Povera ricca Ungheria

Povera ricca UngheriaPovera ricca Ungheria BUDAPEST, dicembre. L'adattamento politico, sociale ed economico dell'Ungheria alle nuove condizioni imposte dai trattati di pace non ha fatto, nei dodici anni trascorsi, nessun progresso. Sembrava che almeno la valuta nazio- casucoBalnsolanaie, il pengo, si fosse assicurato ilstabilita ed equilibrio, e oggi anche mper essa si ha motivo di formulare tariserve. D'altro canto, stabilizzare j, una valuta per un certo numero di anm — risolvere, cioè a dire, uni iproblema finanziario del momento |Ja— non sempre significa risolvere ij complesso dei problemi economici dello Stato in questione. Potremmo considerare l'assestamento politico raggiunto, se il Paese, essendo un Regno, avesse alla sua testa un Re, oppure — a semplificare le cose — se si fossero eliminati i dubbi circa la persona di colui che domani, permettendolo le circostanze, sarà chiamato ad installarsi nella Reggia. Quanti dicono che l'Ungheria non è matura per il regime repubblicano hanno mille e mille volte ragione: oggi, però, essa è un Regno senza Re e senza erede designato per un' eventuale successione del Reggente. In questo ace falò reame la politica interna s'ispi ra alla maniera forte, tuttavia con sente ad un aggressivo partito so cialista attività dentro e fuori della Camera. La suddivisione in caste va perdendo il valore antico: forse il tempo della dominazione dei ma g:iati incominciò a passare con Tis za, la cui contea di fresca data svaniva all'ombra di alberi genealogici vecchi di secoli, piantati all'epoca degli Angiò o di Mattia Corvino. La disgraziata fine della guerra ha fatto perdere all' aristocrazia magiara prima terre e poi terreni: lo Stato si trasforma, scompare o s'indebolisce la casta ricca ed eletta, adagio si diffonde l'opinione che gli uomini di merito vadano scelti in qualunque classe. Quale laborioso processo! I ricchi di ieri li ha impoveriti la cessione agli Stati vincitori di migliaia e migliaia di fecondi jugeri (alla quale ora segue la crisi che assottiglia o annichilisce il reddito degli jugeri salvati) e la generazione nuova, in alto e in basso, studia e studia e si affaccia sulla soglia della vita, sen2a sapere che sentiero infilare. Non c'è avvenire in nessun campo, o quasi. Una cortina di fitte nuvole nasconde l'orizzonte: tutto è buio. La carriera diplomatica, costosissima, s'è ridotta ad una lunga e disperata .srara per pochissimi posti; l'amministrativa è tanto bloccata, che si Varia di ridurne i quadri; non c'è più un grande e brillante Esercito; l'agricoltura aspetta la sua salvezza da un miracolo: l'industria trema per il suo domani. Le Banche ? Se ne contano una trentina e sono troppe per uno Stato di otto milioni di abitanti : una diminuzione è inevitabile. Allorché, in un periodo di disagio, la lotta per l'esistenza entra in fasi acute, s'inaspriscono fra gli uomini antipatie, disarmonie, pregiudizi de: rivanti dalla diversità di fede o di razza: i cattolici, i protestanti, gli ebrei si schierano in altrettanti gruppi distinti. Avanti di punzec chiarsi tra loro, i cristiani si coalizzano contro gì' israeliti. Cattolici e protestanti insistono nell'errore di non capire come oramai in Ungheria, e nell' Europa centrale e sudorientale in genere, molte cose si potranno fare senza gli ebrei, ma nessuna contro. Padroni delle Banche, delle aziende editoriali e giornalistiche, dei teatri, delle industrie e del stdritaSscsgmspbc3lireImsgsapstcsrntbaddeglcetftnpsisml[demla grande maggioranza delle case di Budapest e di altre città, gli ebrei, intanto vivono nel timore che il ma.\J rcontento popolare giunga a cercare sfogo in manifestazioni ad essi ostili. Tutto questo perchè l'Ungheria mutilata non offre ad ognuno possi- \vbiuta di vita: la gente softoca, le; energie del popolo non hanno modo 1di espandersi. A quelli che sempre | vvissero sul territorio dell' attuale lStato si sono aggiunti i profughi dalle Provincie perdute e reclamano anch'essi lavoro e aiuto, e rammentano che si sacrificarono per la patria. Il ginecologo prof. Taufer però dice che la razza magiara sta per spegnersi: le classi agiate non contano che famiglie con un figlio e se il popolo non fosse, sebbene povero, prolifico, la morte della razza sarebbe più sollecita ancora. Fra il 1880 ed il 1890 la popolazione crebbe con una media del 45 per mille, l'anno scorso l'aumento è stato del 23,9 per mille. Un bene? Poiché si nutrono speranze di rivincita e si sogna una rinascita nazionale, no. Purtroppo il fenomeno, davanti a quelli più sensibili e visibili del momento, sfugge alla massa. La vita non è rincarata, polizia, gendarmeria ed esercito mercenario possono essere ritenuti sicuri, fra città e campagne il numero dei disoccupati si e no arriva a 120.000, il contadino, reso proprietario dalla riforma della terra, non è, per istinto, rivoluzionario, eppure ciò che preoccupa è serio quanto ciò che conforta. Con misure eccezionali, un Governo può soccorrere una popolazione indigente oggi e domani: mai all'infinito. Alla lunga, come farà l'Ungheria, da sola, a superare ad un tempo le pcppsemlconseguenze della spietata assurda mutilazione del suo territorio, del- la crisi finanziaria e dell agraria? Un Paese così ridotto ha da pagare riparazioni? Le pagherà sino a nuando un prestito concluso a Pa-rigi o a Londra permetterà di sal-dare un debito a Praga o a Bel- grado. A un privato che viva &questo modo si dà dell'avventurie- ro e si chiamano strozzini ì credi- tori che consentirono al debitore d'impeenarsi al di là della ragione- vole misura ad essi nota ^'cattivo amministratore^ letto politico mirabile per la chiarezza delle idee, per la rapidità nel giudicare le situazioni del momento e nell'intuire le future, più che amministrare male, egli ha forse peccato di fiducia eccessiva in certi suoi collaboratori. Nella scelta dei compagni di lavoro, non sempre Bethlen ebbe mano felice. Ma oltre alla fiducia in chi spendeva in suo nome, lo tradì la fiducia nelle risorse della sua terra e quella che la finanza straniera gli dimostrava: illudendosi di godere di larghissi mo cretuto, l'Ungheria s'è indebita ta gu vagta scala ancora: poteva j, conte Bethlen prevedere che una isi agraria mondiale, la svaluta ione £Ua sterlina la riprega deiJa corga al protezionismo e le re- strizioni internazionali in materia di cambi avrebbero posto l'Ungheria davanti a difficoltà non affrontate e in guerra e nel dopo-guerra? Se la sterlina balla un valzer, non sarà il pengo a rifiutare una csarda. Il prodotto agrario ungherese, già rincarato per la perdita di immense distese di terreno e, con esse, di mezzi importantissimi di produzione, ha subito, nell'ultimo bienno, uno svilimento catastrofico: il prezzo dei cereali è sceso da 33 a 7 pengo al quintale, cioè a un livello che non copre le spese. Il vmraccolto del 1928 valeva 2 miliardi i e 800 milioni di pengo, quello del' 1930 ne vale 850.000.000. A prevedere un simile cataclisma economico, non c'è saggezza di uomo di Stato che basti. A fine novembre, il prezzo dei maiali è caduto su grandi mercati a 2 lire al chilo, i polli sono stati offerti a 2 e 3 lire al paio. La carne di manzo costa, al minuto, lire 1,50 al chilo, la carne di vitello 2 o poco più. Per 150 lire si compra un buon cavallo; per molto meno della metà un cavallo leggero. «■L'Ungheria dell'ante-guerra vendeva circa il 76 per cento della sua produzione agraria entro i confini della Monarchia, sicché doveva preoccuparsi di smaltire all'estero solo il residuo 24 per cento. Nel 1929, sebbene il territorio degli Stati successori sia quasi il doppio di quello della scomparsa Monarchia, con un numero di anime notevolmente superiore, l'Ungheria non ha venduto a questi vicini che il 60 per cento circa dei suoi prodotti agrari. Le forniture di grano e bestiame alla Cecoslovacchia ed all'Austria sono in continua diminuzione, mentre l'Italia ha aiutato l'amica facendo salire, nel corso di due anni, le sue importazioni di grano e bestiame ungherese da un valore di 29 ad un valore di 116 milioni di pengo. Fra il 1928 ed il renluvnti1930, l'esportazione ungherese in , i Italia si è quasi quadruplicata. : Questo sviluppo, enorme in un pe-' riodo di crisi, dei traffici fra Italia ed Ungheria, non è abbastanza conosciuto. I fautori di unioni doganali con la Cecoslovacchia e con l'Austria, unioni nelle quali l'Ungheria dovrebbe dedicarsi alla sola produzione agraria, dfeono poi che il protezionismo industriale sia stato, per il Paese, fonte di gravi sacrifici. Che l'Ungheria si sia concesso il lusso d'una fabbrica d'automobili è criticabile, d'accordo, come pure sono da condannare forme di attività industriale dipendenti in troppo larga misura dall'importazione delle materie prime: artificiale — ad esempio — è ormai la vita dell'industria del legno, perchè la Ungheria da esportatrice s'è trasformata in importatrice di legname, e malsane sono le industrie della carta, della lavorazione del cuoio e della raffinatura degli oli minerali. Però l'industria magiara non è tutta una creazione o invenzione del dopo-guerra: l'opportunità di favorire iniziative industriali, per premunirsi contro eventuali crisi agrarie, venne qui riconosciuta già agli inizi del secolo e il merito ne spetta al defunto Ministro delle Finanze Wekerle ed all'ex-Ministro del Commercio barone Szterenyi. L'industria tessile trova nel Paese la quasi totalità delle materie prime, , : eccezion fatta del cotone e della ju 'ta, gli zuccherifici sono alimentati fn 8SJS?8&£ YerbbirreriI:soddisfano l'intera richiesta dell mercato ed esportano l'avanzo ini Italia, carni eccellenti assicurano il successo della fabbricazione dei salumi, mentre la ragion d'essere dei mulini può negarla solo chi ignori quanto grano l'Ungheria produca e quanta farina esporti. Ben diverse sono le forme del protezionismo industriale in Jugoslavia e in Rumenia, e non parliamo del protezionismo agrario inaugurato dai Paesi ai auali l'Ungheria forniva grano e bestiame. Per altro, deve veramente un popolo accollarsi tributi immensi e al tempo stesso rinunziare alla ricerca di for- me di lavoro redditizie per i suoifigli? Da una parte la perdita di terre, foreste, miniere, dall'altra\l'obbligo di pagare riparazioni, l'impossibilità di vendere il grano, il divieto di aprire officine... Nel decantato secolo ventesimo, otto milioni d'individui non si rassegnano stoicamente a languire, affinchè stranieri vivano in prosperità. E se l'Ungheria chiude un palo di fabbriche e mette sul lastrico qualche altro migliaio d'individui, non con questo si sarà automaticamente riparato a tutti gli errori degli ultimi due lustri di politica economica medioeuropea. ITALO ZINGARF.LLI.

Persone citate: Angiò, Mattia Corvino, Taufer