Vico nel Risorgimento

Vico nel Risorgimento Vico nel Risorgimento E' dato da Giambattista Vico, nella sua polemica con l'Europa e con i cartesiani di Napoli, il primo risentimento del genio nazionale, nell'Italia moderna. Nell'autobiografia e specialmente nella «Scienza Nuova» egli mette a paragone la nostra tradizione, con lo spirito delle giovani nazioni di Europa, che ci rimandavano le materie dell'umanesimo, elaborate dalla filosofia del diritto naturale; ma la sua non è reazione da conservatore e si rivolge a quella animazione, a quei sensi di vita forestiera, vedendo che in essi la fibra dei suoi contemporanei si dissolve sempre più e si spersonalizza, la nazione si allontana da se stessa. Per voler essere troppo cosmopoliti, si finisce con l'annientarsi, mentre è tanto più universale un popolo, quanto ipiù spiccata e profonda è la sua personalità, alla quale, come avviene nell'arte, i! vigore deriva dal particolare. La società e il linguaggio sono creazioni popolari, ma ciascun popolo è destinato a conformarli alla propria natura, secondo il suo modo d'immaginare, e per ciò poggiano e si alimentano nella fantasia, la quale è tutta religiosa in origine, come religiosi e poetici sono in origine il linguaggio e la società. Ed è questo fondamento della fantasia a farci riconoscere natura, nazione e personalità di un popolo. E' possibile annullarsi e decadere indefinitamente, ma non di uscire dal proprio essere, di assumere un carattere improprio, per imitazione o volontà, e qualunque esigenza, sia pure a dettarla la ragione o la necessità, non è cosa vera, non riesce a farci avanzare dì un passo e non possiede, per dirla con Cavour, il tatto del possibile, ove non sia anche il risultato di un processo e insomma il significato di quello che è accaduto e si sta ancora svolgendo. Sicché la verità è niente altro che la mente dei fatti ed è nei fatti che bisogna ritrovarla, mentre è cosa vana e senza frutto di andarla diversamente ricercando. E per ricercarla appunto nei fatti della nostra storia, più religioso di Machiavelli, ma come Machiavelli, Vico muove dalla .-toria repubblicana di Roma e se ne sta a; principi eterni della nostra nazione. 11 maggior significato di quella storia consiste, per Vico, nella comunicazione degli auspici alla plebe. Il senso che i patrizi regnassero per gli auspici, proveniva dagli stessi patrizi che avevano sempre dimostrato il costume di vincere o morire con i propri dei, di vivere o morir liberi: « in pace i Curzj si gitano nelle fosse fatali, in guerra 1 Decj a due a due si cunsagrano per a salvezza degli eserciti n. E' per diritto eroico che i patrizi hanno un'infinita potestà sopra gli altri uomini, ed è guerreggiando » per la libertà civile e per fini veramente magnanimi » che la plebe può riconoscersi di natura eguale al patrizi. Col progredire del linguaggio comune, che è « una gran scuola di far destre e spedite le menti umane », cade pure :a ingua sacra dei patrizi, la plebe « ricredendosi della vanità dell'eroismo ». Diventati i patrizi da forti infingardi, da giusti avari, da magnanimi crudeli, come minuti tiranni, il popolo vuole assicurarsi dalla loro oppressione, e l'antica potestà, fatta ormai tut a repubblicana, passa alle assemblee ed al monarca, e forma la ragione po polare della monarchia, classica e moderna. Cavour, in fatti, la chiamava monarchia repubblicana. in Vico non 6 soltanto il primo ri sentimento del genio nazionale, ma troviamo stabiliti alcuni punti che sono importantissimi per questo, che continuano ad operare dopo di lui e nell'Ottocento diventano fondamenti nazionali del Risorgimento. L'immagine popolare della Nazione, vale a dire la rappresentazione della personalità del popolo italiano, alle soglie della modernità, che Vico ci offre, desumendola anche dalle vestigia della civiltà preromana, come fa nel ite tintiqutsslma. ó uno di quei punti sui quali ritorneranno incessantemente i suoi posteri, da G. M. Galanti a Manzoni. Nel Platone in Italia, Vincenzo Cuoco ci rappresenta la civiltà italica, anteriore alla conquista romana, con quei sentimenti che sono.natura perenne e insostituibile di un popolo. Dar vita, senso, indole, carattere, tradizione e sembiante al popolo italiano è, dopo V. Cuoco, l'occupazione di tuttii gli spiriti dell'Ottocentoda Leopardi a Balbo, a Cavour, In Manzoni vediamo quella rappresentazione determinarsi e avvicinarsi netempo, com'è nei cori, nella storia longobardica, nella materia del romanzo. Inoltre 6 in Vico come il presagio della rivoluzione e troviamo anticipato quel giudizio storico della Rivoluzione francese che in Italia ebbe profonde radici durante il RisorgimentoEgli combatte la già accesa tendenza a voler determinare per via filosofica la riforma moderna della società, e combatte la lllosofla del suo tempo con gli argomenti della storia. Una società non ti riforma altro che da se medesima, con la conoscenza e lo sviluppo del genio e dell'istinto suo. Quando nel '90 i giacobini entreranno a Napoli, e per volere tutto riformare tutto distruggeranno, sarà un discepolo dVico, G. M. Galanti, a notare con tristezza : « ... cosi si v,:de lo spettacolo veramente dignitoso per un Governo provvisorio, di destinarsi a molti cantoni per sua metropoli un bosco, ora una vetta di monte, ora una cappella diruta, ora un'osteria: il che fece ridere tutte le persone ». E scrivendo dCirillo : « E' un medico di talento e di reputazione. Spirito debole ed ignaro di tutte le cose politiche, crede daver sacrificato una fortuna al bene della sua patria e non comprende che la sua patria non esigeva questo sacrificio; che in una rivoluzione il solo mestiere di medico è prezioso ». E dPagano: « ... ha i suoi capricci, le sue idee singolari, crede di bastare lui solo a sostenere la nuo\a repubblica ed ignora perfettamente lo stato delle cose ». Le idee dei giacobini stavano lontano un miglio da quelle degli economisti e politici tradizionali. Questmostravano di comprendere davvero una trasformazione sociale e spesso avevano operato con ardimento. Invece i patrioti giacobini non davano mai nel segno dei bisogni popolari. Presnell'atmosfera della rivoluzione furono incantati e misurarono la capacità dall'ardore, assumendosi a cuor leggero di fondare una repubblica. Però andarono al patibolo con una fede parimenti mistica. I giudizi sulla rivoluzione di Napole di Francia che sono la grandezza deSanalo di Vincenzo Cuoco, aprono, spuò dire, il secolo del Risorgimento, come a terminarlo stanno armonicamente i giudizi di Manzoni, nel suo parallelo fra la Rivoluzione francese del 1"S9 e quella italiana del '59. Ma non si trattò solo di una rivincita delia storia sulla filosofia. La cosa più importante e feconda fu che la storia entrò a far da guida nella politica, a promuovere una tendenza creativa, e non già distruttiva, a selezionare la eterogenea mescolanza complessivamente detta dei 1 Uberai!, in un partito di azione moderato, che non si vantasse tanto di possedere il disegno più perfetto dell'Italia moderna, quanto piuttosto si proponesse di realizzare il nuovo stato di cose, tenuto conto delle condizioni d'Italia e d'Europa di allora Lo spinto vichiano di questa che fu la tendenza risolutiva, già a Milano era operante, ai primi dell'Ottocento, nel memorabile incontro di Manzoni con Vincenzo Cuoco; e poi si allarga nell'atmosfera del tempo, prende glianimi più saldi, si diffonde dalle ope-re di Cavour, dai suoi collaboratori, dalla redaz-.one del suo giornale, e basta ricordare Balbo e Scialoja, sicché prende più grande estensione quel ohe, parlando di Vico. Goethe disse a Filangieri: è bello per un popolo possedere e venerare un tal padre. m. I.