Il Chiostro della Sapienza

Il Chiostro della Sapienza Il Chiostro della Sapienza (Dal nostro inviato) Bobbio (Piacenza), Febbraio. Ancora una volta, a settanladue anni, Colombano si rimise all'opera, col suo inestinguibile ardore. Dei fratelli che l'avevano seguito nell'esilio da Luxeuil, o che l'avevano poi raggiunto durante il lungo peregrinare, irlandesi e franchi, pochi gli restavano intomo; tra questi, l maggiori. Aitala, Bobuleno, Bertulfo. Gli altri, come seminatore la semente, aveva già sparsi per via, a fondare quel conventi che segnerebbero, a grandi tappe, il cammino da lui percorso, attraverso l'Europa occidentale e centrale. Ma neofiti, egli sapeva, non mancherebbero: li avrebbe attratti ben presto, dalle circostanti contrade, per più dilatalo raggio, il nuovo stabilirsi della comunità, Ira questi declinanti monti, cui sovrasta dominando la cima del Penice, al bordo di questa limpida e fresca corrente della Trebbia, che vide, a valle, i loricati legionari di Tiberio Sempronio Longo travolti dal cavalli numidici, maciullati sotto le zampe degli elefanti di Annibale. Colombano ed l fratelli cominciarono ad abbattere, per largo tratto, In foresta centenaria, per sgomberare il terreno e procurarsi materiale da costruzione. E prima provvidero a rialtare la già antica, e in parte rovinala, chiesetta dedicata a San Pietro; poi elevarono in giro un muro di sassi, a segnare il recinto del monastero; e nell'Interno costruirono baracche e capanne, per propria abitazione; e all'esterno, un'altra chiesa, per la popolazione che, come soleva, si. raccoglierebbe a poco a poco intorno al monastero. Se si consideri la pianta di Bobbio, si possono, anche senza eccessivi sforzi di buona volontà, riconoscere nell'odierna cittadina le linee, sommarle di quella originaria planimetria: la chiesa abbaziale, con la sua cripta dove, scendendo, si riconosce il livello antico del pavimento, sottostante all'attuale di circa due metri e mezzo, manifestamente indicato dal pregevole mosaico, figuralo di fantasiose scene guerresche e delle rappresentazioni dei mesi dell'anno, col corrispondenti segni zodiacali, — benché d'assai posteriore alla prima fondazione, parendo fattura, secondo il Toesca, del secolo tredicesimo, o al massimo dell'undicesimo, secondo il Testi; — la chiesa abbaziale dunque determina il sito deila primitiva chiesa interna del monastero, e verlslmilmente della preesistente chiesetta di San Pietro; e la cattedrale diocesana, quello della chiesa esterna al recinto, per la popola- zione, e probabilmente anche l'estremi- tà, da questa banda, dello stesso reciti- lo, che, al lato opposto, doveva salire, per evidenti ragioni di sicurezza, fino al paggetto, dove poi i Malaspina ercssero il loro castello, il cui quadrato torrione ancora oggi sovrasta. L'orso aggiogato all'aratro E cominciò la vita del convento. Colombano e l fratelli, secondo l'uso e la regola, venivano quotidianamente alternando il lavoro manuale e lo studio alle preghiere e alla meditazione. Per sue meditazioni, Colombano si appartava in qualche grotta, di quelle che s'aprono nel fianco del monte; c due se n'additano, ch'egli avrebbe prediletto, di erto e malsicuro accesso tra strapiombar di rocce. Come lavoro manuale, si dedicava alla coltivazione. I primi solchi di campo, che scavarono queste pendici, allora selvagge, certamente furon fatica sua. La leggenda narra che un giorno, che egli aveva brevemente abbandonato l'aratro, con aggiogati due buoi, quando tornò, trovò che un orso, sbucato dalla macchia, aveva ucciso e slava divorandosene uno. Egli gli andò corrucciato incontro; e poiché non era nelle caratteristiche della sua santità la mitezza soave che contraddistinguerà circa sei secoli dopo. San Francesco, non lo chiamò d'un subito — frate — come quegli il lupo d'Agobblo, nè gli rivolse amiche parole; ma afferrato il randello, prima gli pettinò il pelo a dovere; poi lo costrinse a lasciarsi aggiogare, in luogo del bue, che quello s'era mangialo. E da allora arò cosi, accoppiati al giogo l'orso e il bue: com'è anche raffiguralo nel bassorilievo di marmo, della testata del sarcofago che racchiude l'ossa venerate, nella cripta della chiesa; semplicemente con la variante che qui un contadino regge l'aratro, e il Santo sta davanti. E chi penetri il velame leggendario, comprende agevolmente la significazione allegorica: che Colombano e suoi monaci rldus sera la gente selvatica del luogo a miglior costume, educandola nell'opera agreste. Ma il Diavolo non la smetteva. E riuscitegli vane tutte sona d'insidie contro quel sempre vigile avversarlo, oramai scaltrito nella lotta incessante e impenetrabilmente armato, si appigliò alla violenza bruta. E appostato uno de' suol sergenti da queltangusta e tortuosa stretta che la valle fa poco sotto la confluenza del Bobbio con la Trebbia, e rhe ora ha nome di. Ponte Barbarino, perchè spiasse quando Colombano, avviato a qualcuno de' suoi recessi di meditazione, passerebbe di là; si preparò in agguato, dietro un colossale ammasso di rocciont. a mezza costa del monte. Colombano s'incamminava; il diabolico sergente avvisò il momento che gli parve, per il segnale convenuto; e il Diavolo, giùcon uno scrollone, scagliò giù, lutto un rovinio catastrofico di macigni, che deSanto non resterebbe nemmeno un briciolo. Sennonché, o avesse il tirapiedsbaglialo'Il tempo del cenno, o sbagliasse il padrone nella mira, la valanga del maclgiii passò davanti a Colombano, senza che neppure una plelruzza lo sfiorasse; e s'abbattè invece, in pieno, sull'altro diavolo, e lo seppellì intero, massacrandolo, che non ne rimase fuori, a suo maggiore strazio, che, con le corna, il ceffo, spasmodicamente anch' esso, indi sùbitofatto pietra. Come si scorge ancor oggnella negreggìantc roccia serpentinosalà dove precipita, rotta e sconvoltasulla Trebbia, c fa più tortuosa e angusta la stretta di l'onte Barpartno. Il Ponte del Diavolo Si dà frequentemente, a furia di combattere con un nemico, che quel trovarsi ili continuo a fronte, quel colmane industriarsi, se pur contrappostonel menar colpi mancini, a, se pur contrapposto, quell'arrischiare e putire in comune, venga stabilerulo. tra due avversari, una quale rispondenza di spiriti, nonché di tattica, certa affinità, nella discordia, di avviamente di mezzi. Cosi fu che Colombano sperimentò luì stesso, una volta, contro il Diavolo, l'imbroglio. Già si su: a corsaro, corsaro e mezzo — la volta almeno, che basti a prendere il corsaro in trappola. Quésta corrente della Trebbia, che fluisce e si spande in molteplici rami per l'ampio greto dbianche ghiaie, impediva a Colombano di comunicare con l'altra riva, di estendere l'opera sua, di catechizzatore e soccorritore, alla gente di quei monti di là, dì richiamarla anch'essa alla sua chiesa, a conoscere e adorare ivero- Dio, non idoli e mostri. Ma comeprivo del materiale e della manodopera idonei, come gettare il ponte, che occorrerebbe, e così grandioso e cosi solido, quale la larghezza del fiume e l'impeto delle acque comporterebbero? E' strano: la potenza del Diavolo riesce invece a superare strepitose difficoltà materiali, che nessun Santo carriverebbe mai. (Ma qui, anzi^ è la sostanza della guerra: che lui * la materialità della potenza, e la santità significa invece potenza dello spirito: lui. Materia, re della materia; mentre il santo, luogotenente di Dio, ch'i ìVUr0 spirito, ha suo dominio e virtù dello spirilo). E San Colombano, un bel giorno, chiamò il Diavolo; che gli venne innanzi, e se ne stette, tra ti beffardo e il sospettoso, tra il sornione e10 spavaldo. Che dissero? I particolari restano oscuri, Fatto si è che contrattarono: il Diavolo avrebbe costruito il ponte, quella notte stessa; e San Colombano, all'alba seguente, gli avrebbe ceduta in cambio, senza contestazione, l'anima del primo che passerebbe il ponte. Bujo d'inferno, notte di tempesta Urla il vento, scroscia la pioggia. Il fiume romba In piena. Al balenare livido del lampi, chi. dall'una sponda e dall'altra, e attraverso la Trebbia, vide le torme di Belzebù ni travaglio? Un poeta, ch'io sappia: quel Valente Faustina di cui Piacenza va giustamente orgogliosa, sicché gli appresta marmi e bronzi d'un monumento; e che, per aver cantalo in vernacolo, ha tanto più fama provinciale, e tanto meno nazionale, cui pure meriterebbe. Ma come si fa, con questo dialetto, che si direbbe autentico longobaraico? Eppure in sua rudezza, cosi sonoramente efficace; e se in bocca a una di queste altere batòse, che il poeta ha specialmente celebrato — «... dritta, galante e seria... nassì paT fàs guarda... » — stranamente anche armonioso- Il poeta, dicevo, ha descritto con briosa vivezza la notturna tregenda, quale si legge nel libro postumo delle Poesie, dell'opera satanica del ponte; e come riuscì cosi disforme, distorme davvero diabolicamente, con gli undici archi di cui non uno s'accompagna all'altro, e questo alto e quello basso, e questo squincio di qua e quello di traverso per là; e la strada sopra, incassata tra i due muretti disuguali, che sale e scende, che va a zig-zag... DI ponti del Diavolo, n'hai a trovare, per il mondo,- ma dacché è mondo, un ponte come questo, che proprio spicchi che non può essere stato architettato e compiuto da nessuno, che dal Diavolo in persona, non se n'è avuta notizia mai. All'alba, che insieme con le tenebre dileguava la tempesta, l'opera, o bella o brutta che si fosse, carutleristicu certo, era terminata. E i diavolicchi massoni scapparmi via, comecché di razza che abborrono dalla luce del qlorno, quasi come dall'acquasanta; e 11 gran Diavolo, asciugandosi il sudore della fronte, data ancora un'occhiata al suo capolavoro, e fregandosi soddisfatto le mani, si rifugiò sotto uno di quegli archi sghembi, in attesa della preda, della prima- anima che passerebbe di sopra. Ed ceco t cniic Sun Colombano con un gran pine sott'll brac-ciò, e accompagnalo dui suo orso, Co/M distintivo: bobio so che gli era divenuto fido compagnoQuando fu in co' del ponte, guardò chtutto fosse costrutto a dovere; poi trasse un doloroso sospiro, e, chinatosibaciò replicatamele l'orso sul musoQuello, contento e imbaldanzito, glballava intorno, gli faceva festa a suo modo. E San Colombano, risollevatosilanciò il pane all'altro capo del pontegridando all'orso: — To'. — E quelloche non aspettava altro, di corsa peIl ponte. Il Diavolo, di sotto, senti la pesta.- e saltò fuori, per ghermire l'anima: gettò un ringhio di rabbia, abbrancò furiosamente l'orso, e precipitò con quello in una vomitine, che improvvisamente, eruttando pecioso fumo e zolfo incandescente, s'aperse negreto, e subito si richiuse. Nè vale che il solito scettico obbietti che II ponte di Bobbio, per diavolesco che paia, non rimonta oltre iSeicento, in parte, e in parte non oltreforse, il Quattrocento. La gran novitàE la diavoleria consiste ancora in ciòche sarebbe stato, anche dagli uominirifatto sempre aTlo stesso modo; che gli uomini, come capita il più delle volte, hanno copiato dal Diavolo, appuntino; mentre sotto il pelo dell'acquesi vedono l resti dell'altro ponte, il precedente, e a certo punto anche emergono. Nemmeno questi risultan cosantichi, che si possa farli risalire a quel tempo che San Colombano combatteva col Diavolo! Ebbene, cercate sotto ancora, se vi riesce, sotto, sotto l'acque ancora... La leggenda non è ch'i ombra del vero. Il vero è che Colombano arò con l'orso, costruì coDiavolo: compì cioè, al principio desettimo secolo. Il miracolo di trasformare questi montanari e i predoni vagabondi della regione, gli uni selvatici, come dicevo, proprio parimentad orsi, feroci quasi diavoli gii altridi trasformarli in agricoltori ed in operai.- Faro intellettuale del mondo Poco più d'un anno ch'era giunto Bobbio, e aveva laudato il Monastero, Colombano mori — l'anno, scomputa, 615. Ma l'opera, oramai era avviata: opera immane e fulgidissimdi civiltà. Fuor d'ogni leggenda, che lfantasia popolare abbia creata e tramandala, restano due incontestabilsupremi vanti — del monaci di San Colombano, come di quelli di San Benedetto, con cui indi si fusero, accogliendone quella regola, perfetta di equilibrio, di saggezza, di bontà, umanissima norma di vita e sublime: — duvanti Incomparabilmente maggiori migliori di quelli che la storia attribuisca a qualunque conquistatore o fondatore di regni. E l'uno è di avere prima elevato in dignità il lavoro, con l'esercizio attivo di esso, posto tra i capisaldi della regola, il lavoro manuale l'artigianato, giù spregiati nel mondo pagano, come esclusiva attribuzione dschiavi, e spregiati non meno nell'alto Medioevo: avere considerato, e con la propaganda e con il costante e più edificativo esempio. Indotto prima l'o stile società a considerare II lavoro do vere comune, missione sociale, ancopiù. elemento di decoro; avere con ferito al lavoro, veramente, con quasun sacro carattere di rito, un prestigio gentile, e al lavoratore, contadino o artiere, quasi una patente di nobiltà Ed era bene un monaco colombaniano quell'Ermenfrldo, nato di famiglia franca principesca, eletto Abate di Cusunce, che, nell'atto che distribuiva il pane eucaristico al fedeli, se vedeva la mano callosa d'un lavoratoresi chinava a baciargliela umilmenteL'altro vanto dei Colombaniani e Benedettini è di avere salvato; come accennavo nell'altra mia lettera, dalla barbarie del secolo, da irrimediabile dispersione e perdila, i documenti della filosofia e della poesia antica, il meglio della letteratura latina, un inestimabile, incomparabile tesoro di cultura e di bellezza. E per questo riguardo, a questo monastero di Bobbio spetta posto di prlm'ordlne, nella reverente nostra riconoscenza; come a buon diritto gli spettò il titolo, di cugià andava insignito, di sedes sapientiae. Tra tutti, questo fu veramenteper eccellenza, il chiostro della sapienza; e nel Medioevo, e più precisamente intorno al Mille, costituì ipiù luminoso furo di luce intellettuale nel mondo. Generazioni e generaziondi monaci dotti e zelanti si susseguirono qui, intenti a raccogliere, a copiare libri, a distillare la quintessenza dello scibile, a preservare II fiore del l'arie, a tutelare e ad acerzscrere ipatrimonio ideale, da ritrasmettere all'età venture. Non è stxidtoso degno dquesto nome, in nessuno del secolsuccessivi, che non abbia avuto a valersi, che abbia potuto esimersi davalersi dell'opera dei monaci bob blensi, che non abbia derivato da que sta, direttamente o indirettamentequalche fondamento, qualche elemento sostanziale de' propri studi. Il filologolo storico, il teologo, riconoscono comeuna garanzia di perfezione, uni marcaeditoriale che ispira completa fiduciac commossa ammirazione, in marginedella pergamena dei codici, Cex-llbrisliber seti coluiiibani de Ma che pena, oggi, che tristezza e desolazione!... Flaubert, mi pare, disse già: » La terre a des limites, mais la bètise humaine est inflnie ». Ora, questa bestialità, volendo erigersi adeguato monumento, se l'è inalzato qua in Bobbio, nella dis lersione, nella rovina, nel fare deserto di ciò che fu il ben più che millenario monastero di San Colombano. Quando « nuovi massaggi e nuovi messaggeri » sopravvennero qua di Francia, e dopo avere scritto sui. muri, coi carbone, il fatidico trinomio della Libertu-Eguauliansa-Frutemila, bivaccarono nel chiostro, mentre sulla piazza vescovile si rizzava l'Albero della Libertà, e un po' di plebaglia avvinazzata si sbizzarriva oscenamente intorno; poi, soppresso il convento, depredato e saccheggiato e devastato ogni locale dei monastero, e infine confiscato tutto; l'ultimo residuo della mirifica biblioteca, di San Colombano — centoventun manoscritti, più di cento cartelle d'archivio — tutto tu venduto all'asta per lire 53 — si dicono chiquuntalre lire — più lire 2, per tassa d'iscrizione. Era addi 23 Floreale del 1803. L'ignoranza e la turpitudine amano prendersi di queste rivincile, contro l'aristocrazia dell'intelligenza, e della bellezza. Fortunatamente, essendoché il monastero era cominciato a decadere, lentamente, progressivamente, sin dal Duecento, già la maggior parie dei più preziosi codici — di cui il Muratori nel. 17H, aveva compilato un catalogo di circa settecento, che avevano arricchito la biblioteca tra il nono secolo e il decimo, — la maggior parie del codici era stata successivamente porlata via, ed era andata sudilivtsa in altre biblioteche. Così, nel 1471, Pomponio Leto aveva, per cominciare, asportalo il celebre codice vergiliano, scritto prima del 493, e che prese poi nome di Mediceo, e si conserva alla Laurenziana. Poi un discreto bottino, per conto dei Visconti, l'aveva fatto nel 1403, l'amanuense Giorgio Galbiati. Indi i « bracconieri di codici » s'erano susseguiti con impressionante frequenza e crescente avidità; e. se n'avvantaggiarono le biblioteche di Firenze, di Wotfenbuettel, di Napoli, di Vienna, dell'Escurlale, di Parigi, di Oxford, di Cambridge. P.n fu il carditi inai e Federigo Borromeo, che, nel 160C. acquistò per la sua Ambrosiana settantatre codici di rilevantissima importanza. E qualche anno dopo, Paolo V richiede per la Vaticana altri verirlotto volumi. Fu tra questi che, verso il 1820, il nuovo bibliotecario della Vaticana, Angelo Mai, scopriva, in un codice riscritto, i libri di Cicerone De Republica; e il Leopardi fremeva di entusiasmo, e gli scriveva quell'accesa lettera: » ... Ella è proprio un miracolo di mille cose, d'Ingegno, di gusto, di dottrina, di diligenza, di studio infaticato, di fortuna tutta nuova ed unica... ». E gl'indirizzava la canzone, » Ilalo ardito, a che giammai non posi — Di svegliar dalle tombe — I nostri padri?... ». Un documento rintracciato da Pio XI A riparare in parte allo scempio delle soldatesche napoleoniche, di ciò che era tuttavia qua rimasto, a Bobbio, il conte Prospero Balbo, in quello slesso 1820 che si divulgò la notizia del palinsesto ciceroniano, incaricava l'abate Amedeo Pegron, di adoperarsi a rintracciare i codici allora venduti a quella cotale asta, e lo forniva dei necessari mezzi. Così poterono essere recuperati, di quelli, ancora una sessantina di manoscritti, che andarono ad accrescere, alla Nazionale di Torino, il patrimonio di codici bobbicnsi, già donato alla biblioteca da Carlo Emanuele l. Ma a questi era attaccata evidentemente una iettatura: e andarono in molta parte distrulli, nel doloroso incendio del 1904. L'attuale Prevosto di San Colombano, don Stefano Bebollni, mi mostra la miseria superstite di tanto splendore. Oggi, nel monastero, sono malamente insediati uffici, scuole; e prima c'era anche U Tribunale, e con annesse le carceri: e il chiostro appare vandalicamente rovinato da sovrapposte opere murarle, che ne occludono, da due lati, i porticati e il loggiato, mentre un lato è stato abbattuto; il refettorio, con un mediocre affresco blsantlneggiante, è adattato' a palestra, la chiesa « sfata ridipinta con un pessimo gusto, davvero angoscioso... E sotto, nella cripta, sotto il nuovo altare basilicale, offerto dagl'Irlandesi, e comucrato, il li Decembrc '911, dall'Arcivescovo di Armagh e Primate di Irlanda, il Cardinale Michele Logue, sono raccolte, presso il sarcofago di San Colombano — « quasi flores corani Patre virentes » — le ossa di venti santi bobbiettsi: che tanti, e più, ne contò nei secoli il monastero. — E sa — mi dice don Bebollni — chi rintracciò il documento della ven lattico del 23 Floreale? Sua Santità Pio XI, quando era il monsignor Butti, Prefetto dell'Ambrosiana : che sostò ouU Ml im c dìliUenlemente ricercò e riordinò l'archivio vescovile; e scrisse jì0l appunto. Le ultimo vicende delia biblioteca e dell'archivio di San Co lombano. MARIO BASSI. dila ali asta della btblioleca. l'atto au- \ ■é