Il carbone

Il carbone Il carbone Questo primo mese del 1930 è contrassegnato da una fioritura di riunioni internazionali. Si discute all'Aja 6ulla liquidazione dei problemi lasciati in eredità dalla guerra, si discute a Ginevra al Consiglio della Società delle Nazioni tutta una serie di questioni sospese da tempo, da quella dei mandati a quella della tregua doganale, si inizieranno a giorni le discussioni di Londra sul disarmo navale. E' tutto un pellegrinaggio di uomini politici di primo piano, di grandi finanzieri, di eminenti periti militari e navali dall'una all'altra capitale, pellegrinaggio accompagnato da polemiche giornalistiche in cui le cose sono sovente dette molto più chiaramente e realisticamente di quanto non avviene o non avverrà nelle riunioni ufficiali. Queste adunanze, che hanno tutte uno sfondo politico, lasciano passare in secondo piano una Conferenza che più modestamente si chiama tecnica e che quasi senza far parlare di sè si tiene da quindici giorni a Ginevra. E' la Conferenza sul problema del carbone, un problema che interessa in sommo grado anche noi, paese consumatore e importatore di combustibile. Le origini sue risalgono all'ultima assemblea della Società delle Nazioni, dove la situazione dell'industria '^carbonifera europea fu ancora og: 1getto di dibattiti e motivo di richiedeste di interessamento da parte di alcune nazioni produttrici. La discussione si chiuse con l'approvazione di un ordine del giorno del ministro inglese, Graham in cui l'assemblea invitava i vari organiEmi della Società delle Nazioni, ciascuno nella sua competenza, ad esaminare le difficoltà dell'industria carbonifera', specialmente per le fluttuazioni dei prezzi e per lo squilibrio che esiste fra la produzione e 1 bisogni del consumo. Proponeva perciò di affrettare 1 lavori del «Bureau International du Travail» per Tendere possibile una convenzione internazionale che stabilisse'uniformi condizioni di lavoro nei vari paesi e raccomandava al Consiglio di riunire i Governi interessati per esami* r.are gli altri lati della questione. Ora, di questi giorni, si è riunita a Ginevra la Conferenza tecnica in cui Governi, industriali e operai dei paesi interessati (leggi: del paesi produttori) cercano di mettersi d'accordo per formulare una serie di proposte allo scopo di regolare internazionalmente il lavoro nelle miniere di carbone. Il modo, la forma e la procedura per cui si è giunti a questo, fanno sorgere tutta una serie di osservazioni e di considerazioni sulla politica economica e sociale e sugli atteggiamenti del « Bureau International du Travail » il quale tende a subire sempre più l'influenza dell'economia di alcune grandi Nazioni. Del resto, questo caso non costituisce la sola manifestazione dell'indirizzo fattivo che il « Bureau » viene accentuando; altri casi recenti sono quelli che si riferiscono all'Inchiesta sulle industrie tessili e alla questione del lavoro nelle vetrerie meccaniche. Ma l'esame di tale tendenza ci porterebbe oggi troppo lontano. Limitiamoci alla questione del carbone, che è poi questione della crisi nell'industria del carbone. Questa crisi si è. venuta determinando nel dopoguerra Prima del 1914 la produzione mondiale del carbone si era stabilizzata in una cifra che può calcolarsi in 1200 milioni di tonnellate. La metà di tale quantitativo era prodotta in Europa e un sesto veniva esportato. La guerra portò un primo colpo a una situazione di equilibrio che si era formata in un lungo volgere di anni. Il commercio di esportazione del carbone subì tutta una serie di ostacoli che ne impedirono non solo lo sviluppo, ma anche la regolare continuazione. Avvenne allora che i Paesi importatori furono costretti a sviluppare le loro risorse minerarie e a far ricorso ad altre specie di combustibili o di energia motrice. Finita la guerra, nel 1919 e nel 1020, il prezzo del carbone sali ad altezze fantastiche. I Paesi esportatori approfittarono in pieno di questa situazione; qualcuno, come l'Inghilterra, se ne valse anzi per stabilire una sopratassa sull'esportazione del carbone che costò parecchio anche all'Italia. La conseguenza di questi due ordini di fatti fu che negli, ultimi quindici anni si verificarono progressi assai rapidi in tutti i metodi diretti ad economizzare le calorie, in tutti i «sterni rivolti a ottenere dalla combustione del carbone il massimo di energia, in tutte le ricerche ten denti allo sfruttamento più largo e più razionale sia delle forze ldrau Itene, sia di altri combustibili al 1* infuori del carbone, specialmente della lignite. Contemporaneamente le applicazioni sempre più vaste dei motori a olio pesante o a benzina contribuivano a produrre una depressione nella richiesta di carbone. Alcune cifre sono istruttive. Oggi 11 38 % della navi mercantili utilizzano come combustibile l'olio minerale, mentre nel 1914 la proporzione era solo del 3,4 %. Lo sviluppo dell'energia idroelettrica in Italia corrisponde a un consumo di circa nove milioni di tonnellate di carbone. In America la proporzione di energia motrice, derivata dal carbone, è di¬ ecgcnnnmzsnsczeaBpddqsfiisapsvucldfstilmdenscibcfspcndduds a o e e e i a . 1 e e n a ¬ minuita dall'84 al 64 %; in Germania si calcola che i mètodi scientifici di combustione hanno portato a una economia del 10 % nei quantitativi consumati. Tutto ciò ha avuto come conseguenza che il consumo mondiale del carbone e rimasto su per giù stazionario; nei 15 anni dal 1913 al 1928 non è cresciuto che del 3,3 %, cioè nella stessa proporzione in cui prima aumentava in un solo anno. Ma se il consumo rimaneva stazionario, la capacità di produzione s: era invece nello stesso quindicennio sviluppata assai : sia per la messa in valore di nuovi giacimenti di cui la guerra aveva costretto a iniziare lo sfruttamento, sia per i più efficienti mezzi di estrazione dovuti al progresso meccanico e scientifico. Basti ricordare che in Olanda la produzione del carbone è aumentata di cinque volte, quella della Spagna del 50 %, quella dell'India del 30 %, quella del Giappone del 46 %.- Da questa situazione derivò la crisi carbonifera del 1927-28 quando, finite le conseguenze dello sciopero inglese e rifatte le scorte, le richieste del consumo ripresero il loro andamento normale e la febbre di produzione, che era derivata dalla sospensione del lavoro nelle miniere, venne a cessare. Ora questa crisi era specialmente una crisi inglese. E' V Inghilterra che ha subito la ripercussione dell'aumento delle capacità mondiali della produzione del carbone: sola fra tutte le Nazioni produttrici, essa non ha più raggiunto il quantitativo di produzione del 1913: erano in quell'anno 292 milioni di tonnellate; raggiungevano nel 1928 I 244 milioni. Si comprende quindi come da parte inglese si sia spinto a un esame internazionale della situazione dell* industria carboniera, nella speranza di trovare il rimedio a una condizione di cose di cui essa soffre in modo speciale. Senonchè la via scelta non sembra la migliore. E soprattutto non corrisponde all' attuale realtà dei fatti. Possiamo dire che esiste In questo momento una situazione- di depressione nell'industria mondiale del carbone? Noi crediamo che no. L'anno 1929 è stato contrassegnato da due fatti: da un movimento ascendente nel consumo del carbone e da un movimento parallelo nel livello dei prezzi. Noi abbiamo ancora a nostra disposizione statistiche complete per l'anno decorso; da quelle conosciute sappiamo che il consumo di carbone è aumentato di circa dieci milioni di tonnellate in Francia, di quattro milioni nel Belgio; anche la Germania ha visto diminuire i suoi stock, ed è opinione comune che se quest'anno si fosse verificato il freddo, in modo così intenso e prolungato come lo scorso anno, vi sarebbe stato un principio di carestia di carbone. Si ha così l'impressione che il margine che esisteva fra capacità di produzione e capacità di consumo era determinato più dal periodo di assestamento verificatosi nell'economia europea nel dopo-guerra che da una congenita e permanente situazione di squilìbrio. In ogni ramo di produzione possono esistere questi sfasamenti; e 6i sono difatti verificati volta a volta nel cotone, nello zucchero, nel grano, nello stagno, nello zinco, nella gomma, nella lana, per cui a periodi di sovrabbondanza succedono periodi di carestia con relative variazioni di prezzi. Ma quando queste oscillazioni nella produzione e nel consumo non hanno che una durata o un'intensità o una estensione relative, non può parlarsi di crisi, ma di semplici adattamenti a condizioni transeunti di economia di mercati e di consumi. Cosi è, dunque, anche per l'industria del carbone: e se l'Inghilterra, guardando la sua situazione e non quella mondiale, ancora nello scorso settembre ha voluto portare dinanzi alla Società delle Nazioni il problema del carbone, può anche avvenire che il gioco si rivolga contro di essa. In sostanza se il carbone subisce la concorrenza di altri combustibili o di altre forze di energia motrice, il suo uso non può mantentrsi nè estendersi se non riesce a dare risultati economici più vantaggiosi dei suoi succedanei, almeno negli impieghi in cui la sostituzione è possibile come Io è per esempio nella produzione di calorie o di forza. Più il carbone costa caro, e maggiore 6 la probabilità dell'impiego di altre materie o di altri sistemi. Questo principio non è solo vero in genere; si applica anche fra i produttori di carbone ed è la ragione per cui la Germania e altri Paesi che producono a costo più basso vanno sostituendo il loro carbone a quello inglese sul mercati In cui questo era una volta padrone assoluto. Ora è evidente che l'Inghilterra spera che, attraverso la Società delle Nazioni, possa trovar modo o di riservare alla sua produzione la possibilità di determinati sbocchi attraverso la divisione concordata di mercati, o di far aumentare il costo di produzione presso i suoi concorrenti, specialmente attraverso l'uniformità delle condizioni di lavoro degli operai. Per ora al « Bureau International du Travail » essa tenta questa seconda via: essa tende evidentemente a rendere il più possibile uguali ai suoi il livello dei salari e la durata del lavoro per i minatori delle altre nazioni produttrici. ]Ma è a chiedersi se questo scopo if4& attenuto e se risponda afletti- vqafdsNflztedggngptsmm vamente all'interesse inglese e a quello europeo. Intanto tutto ciò che aumenterà il costo del carbone influirà certamente sulla diminuzione del consumo, cioè porterà a risultati diversi da quelli proposti. Ma, in secondo luogo, è da chiedersi se le Nazioni che sono in condizioni più favorevoli sono disposte a seguire l'Inghilterra. Intanto alla Conferenza tecnica hanno rifiutato di discutere di salari e si sono limitate ad esaminare la questione della durata del lavoro. Ora in questa materia gli orari inglesi sono fra i più lunghi di quelli in vigore. Ogni riduzione ulteriore diminuirebbe il vantaggio per i produttori inglesi, cioè peggiorerebbe invece che migliorare la situazione dell'industria britannica e otterrebbe lo scopo perfettamente contrario a quello desiderato. Tutto ciò non avrebbe importanza per noi, se non fossimo un paese consumatore, il quale non può assistere indifferente a questi tentativi, che possono avere il risultato di rincarare uno dei combustibili fondamentali alla sua vita produttiva. Se finora gli Stati produttori discutono fra di essi in una Conferenza tecnica, verrà presto il giorno in cui il Consiglio prima, la Conferenza del «Bureau» poi, dovranno occuparsi della questione e dire se intendono o meno approvare ciò che gli interessati hanno fatto. I rappresentanti dell'Italia avranno in quella sede occasione di esprimere il loro pensiero il quale certamente sarà condiviso da quei Paesi per cui non può restare senza conseguenze quella specifica politica societaria delle materie prime di cui il problema del carbone non costituisce che l'episodio iniziale. E' vero che l'America rimane anche questa volta fuori di ogni intesa, e può quindi fare un po' da calmiere alle velleità di monopoli! europei, ma ciò non toglie che non è male vigilare. GINO OLIVETTI.

Persone citate: Gino Olivetti