Innocenza

Innocenza Innocenza Verso primavera, Biaai, che lavojava alla strada provinciale, come pnanovale, andò a trovarti sua ma «ire. Era distante, ma contava di farcela in una giornata, a piedi. Invece, verso sera si trovò ancora al di -qua delle montagne, sempre lungo il mare, tra le agavi e i pali del telegrafo che si confondevano. Allora su quella costa che vedeva distesa all'infinito, si assegnò un punto dove fermarsi per la notte: le case sparse sul promontorio, sotto la lanterna del faro. Gli faceva piacere pensare che si sarebbe fermato là; la lanterna già cominciava a tentennare tra accendersi e spegnersi, chiamando invano le navi che filavano illuminate al largo. Sotto la roccia del promontorio le case si acquattavano nella notte, e il bosco di aranci odorava a intermittenza. Quando Biasi vi arrivò, trovò che il droghiere, teneva ancora aperto. A dormire rulla riva del mare faceva ancora eddo, e a sdraiarsi sulla spiaggia rivedevano, le onde spalancate che Éiracciavano. Allora chiese al drofiere di permettergli che si sedesse " accennarono, senza parole, di sì. dette, si appoggiò al banco, la Sta gli si posò sulle braccia, si asopì, t Una candela. Un soldo di tafbàcco. Mezzo litro di vino. Una sigafretta. Chi è questo? Un viandante |itii barone ha venduto l'essenza a dtaeoentocinquanta. Contate il re sto *. Ecco le voci che Biasi sentrif"T* nel sonno, e entrare e uscire, votai' gravi e femminili, e la vicinanza di qualcuno che tentava di ravvisarlo. Più tardi una voce gli disse all'Orecchio: « Si chiude! »; si levò idi scatto, vide una grossa farfalla òhe sbatteva dietro il banco, girando intorno al lumino acceso davanti al l'immagine d'un santo, si trovò sul ila strada stordito e intirizzito dal sonno. Il mare faceva un gran fracasso, e ' come se fosso incatenato, accanendosi contro la luna che lo jfaceva parere altissimo. Gli alberi si 'lasciavano incantare pallidi a quel rumore e chiarore. Sulla strada non i^era, nessuno. Sedetto «u un niuric idolo davanti a una casipola, e vede va in terra l'ombra, netta come un ricamo, di un albero di gaggia che stava davanti alla porta Ora la notte gli pareva una strana stagione d'un sole senza più forza. Guardando meglio, si accorse che la porta della casipola era semiaperta e che qualcuno là dentro tossiva. Vi si accostò. Al suo scalpiccio una voce disse : t Avanti ! ». Egli diede una spinta alla porta ed entrò. Disse : ■ Buonasera. Véramente io non avetyo bussato ». Sotto una lampada appesa al soffitto, una figura femminile stava seduta, avvolta in uno scialle che le copriva la testa, e lasciava intravedere soltanto due occhi neri e fissi, due occhi senza età, gli occhi delle donne del popolo. Égli disse subito il fatto suo: s Se mi lasciate dormire magari in terra, e se permette il padrone. Io posso pagare. Sono in viaggio e vado a trovare mia madre. Sono un operaio ». La donna fece appena un cenno con la testa. Egli aggiunse: « Grazie, se è così mi metto a sedere ». I due occhi neri lo fissavano e sembravano sorridere di un riso involontario e trattenuto, e Quanto è che vi devo? », disse il giovane sedendosi, e faceva tintinnare i .soldi in tasca. « Chiudete la porta — disse la donna. — Chiudete col chiavistello ». Nell'atto di levarsi per chiudere, ella potè misurarlo, agile, magro, con una testa ricciuta, un color vivo e bruciato in viso, dove la prima calugine della barba dava una sofferenza sproporzionata a quell'età. Egli osservava in giro, guardava la coperta distesa a forma di tenda, « che copriva evidentemente un letto. Guardò interrogativamente la donna, e disse: < Allora siete sola.? ». Ella accennò di sì; 61 giovane rimase sovrappensiero. « Io sono un operaio ». Si mise a raccontare come lavoravano alla strada, e tome avevano un capo-squadra cattivo. A un certo punto non s'intese più parlare. Si fera addormentato penosamente, lottando per tenersi seduto. Poi si buttò in terra come un animale; l'idea del cammino percorso gli era addosso, e lo affaticava ancora. Dormiva tenendo il viso con tro il braccio piegato. La donna io guardava e pensava al sonno pesante dei giovani, alle stanchezze felici è leggere. Come se fosse lei a regalare quel riposo, pensava e quasi diceva: € Dormi, dormi ». Il giovane, istintivamente, teneva una mano nella tasca dei soldi. Si sentì bussare alla porta legger Inente. La donna, in piedi sulla sedia, spense il lume, aspettò senza muoversi. Bussavano di nuovo, più forte, e una voce dietro la porta disse: « Apri, Venera! ». Si sentiva anche il rumore d'una comitiva, intorno, un suono di armonica subito soffocato, e risa trattenute. Uno si mise a cantare a squarciagola, accompagnato da un tambu rollo, mentre un altro dava calci alla porta a seconda del ritmo di quel canto. Quel canto diceva: « O fiore amaro, o pecora sperduta ! ». Ride vano. Biasi sentiva tutto questo nel sonno, confusamente. Fuori della porta s'inferocivano, mentre dalle •. case vicine, come da pollai, correva un lungo brontolare e tossire. « A pri, Venera, altrimenti, guai a te » La donna si mise a parlare dietro la porta: « Stasera non posso aprire, andate via, per carità, tornate domani sera ». — « Ora, ora! » si misero a gridare. Ridevano, fischiavano, facevano schioccare baci. « Un momento, lasciatemi dire — replicava la donna. — Ho qui un paren te, quasi un ragazzo, che non r.a niente. Siate buoni, lasciatemi stare, infelice ch'io sono; lasciate stare questa povera orfana ». Le risposero schiamazzando. «Non apro» disse lei rabbiosamente. « Guai a te, Venera » le dicevano. Ma si dispersero. Soltanto uno tornò a supplite* là fuori, e chiamar!» coi nomi fine riesudeLstafaquinsotavala avine mEa ClanocoseststglgrtasebuvadisafrPq«ncace spinucleptDStdUscmcsgtlgtsclcstventBvcrosscsprqdttdnduebm più dolci, con una voce da ragazzo, e si mise a baciare la- porta. « Ti brucerò la porta! » minacciò alla fine. Ma poi non si sentì più nulla, e soltanto il respiro del maro che riempiva ormai la notte e passava sul mondo immerso nella luce fatata della luna. La mattina aveva un colore di festa. Il giovano vedeva la donna affaccendata davanti a un fornello: questa volta aveva la testa avvolta in un fazzoletto azzurro, annodato, sotto il mento, e il suo pallore diventava di uh colore grigio. Egli si trovava, non sapeva come, sul letto: la tenda era sollevata, il sole lucente aveva conficcate le sue lame negli interstizi e nelle fessure della ' porta e della finestra. Non si ricordava come era salito lassù, vestito com'era. E voi dove avete dormito?» — a C'era posto anche per me», rispose la donna. « Avete l'atto tutto un sonno — ella aggiunse — e dormivate come un bambino ». Un gatto si pose seduto sulla coda nel mezzo della stanza e lo guardava. Le pareti della stanza erano coperte qtia e là da fogli di giornali illustrati; una fotografia d'uomo, nel mezzo di un ventaglio formato di cartoline illustrate, sembrava trovarsi davanti a un tribunale e a una condanna. Il giovane vide, accanto a sé,- l'impronta di una testa sul cuscino, e sospettosamente, senza darlo a vedere, si frugò le tasche. Erano idee vaghe. Poi domandò: « Mi è sembrato cho questa notte facessero chiasso». — «Già, suonavano, e portavano serenate alle donne». Ella gli porgeva il caffè in una tazzina dai fiori dorati, che evidentemente era usata di rado, e in qualche grande occasione. Sullo specchio opaco di quel liquido, come in un lago notturno, egli vide per un momento riflesso il suo occhio come un regno profondo. Poi cercava le scarpe. La donna gliele poTse dopo averle lustrate con la cocca del a a a e e a a , a i . o — el i, o, o e r o a oel grembiule, e questo atto' gli ricordava sua madre. Quando si fu levato ella si mise a spazzolarlo. Egli sen- ppztiva andar su e giù quella spazzola, 'gcon un'impressione d'infanzia, e diicquando in quando, tra un colpo e l'altro, sentiva di urtare contro qualche cosa di morbido; lei gli stava vicino a occhi bassi, battendo le ciglia per non esser guardata, mentre compiva diligentemente il suo la- sndvdsvoro. Di nuovo egli si mise la mano Ilin tasca per darsi un contegno: «Co- mme facciamo per questo alloggio? ». IcElla rispose: u Volete sempre pagare, jcNiente, niente. Io sono sola e non ho abisogno di niente. E' carità del pros-!simo». Intanto aveva preso il pettine!e gli ravviava dolcemente i capelli. Vedeva i riccioli stendersi e arrotolarsi di nuovo. «Avete l'innamorata al paese?». — «No, non ne ho». — «Non avete una donna che amate?». — «Non ne ho. Ho da lavorare» rispose serio e giudizioso. Rideva, poi, con due denti grossi come due mandorle. Ella era divenuta brusca, e col pettine gli tirava i capelli, da fargli male. Seguitava a servirlo, gli versò l'acqua nel catino, e aspettava reggendogli l'asciugatoio aperto fra le due mani. Egli disse, asciugandosi: «Ora bisognerà che me ne vada». — « E avete da mangiare per la strada?» — «No, arrivo poco dopo mezzogiorno. Vi ringrazio. Voi siete proprio un angelo del Signore. Mi ricorderò di voi e vi verrò a trovare quando passo da queste parti». Senza dir nulla, ella aveva aperto il fagotto del giovane, sciogliendo con le dita leste i nodi del fazzo- letto, e toccava uno per uno gli oggetti avvolti là dentro, come per rior- dinarli. Poggiò poi una scaletta al.muro, per raggiungere il soffitto do- ve due o tre reticelle appese chiude- vano certe mele rosate. E stando lassù era divenuta loquace? «Ora vi dò* qualche cosa da masticare lungo [il viaggio. Voi siete un ragazzo, sii può dire; e i ragazzi hanno sempre bisogno di mangiare» — «Kagazzo — fece egli punto sul vivo — pa¬ gazzo non tanto. Ho diciotto anni, cosa credete !». La vedeva di sotto in su, con le gonne raccolto fra le ginocchia, e il suo viso lo guardava dall'alto, lontano come so si fosse involato. «Non tenete la scala — ella disse arrossendo vergognosa che la scardasse così —; scostatevi». Ma la scala tentennò a un suo movi mento falso, ella fece un gesto di chi naufraga in aria, mentre i pomi cadevano in terra, riuscì appena ad aggrapparsi a un piuolo, e il giovane !feoe in tempo a raccoglierla fra le braccia. Si era slacciato il fazzoletto turchino che le copriva la testa, venne fuori una chioma castana venata di biondo. Ella corse con le mani alle guance, se lo copriva, e guardava fissa il giovane. «Vi siete fatta male?». Lottando contro di lei le staccò le mani dalle guance, temendo che si fosse fatta male, e vide una cicatrice, appena rimarginata, d'una lunga ferita di taglio che le sfregiava una guancia dall'orecchio al mento, come accade di vedere fra le donne perdute, segnate così come da una condanna. Ella non accennava più a coprirsi, stava davanti a lui come una colpevole, e foise per darsi da fare, dopo un poco, riponeva ordinatamente nel fagotto le mele sparse per terra. Aveva finito. Egli le si accostò, le prese la testa fra le mani, la fissò, posò le labbra sulla cicatrice, la baciò, forte come se chiamasse a testimoniare la luce del sole, e senza ripugnanza. «Siete buono, voi» mormorò la donna. Bussarono .Un giovane, torvo e pallido, entrò, Aspettò che l'ospite uscisse, lo squa drò mentre SI allontanava, sbattè fra gorosamente la porta. Il sole fuori era grandioso e il mare di un az [zurro mattutino, i CORRADO ALVARO.

Persone citate: Biasi, Ilin, Venera