Giuditta in povertà

Giuditta in povertà Giuditta in povertà 1 primi anni di amicizia con la po vera gente furono di pianto, di sof ferenza e di pena per Giuditta che di improvviso aveva lasciato la famiglia per vivere nella miseria. Si poteva dire allora una bambina; non solo era gracile e piccola, ma non aveva compiuto nemmeno quindici anni. Entrata da umile soldato nell'Ocra di Filantropia, dopo pochi mesi era già caporale. Non aveva voluto uniforme di lana ma di cotone, non scarpe ma sandali. Cinque anni visse fra le carceri, gli ospedali, le strade ; distinguendosi fra le compagne per il suo singolare spirito di sacrificio; fin che raggiunse il grado di capitano, e si ammalò. Quando riprese a lavorare per i poveri, i suoi nervi erano ancóra deboli, e comprese che per non soccombere a un più forte esaurimento, bisognava distribuire le proprie energie con parsimonia. L'esperienza gli aveva insegnato a non piangere più a non soffrire dei mali altrui, a difendersi da ogni debolezza, a vincere gli sconforti. Cominciò a preoccuparsi della nutrizione, del sonno; a evitare le fatiche; a preservarsi dal freddo e dal caldo. Si trincerò nel gabinetto da lavoro, limitandosi a dar ordini, a prendere misure, sulla carta o per telefono. Prese la parola in una seduta del Consiglio Superiore, presentando un ordine del giorno che fu respinto. Si staccò dall'Opera di Filantropia, e la stessa sera fondò il Regno dei Poveri. Giuditta voleva organizzare i derelitti della metropoli, valendosi di un programma moderno, con i mezzi identici a quelli dei ricchi. Aveva detto che in dieci milioni di cittadini un quinto di deboli avrebbe dovuto avere il suo peso nella bilancia della giustizia. Per ciò bisognava mettere questo esercito inerme nelle condizioni di poter reagire ai forti e, possibilmente, pigliarne il posto. Sognava un ordine sociale dei metfdicanti, parallelo alle conquiste della scienza e figlio del progresso. Non era più il tempo, secondo la sua teoria, di una sopravvivenza di derelitti nell'epoca della perfezione meccanica; e si stupiva come mai il cervello dell'uomo, divenuto, nel nostro secolo, una antenna di meraviglie, non avesse ancora deciso di sradicare dalla terra la miseria. Se il mondo è bello, se la vita è bella, non altrettanto si può dire dell'interno di molle case ove creature degradate si nascondono fra letame. Se l'uomo ha lavorato cinquant'anni per dare la più veloce, la più perfetta, la più ricca, la più estetica macchina da corsa, dovrebbe per lo stesso motivo usare la sua intelligenza a favore di una migliore umanità, e bandire finalmente dalla terra la fame che è sinonimo di sporcizia. • Pochi mesi dopo la fondazione, il Regno dei Poveri contava un milione di'tesserati : la sua fòrza era già doppia di quella dell'Ocra di Filantropia; il suo capitale ammontava a cinque milioni di franchi. Giuditta si era circondata di ottimi collaboratori ; il suo stato maggiore la obbediva militarmente. La ricchezza del suo sodalizio crebbe rapida per il contributo quotidiano, sempre puntuale, di migliaia e migliaia di mendicanti a lei associati. « T poveri, predicava, debbono redimersi da sè; rifiutiamo l'intervento dei ricchi». Così un giorno si trovò anche nella possibilità di comprare il bosco di Neyrac, ove impiego i più forti dei suoi soldati ad abbattere gli alberi, per costruire la nuova città; cui diede il suo nome. Le stagioni si succedevano in un lavoro ininterrotto di distruzione e di creazione. Sorgeva nel centro del piano regolatore il Palazzo di Comando, che occupava tutta la pianura di fronte al lago e per cui centinaia di platani erano stati rasi al suolo. I migliori costruttori erano stati chiamati per dargli forma e vita moderna. Intorno era un parco cui erano adibiti numerosi giardinieri. Si pensò alle scuderie, al campo dei griochi, alle cascate e alle fontane luminose. L'interno del Palazzo era simile a quello di una reggia, per sfarzo, per comodità, per tecnica. Cinque anni sarebbero bastati perchè la nuova città si potesse dire un fatto compiuto. Giuditta la vedeva in sogno, popolata dei suoi sudditi. In realtà non esisteva che la boscaglia e il gran palazzo in costruzione ; ma, dopo di questo, la mano d'opera sarebbe stata distribuita ai caseggiati popolari. Prima di tutto, il comando: ecco perchè il capitale dei poveri e le energie dei disoccupati si concentravano in un solo punto, di dove Giuditta e i suoi collaboratori avrebbero iniziato l'organizzazione etica di due milioni di anime lacere. Qualche mese prima della inaugurazione del Palazzo del Comando, un membro del Consiglio Superiore del Regno dei Poveri fu scacciato dalla sala in cui Giuditta presiedeva una riunione per il prestito da farsi fra i mendicanti, allo scopo di ultimare i lavori edilizi. Torquato era uscito sconfitto ma giurava di voler parlare ai poveri: una crisi di coscienza 10 martellava da parecchi giorni e da parecchie notti, ci poveri debbono rimaner poveri; perciò son più ricchi dei ricchi. Il sogno di Giuditta è infernale : se non ci saran più poveri al mondo anche lo specchio della ve rità verrà a mancare. La miseria è l'unico orientamento degli uomini, la sola bussola dei naviganti. Lasciate i miseri nel letame, e il concime negli orti. Non togliete ai derelitti la uro unica gioia che è la sofferenza: 11 renderete per sempre infelici. La forza dei poveri è la debolezza». /Torquato era contro il benessere artificiale che si vorrebbe sommini¬ strare ai miseri. Gettò la sua uniforme di capitano, e si inoltrò a piedi scalzi nella tempesta del bosco di Neyrac; dormì in una stalla; il domani marciò verso la grande città, deciso a voler parlare alla folla dei mendicanti che a mezzodì si riunisce attorno al lungo tavolo della Minestra Popolare. La grande città era bagnata, e al buio. Sopra i tetti moriva il sole di mezzodì, inutile disco di rame fasciato di nebbia. Fumo mandavano i camini, fumo tutti i comignoli. Chiuse erano le finestre di tutti i palazzi, neri ; locomotive sventravano d'ogni parte la metropoli, lasciando dietro di sè un fischio penoso. Folla e folla congestionata .riempiva e vuotava le piazze e le strade; come nebulosa, appariva e spariva sui ponti, sotto terra; scacciata dalle vetture nume rose e impazienti. C'era un gendar me che roteava la mazza bianca, caricando il popolo da un marciapiede all'altro: diecimila pezzenti avevano interrotto il traffico dei veicoli, so stando dinnanzi al portone della Minestra Popolare; avevano paralizzato la vita di altrettante persone. Non si capì più nulla. Il gendarme appariva un generale in piena disfatta. I suoi ordini erano ridicoli. Le vettu re private si aprirono un varco, pas sarono ; gli autobus non rimasero indietro; passarono; fra un veicolo e l'altro sgusciavano gli affamati, chiamati ripetute volte dalla campana del reseplapcosudcdsvstevnainsrlasadtgdsbdaillad refettorio ; soltanto Torquato rimase per terra, vittima dei motori prepotenti. Nello stesso tempo gli operai istallavano nel Palazzo del Comando il più perfezionato impianto telefonico. Giuditta impartiva ordini e dava suggerimenti per il giorno prossimo dell'inaugurazione. Sostavano ai cancelli le automobili degli architetti, dei decoratori, dei membri del Consiglio Supcriore del Regno dei Poveri. Isolato dalla grande città, il bosco di Neyrac sembrava un paradiso terrestre. 11 direttore amministrativo ritornò con la busta di cuoio piena di biglietti di banca; si presentò a Giuditta, assicurandole : — Siamo in grado di continuare i lavori ; i tesserati han pagato la loro quota. I tesserati lasciavano proprio allora gli stanzoni della Minestra Popolare, scendevano sulla strada, si smarrivano nel fango e nella nebbia, a far la questua. Compiuto, il Palazzo del Comando, apparve sotto il sole estivo in tutta la sua magnificenza. La sera giunse della inaugurazione. I mendicanti si recarono a migliaia nel bosco di Neyrac, sicuri di cenare nelle belle sale del loro regno. Ma un cordone sbarrava l'ingresso; rimasero a guardare da lontano. Gli alberi si illuminarono; si intrecciarono sul lago i fuochi d'artificio; ai poveri fu distribuita la cena sull'erba, sotto un semplice arazzo di azzurro e di stelle. » Ma più tardi, scesa la notte, ciascuno sentì la nostalgia della città: dai platani di Neyrac cadeva una pioggerellina di lacrime fredde. I mendicanti ripartirono, per raggiungere i giacigli della metropoli : la porta di una chiesa, l'angolo di una stalla, la nicchia sotto i ponti del fiume, un cortile abbandonato, una fossa, un canile, un sedile, la base di un monumento, il ventre di un albero, un sottosuolo, una topaia, una barca; tutti avevano nel cuore il nascondiglio cittadino, come un tesoro nascosto; non ne parlavano per gelosia. Si lasciarono alle porte della città, come se non fossero stati insieme alla festa di Neyrac; e si dispersero. Uno solo rimase, per tutti, ricordandosi di aver visto Torquato sotto le ruote di un camion il mezzodì della ressa dinnanzi al portone della Minestra Popolare. Parlava della fine gloriosa del compagno, con la venerazione verso un nuovo messìa. Scarno e biondo era infatti il giovine che aveva lasciato il Palazzo del Comando per confondersi ai derelitti della città: Torquato, risorto, gli mise in mano una scatola di fiammiferi; lo guidò fin nelle scuderie; gli disse di appiccare il fuoco. Gli alberi sostennero l'incendio; all'alba il Palazzo del Comando era una brace, come in un sogno pauroso. ANTONIO AMANTE.

Persone citate: Antonio Amante, Fumo