Il Virgilio di Petrarca

Il Virgilio di Petrarca Il Virgilio di Petrarca | ~ conie>rate«orc" chiarì" dietro di 8ò!Con la riproduzione fotografica del codice serbato uolla Biblioteca 'Ambrosiana sin dal 1600; detratto il ventennio della cattività francese di cui porta il marchio; possiamo figurarci che Francesco Petrarca venga tra noi a festegsiaro nel se-,condo millenario il poeta che amava]l'ombra di Danto Alighieri. Tutte duo ispirati da Virgilio hanno auspicato la nuova civiltà italica. Il bello stile prestato a Dante, la sua guida nei regni di oltretomba e l'idea imperialo romana; i carmi pastorali ondo Petrarca rivestiva ideali di patria, religione o arte; la sua Africa emula dell'Eneide, son documenti sufficienti a comprovare il fascino cho esercitò Virgilio su questi grandi intelletti, nel tempo che il popolo italiano era risorto a dignità di vita. Avvicinati ora in tal modo al volume sul quale lo studiava Petrarca, al veder lo cure di cui lo circondava, fondando con esso la sua istituziono letteraria, e come affidava pensieri e ricordi personali allo sue pagine; la nostra fantasia acquista il poterò di rievocare quel mondo. Nulla si sa dei libri di Dante, neppuro che ne possedesse. Il modo come fu iniziata la sua peregrinazione per l'Italia, il saccheggio della sua casa, la guerra, l'indigenza, rendono improbabile che egli salvasse e si portasse dei libri ; per fortuna Virgilio lo aveva tutto in mente. ila del Petrarca se non possiamo affermare cho viaggiasse con questo grosso volume, certo egli dovunque credeva di stabilirsi, l'ebbe presso di se, oggetto costante e strumento necessario di studio, o repertorio di notizie. Di. libri no aveva di ogni sesto, i tascabili, i pigmei da stringere in un pugno, e i giganti, che se gli cadevano addosso potevano quasi storpiarlo; questo ora dei più rispettabili, e richiedeva, per il suo uso, mezzi adatti di scrittoio. Esemplato da buon calligrafo italiano in lettera gotica grande, i versi nel mezzo della pagina, inquadrati nel commento di Servio alle Etjfonlte, alle Georgiche e sii'Elicici e; e ogni canto dell'Eneide preceduto da un sommario in versi attribuito ad Ovidio; e dopo l'Eneide, un altro poema, VAchiUeidc di Stazio, anche commentato; indi alcune odi d'Orazio, e poi un trattato grammaticale e stilistico, provveduto di un altro commento, che vengono ad essere due commentarii a Donato ; le maiuscole rubriche; e da un autore a un altro, bello iniziali in oro e carminio; formano un insieme ricco e decoroso, destinato non a un passcggiero diletto degli occhi, e a decorare una casa principesca, ma a inspirare raccoglimento, nel godimento del più bel tesoro della poesia antica, con i necessari sussidi. Chi ordinò e adunò queste opere giudicava che vi fosse quanto di più eloquente e significativo e austero produsse la latinità, o di maggioro interesse. Per le sorti di essa nel Medio Evo, si offre qualche questione da risolvere. Il commento a Stazio non si sa a cho tempo appartenga, e non si riscontra altrove; quelli a Donato non si conoscono in redazioni precisamente simili. Sia riè in grazia di queste scritture uniche, nò del testo di Virgilio e di Servio, quantunque buoni e corretti, come era da aspettarsi in un codice formato con tanta serietà, è stata fatta la riproduzione fotografica: altri codi ci di capitale importanza meritereb bero la precedenza nel rispetto filo logico. La ragione dunque cho ha consigliato una tale impresa, della quale va data lode a chi l'ha promossa, a chi l'ha assistita e soccorsa in tutti i modi, all'editore che l'ha magnifi camente compiuta, sta tutta nell'uso che di questo libro fece.il suo illustro possessore, Petrarca, rendendolo un'opera singolarissima, cho non si può riprodurre con la stampa; e va conosciuta com'è, per quel che vi mise di proprio, senza pensare alle sue sorti nello mani dei posteri, ingemmandolo di postillo autografe, nei larghi margini; in ogni spazio, e anche tra righe e righe, che con la differenza della lettera ne palesano le vario età e gli stati d'animo; qui sta l'impronta della propria anima, occasionalmente, quasi dispersa, a frammenti, che trovano il loro posto dove si ricompone la sua vita0 s'illustrano lo altre opere in prosa e iu poesia, latino o italiane, su cui la sua celebrità è fondata. Minutissimo spiegazioni allegoriche si vedono profuse nelle interlinee della prima egloga; ma cessano con essa come so il Petrarca fosse preso da stanchezza e diffidenzaLarghissimo campo a considerazioni con piena libertà gli forniva la materia del volume : e percorrendole si può intendere la profonda commozione che così Petrarca come Danto provavano meditando sui versi del poeta latino, trasferendosi nemondo cantato e ritratto da lui, negran popolo antico. Ritrovavano le terre, i monti, lo sorgenti, i laghi1 fiumi, i mari, di tutta Italia, ma • animati da uno stesso spirito congli uomini antichi, operosi a uno stesso fine; un primato italico nemondo; le origini di istituzioni che duravano di nome e di fatto; costatavano l'esistenza di un patrimonio avito che i tardi eredi avevano in parte dilapidato, ma era possibile restaurare solo cho tornassero a regnare quelle virtù, quella caritàquella drittura di mento. E da Virgilio eran condotti a Livio e a Cicerone, a Orazio, a Stazio e a Lucano: e l'eloquenza antica e la poesia rispondevano alla grandezza di quemondo. I due nitori poeti dovevano pensare, con la loro religiosità, chse Dio e la natura e gli astri_ li privilegiavano di un genio particolareera un miracolo eguale a quelli apparsi in antico nei fatti dell'Italia o di Homa, affinchè servisse ai siitidesimo nino di cnviità c gloria della Patria. Non si può intendere in altro modo l'entusiasmo dai due poeti, o la loro opera seria, onesta, luminosa durante quasi un secolo | dalla uoetra storia. a in addietro nessuno pensava mai a questo cose a proposito del codice dell'Ambrosiana, o la sua grande celebrità si dove unicamente , nel !P"mo. foSlio di guardia. Più tardi ,- ]*1'1* ««» relativa a Laura, o l l e o e o a e a . , i n i a l a o a e a i o n e e , , o, n ; ro a a i o se a. ni ae me rel el e i, a n o el he ao n le eà, riaia el no he ie, pia propriamente nel 1795, si vide, scollando la pagina dall'assicella cui era attaccata, che non vi sta sola, ma, con altri ricordi mortuarii, segnati nella parte inferiore della facciata anteriore; e si sostiene dai signori De Nolhac c Hauvette che egli se ne servisse per tenervi registro dei suoi cari morti, del genere degli obituarii delle chiese coi sepolti notati di mano in mano: onde la necessità che viag- dclpsadEscdvsztsppptasLdBlando non lasciasse mai il codice, cOrbene la disposizione dello note mo stra che Petrarca vi fu indotto dal smcaso a un certo momento e non ebbe hmai i proposito di costituirlo. Cin-!]que decessi in ristretto spazio nelidmargine estremo a destra, in ordine jcdi tempo; quattro a sinistra, a lun-!gglle righe, tutte del '61. Non avrcb-ibrepbo cominciato da destra e con quelle angustie di spazio; non avrebbe tralasciato tante persone egualmente caro e morte in quegli anni medesimi. Il momento occasionale fu nella peste del '61. Quando la successione di due morti, suo figlio Giovanni venticinquenne e Luigi da Kempen ultimissimo amico, fece alla tua affaticata se non logora esistenza una piaga inguaribile, egli li notò nel libro che sempre aveva tra mano, in quella pagina dove più su aveva scritto, al solito posto a sinistra, alcune interpretazioni supplementari della prima egloga di Virgilio; e cominciò in basso; li notò non per la morte, ma per la qualità di essa, e delle persone, a pochi giorni di distanza, come un castigo mandatogli personalmente, nel terribile flagello della peste, imminente alla città dove egli si trovava, Milano, imminente anche a lui. Queste sventure gli richiamarono alla mente le precedenti, e le scrisse perciò a destra in margine con la successione cronologica, perche bisognava già intendere come un continuato incalzante ammonimento la morte di cinque amici egualmente carissimi, disgraziata e improvvisa: Paganino da Milano di peste, nel '49, col quale si era trattenuto la sera innanzi sino a tarda ora; Mainardo Accursio che nel '50 recatosi a salutarlo a Parma, ripartì non avendolo trovato, e fu assassinato da malandrini sull'Appennino; anche nel '50 Jacopo da Carrara si gnore di Parma, suo protettore sgozzato da un parente in casa propria; nel '57 Giacomino Bossi cui morte apprese uscendo da S. Ambrogio dove aveva sentito messa; due anni dopo, Bernardo D'Angossoli, del quale non si legge-più come morisse e gliene fosse dato l'annunzio. Egli era atterrito: ingombro spazio disponibile al margine, pose a sinistra una preghiera a Gesù per tutt'e sette: ma altre due morti sopraggiunsero lo stesso anno; di Fi lippo di Vitry, vescovo poeta e musicista a lui caro, e Filippo di f.'abassoles vescovo, amatissimo su tutti ; ed egli soggiunse che erano da raccomandarne non sette, ma nove, s Gesù, e scrisse le due notizie. Il martello del Signore Iddio picchiava senza tregua : e lo strappava dal mondo perchè si rivolgesse tutto a Dio: e assegnò la pagina seguente al necrologio di Laura, colei che più gli era stata cara e la cui morte non era bastata a correggerlo già prima. Su questo libro adunque, che gli aveva dato fiamme di amor patrio e godimenti estetici e incitamenti alla gloria di poeta, vengono a fermarsi per lui questi disperati documenti della caducità e vanità umana, e pel mondo egli non vuole avere più nessun palpito, e sente insieme con -l'amarezza dell'errore la dolcezza della verità conosciuta. Li scriveva per so, non per il pubblico: tanto c vero che la notizia di Filippo Cabassoles risultò falsa, ma la lasciò così. Se le poesie in morte di Laura più cupe e tetre possono riuscir sospette di artificio letterario, questo Petrarca intimo non ammette sospetti ; è il verace Petrarca. Della miniatura, riprodotta moltissime volte, che occupa l'altra facciata del secondo foglio di guardia, hanno discorso più i cultori della storia dell'arte, che non i letterati tutti d'accordo nel vedervi Virgilio e le sue opere; di fronte al poeta, un guerriero romano, che rappresenta Enea; in basso, da un lato un lavoratore attento a purgare un albero dai rami secchi, dall'altro, a destra, un pastore a mungere le pecore. Dagli eruditi del Settecento sino al Muntz e al De Nolhac e a Van Marie, di questi anni, tutti . spiegano a questa marnerà, e non ri-sparmiano critiche così per rinven-zione come por il disegno al lavoro ■di Simone Martini, principe della scuola senese, caro al Petrarca per il ritratto che eseguì di 'Laura. Ma qui è un abbaglio. Coinè mai Enea vestito da guerriero romano? E come può stargli accanto Servio e additargli il poeta tirando la tenda? Una tale confusione di tempi e persone o cose non si poteva commettere sotto gli occhi del Petrarca. E se quei personaggi, significano le opere di Virgilio, perchè si fanno attenti verso di lui, come sorpresi durante le loro faccende? Il significato del quadro vi è dato espressamente da Petrarca, in versi latini rimati, su due cartelli, sostenuti ciascuno da una branca con una coppia di ali, uno sotto alla figura di Virgilio, l'altro a quella di Servio; l'uno dico all'Italia che so essa alimenta illustri poeti, solo Colui l'ha fatta pervenire sin dove arrivarono i Greci; l'altro dichiara quella figura essere Servio che sco pie gli arcani della ardua eloquenza di Virgilio, ai duci, ai pastori e ai coloni. Non può Servio rivelare nulla ad Enea; non ha scritto Virgilio per Enea; non può Servio neanche spiegare l'agricoltura la pastorizia a quelli che La conoscevano meglio di Virgilio. Questi ha scritto di Enea, non per Enea; non per i pastori di Arcadia, ma per la società civile, di cui i diversi ceti corrispondono a quei personaggi: i duci governano e difendono lo Stato; i pastori e i coloni traggono la ricchezza dall'industria e dall'arte. In altri termini, nelle poesie di Virgilio si contenevano, secondo Petrarca, pensieri e sentimenti atti a indurre perfezione nella umanità, in ogni parte di essa, e l'antico commentatore Servio avrebbe inteso appunto a rivelarli. Queste idee egli professa, e queste applica nelle sue opere. L'invenzione del miniatore proviene dunque dai suoi suggerimenti. La cosa 6 tanto evidente che non ha bi sogno di più lunga dimostrazione ; ma per fortuna si aggiunge la paro- ha cfei,in stesso Petrarca "che pbstil !]a,,ldo due versi della prima egloga idove nell'assenza di Titiro si dice jcne i0 invocavano i pini, le fonti e !gji arbusti; spiega che ogni Repubiblica c formata di primati e cavalieri, sapienti e mercanti, agricoltori e meccanici, e bisogna intendere nei pini i primati, nelle fonti i sapienti, otcqlmdsv o negli arbusti gli altri: tutt'e quattro i ceti sono dunque figurati, perchè Virgilio sta per i sapienti. Qualunque cosa si voglia dire su questo quadro, l'azzurro diffuso, ii laureto, la fiorita valle, le candide iresti e le facce bionde dei personaggi, formano un insieme che solleva a rallegra l'animo e lo piega alla meditazione e alla riverenza. Anche del candore e dello aureo biondo traspare il significato, come dei visi rivolti ai Poeta. L'arte pura non ha luogo qui, dove essa servo principalmente a un'idea. Petrarca ne fu coscontento che nel margina inferiore volle mettere due versi anche in onore dell'artista: e scrisse: «Mantova ci dette Virgilio che questo poesie compose, Siena Simone che tali cose colla sua mano dipinse»; dove è fatta proporzione tra Mantova e Siena. Virgilio e Simone. Veramente questo e un monumento venerando della nostra civiltà: e dovrebbe dimostrare che essa non sorgeva come un orpello retorico, ne corno godimento sensuale, nò come infatuazione per una storia tramontata, ma mirava soprattutto alla bontà dell'uomo e della società civile, lavorava a conoscere e perfezionarsi, fidava in Dio o nelle ricchenergie dell'anima italiana, riscattata e risorta di mezzo alla barbarieNICOLA ZINGARELLI.