Cantina dell'antico ' Trotta, ospita i cantatori che si dan convegno tra le botti enormi ove fermenta il giovane vino di Solopaca. Qui ho conosciuto Tore o' magliaro ed Eugenio d'Afragola che, fino a quest'ultima contesa, par che siano i migliori rapsodi del canto a figliola. Sono due bravi facchini del porto che, a sera, mentre riposano gli stanchi bicipiti, addestrano i must-oli mnemonici sui più impensabili libri di storici, agiografi, biografi, cronisti. Son essi, dunque, — profondamente stupiti che i loro canti possano destare l'interesse di gente estranea al loro ambiente, — che mi hanno descritto il canto a figliola. Li ho rivisti a Nola, in una contesa che ha mandato in visibilio gli ascoltatori: Tore o' magliaro ha sfidato Eugenio d'Afragola a cantagli vita, virtù e miracoli del diciottesimo abate di Monlevergine. Misericordia! Ecco cantate le gesta di Don Giovanni IV di Taurasi, precisate con una pedanteria degna d'uno storico... sul serio. E' facile intuire che questa tradizione è di schietto sapore greco. Il fatto che durante le invasioni, Napoli e il suo ducato siano rimasti sempre immuni ria contaminazion'i barbariche, il fallo che il Governo greco lasciò posto ai Normanni, quando le conquiste eran fatte du un piccolo numero dì guerrieri e non da una gente capace di influenzare i caratteri etnici, rende questa interpretazione molto attendibile. Il vecchio Tari sosteneva, nientemeno, che il motivo de! canto a fi- lNSrlgcdcgacciclcezSdpcmbdgrm gliola avesse tutti ì caratteri rudnmen tali della nenia greca. In fondo questi canti sono delle vere e proprie rapsodie sopravvissute che il più elevato livello culturale del popolo e le fonti letterarie alle quali è attinta la loro materia, non lasciano amplificare e manipolare dalla fantasia. Molti cantatori, infatti, dispongono di una ricca collezione di libri. Tore o' magliaro ed Eugenio d'Afragola, per esempio, attingono le notizie storiche di Montevergine alle opere di Amato Mastmllo, cronista del Seicento, che essi stessi ricercano dai librai. Son familiari, anche, di uno storico ecclesiastico, il Giordano, del Giansnone e di tutti gli agiografi di santi cari al culto dei napoletani. Ho conosciuto un altro famoso cantatore, CarminieMo, nella bottega dell'antiquario Casella, ove ricercava, appunto, un MastruHo e dava ai commessi molti punti di diligenza e memoria bibliografica. Il ritorno Si discende da Nola nel mattino di lunedi ed è tutta una corsa, sino a Napoli, passando per; Saviano, per Sant'Anastasia, e fermandosi solo a rendere omaggio alla Madonna dell'Arco e a consumare In suo onore un gigantesco banchetto. Poi, a rotta di collo, carichi di panierini di vimini, di fasci di ginestre, di nocciole e di castagne, di immagini sacre, di medaglie benedette, di amuleti, si giunge al Ponte della Maddalena, ove comincia Yarretenata, parola di significato complesso che racchiude, a un tempo, il senso della parata e della corsa. Le carrozze, i finimenti. 1 cavalli, i pellegrini, si spolverano, si lustrano, si compongono per l'ultimo sfoggio, ed ecco sfilare per via dei Granili, innanzi al campanile del Carmine, per via Marina, in Piazza Municipio, per Santa Lucia e, alfine, per la Biviera di Chiaia, gli innumere voli veicoli del pellegrinaggio che il popolo, con unica ed epigrammatica espressione chiama o* Ugnammo (il legname). Quanto poco appropriato, ormai, questo vocabolo! Passano, è vero, le vittorie e le Quadrate piene di maeste e di principali, piene di giovanotti e di ragazze del popolo, passano i biroccini dei cantatori vincitori col loro stendardo verde o rosso, ma passano anche le automobili tetre con pellegrini in berretto, spolverino e lenti nere, le motocarro?:- Die e le motociclette. Tra due ali di popolo danno le ultime luci il giallo, il rosso, il verde delle penne di gallo e di fagiano, il viola del fiori, il bianco degli scialli, il nero dei morelli, l'argento e l'oro delle barde e dei campanelli. Le fanciulle brune, quelle che hanno gli occhi color dell'uliva, guardano teneramente; gli enorrai idoli fasciali di raso, coperti di chincaglieria, persistono nella loro immobilita ieratica; i cantatori masticano sotto il baffo ad uncino o le virgolette alla Hollywood, l'ultimo tosca no o l'iuMima sigaretta, pensosi già del domani. Demoni celebreranno i conti. Grave cerimonia: imbandiranno le mense a PosilHpo, sotto le pergole di quelle ineffabili « soste del dolore », e poi divideranno la spesa: le cifre, il vino, la sconfitta nel canto a fluitola, l'amore potranno richiedere conti d'altra natura. Ed ecco che qualche Carmela o qualche Rosina pagherà con un'ora d'angoscia questi tre giorni d'ebrezza che non sappiamo ancora se attribuire a Cristo o ad Epicuro. Ma che importa?... Haec est illa Neapolls. ALBERTO CONSIGLIO gmTadttvsupgtttdnda