Il miracolo e la rappresentazione

Il miracolo e la rappresentazione Per una mostra d'arte sacra Il miracolo e la rappresentazione MILANO, dicembre. |foA Milano, nel palazzo della « Per- lamanente », è ancora aperta la Mo- abstra internazionale d'arte cristiana Lmoderna, la terza allestita in Italia I tinel giro di quindici mesi, dopo quella di Roma dell'anno scorso e la recente di Padova. La gente la frequenta, vi sosta a lungo, vi ritorna, ne discute: più che per le altre esposizioni. Segno che questi tentativi di rimetter sulla stessa strada la Chiesa e l'arte che da canto tempo avevan preso cammini divergenti, non sono eleganti divagazioni di esteti, bensì delle risposte ansiose a una domanda che di quando in quando, qua e là pel mondo, qualcuno lancia agli artisti : « Slete ancor voi in grado di darci un'arte per le nostre chiese»?. Pittura, scultura, architettura, decorazione: altrettanti aspetti delia rappresentazione, quindi dell'arte, quindi dello spirito. Ma non si tratta di predilezioni, di gusti, neppure di talenti, come chi dicesse che un eccellente pittore di figura può benissimo dipingere un'Annunciazione. (Ed è l'errore che fanno i critici quando si stupiscono che alle Mostre d'arte sacra manchi questo o quell'altro artista d'ingegno) Piuttosto alla suddetta domanda altre s'accompagnano. Dall'altare elevato in Notre-Dame alla Dea Ragione giù giù fino al tempio sovietico dell'irreligiosità, durante quasi un secolo e mezzo che cosa abbiamo noi fatto per meritarci oggi un'arte sacra? Per altrettanti anni e già prima, sotto qual specie abbiamo noi visto il mito ed il miracolo? Su quali piedestalli li abbiam posti per seguitare a subirne il dominio, e di quali forme li abbiamo rivestiti per continuarne 11 culto? Mito e miracolo: voglio dire il sovrannaturale, la libertà dalle prigionie terrene, quello che, per l'ateo Leopardi, « l'atra face del ver consunse innanzi tempo». Senso mistico, fede, liturgia possono qui passare in seconda linea: è l'evasione nella sublime favola che in questo caso conta, è l'estatica meraviglia per ciò che va creduto, soltanto creduto, anche se la . ... *™ dimostrazione è più stupenda_delJ'a stessa fantasia. Che l'Angelico, ' come si narra, dipingesse santi e madonne in ginocchio, adorando, accrescerà forse la soavità della leggenda; ma Pietro Perugino, che a dire del Vasari, « fu persona di assai poca religione, e non se gli potè mai far credere l'immortalità dell'anima: anzi con parole accomodate al suo cervello di porfido ostinatissimamente ricusò ogni buona via », dipingeva ugualmente « certe Marie che, restate di piagnere, considerano il morto con ammirazione ed amore straordinario », e l'esser stato egli un uomo che per danari « avrebbe fatto ogni malo contratto » non tolse che la tradizione mandasse proprio lui tra i piedi (scusatemi) di Carducci, a fargli far la gaffe di quelle tali madonne che scentono ne' puri occasi de l'aprile per farsi ritrattare dal pittore misere- i dente. 1 Inutile quindi insistere specificata- mente sullo spirito religioso a propo sito di arte religiosa: inutile per lo meno identificare l'una con l'altro, se nel Quattro e nel Cinquecento (i due secoli atei per eccellenza) abbiamo avuto fior di ribaldi che ci han lasciato le più sublimi immagini della divinità, e viceversa il bigotto Ottocen to della Restaurazione, coi suoi Agricola, coi suoi Angelini, e CIseri e Coghetti e Malatesta e via via fino alle I confetture del Barabino, non è riusci¬ o i e n e , e , e e i a , e e a o to a darci un sol metro quadrato di tela dipinta che guardandolo un fedele provi ciò che prova davanti al Sogno di S. Orsola. (Del resto, anche in questa Mostra d'arte cristiana saggi della « Scuola B. Angelico » che raccolse il programma del Cardinale Federigo Borromeo: «preparare gli artisti ai lavori del divin culto », non dovrebbero differenziarsi da quelli di altri artisti che hanno studiato in una comune Accademia, almeno per un tono di più profonda religiosità? Ciò che invece non mi sembra apparire in modo convincente; sebbene si noti nei primi una miglior conoscenza dei temi sacri, dell'iconografia, dei misteri della fede: il che è già molto, ma è semplice documentazione e non ancora pittura o scultura). Gli è cne U problema va impostato diversamente. Fede, culto, liturgia, sta bene. Ma se tu — uomo veramente religioso — contempli l'incontro d'Anna e di Gioachino, di Giotto, o la Vergine delle Rocce, di Leonardo, è l'idea cristiana che ti colpisce o non piuttosto il modo com'essa sl palesa? E' dalla Scrittura e dall' espressione plastica del Divino Mistero che tu ti senti dolcemente guidato alla tua fede, od il mistico senso che dalle due pitture emana è alcunché di diverso dalla chiosa dei sacri testi e dalla rappresentazione umana del dogma? liceo, tra le due pitture stanno i due secoli più drammatici per la Chiesa di Roma; l'una è contemporanea di Dante, l'altra di Lutero; la prima è dovuta al più tragicamente ingenuo descrittore dei castighi infernali, la seconda all'uomo che fino alla tarda maturità stimava « assai più lo esser filosofo che cristiano ». Eppure entrambe sono realmente preghiere. E allora? Allora è evidente che la questione non è soltanto ima questione di fede secondo il significato che il culto dà alla parola; ha radici ancor più profonde e misteriose, radici che si ramificano ad avvolgere in un solo viluppo persino le più lontane e diverse confessioni. Non già uccidendo l'idea del miracolo (che esso sopravvive e sempre soprawiverà fin tanto che gli uomini, per il solo fatto di esistere, sentiranno il bisogno di credere in una forza superiore alle loro forze, comunque vogliamo battezzarla), ma trasponendola su piani differenti, abbiamo frapposto fra noi ed il mito l'enorme opaca barriera che vieta, od almeno intralcia gravemente, l'espressione dei sentimenti primigenia Di secolo in secolo, ed identificandolo con le successive civiltà, noi siamo andati cementando quest'ostacolo che chiamavamo e chiamiamo con nomi varii: cinquant'anni fa è stata la volta del positivismo scien tifico, oggi ci accingiamo ad adorare quel nuovo Moloch che è la macchina, e dal quale già deriva tutta un'estetica mginququdimlicomuraladnnnchmliratesusocchtesotrdsuavavintemdngesacdesteststdmcsppcusRpsvduricdmzbfnsecgtmtcvladcGppszcpzadpcztthlvnceevovbtnmaangrtsvmfidlndrroctAdvfivpntnrisdipaq.che — vedi contraddizione — si gai jbella per idealistica. Non è il caso di loe \ ricordare il luogo comune che poca se scienza allontana da Dio e molta scien- d-,** riconduce a Lui. I! fatto è che noi nscagliamo per l'etere le parole, cioè il <pensiero, riproduciamo la voce umana i [trasvoliamo gli spazi, tocchiamo il fondo degli abissi marini, restituiamo la giovinezza ai decrepiti, talvolta ci abbaglia l'illusione di poter ripetere a Lazzaro il comand. del Maestro. Quo tidianamente, insomma, inventiamo il miracolo, siamo giunti quasi sulle soglie del nuovo mito: il mito dell'uomo in ogni sua attività perfetto, degno quasi di rispecchiare la divinità. A questa divinità, persino nei laboratori di fisica e di chimica, ci siamo infatti immensamente avvicinati con l'intelligenza, intanto che la capacità d'accoglierla e di intenderla sentimentalmente, vale a dire con spontaneità umile ed ingenua, sempre più si oscurava. Perchè? Perchè contrariamente alla formula aritmetica che invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia, nel caso nostro il prodotto è cambiato: non nella sostanza, forse, ma certo nella forma, che è precisamente quella che riguarda la rappresentazione del miracolo, cioè tutta quanta l'arte religiosa, l'arte cristiana. Sussiste il miracolo, si chiami esso scienza oppure tecnica, anzi ingigantiti sono forse i suoi limiti e più misteriosi ancora si son fatti i suoi aspetti « ove per poco il cor non si spaura »; ma se prima, anche per l'ateo, anche per il miscredente, era il miracolo a scendere a noi, a sommergerci nella sua meraviglia ultraterrena, a farci schiavi e tremanti della sua terribilità o stupefatti della sua splendente grazia, oggi siamo noi a salire verso di esso quasi con atto di volontà, a tentarne la comprensione, a regolarne le leggi; siamo noi a muovere Incontro all'idea della divinità, invocandola, anziché abbandonarci interamente, ciecamente, dolcissimamente al suo potere. Questa la più glustiF-abile causa dell'aver gli artisti a poco a poco rinunziato alla rappresentazione religiosa disertando con le opere loro gli edlfizl del culto. Non un divorzio cosciente e volontario fra la Chiesa e arte, ma piuttosto un malinconico ri conoscimento da parte di quest'ultima della sua impotenza a continuare ad esprimere ciò che per tanti secoli fu la sua gloria maggiore. Ora, da qualche anno, è evidente il tentativo di superare questo contrasto. E' con un'abnegazione che ha i suoi lati commoventi che pittori, scultori, architetti — dipingendo, scolpendo, costruendo — si pongono la domanda: « Possiamo noi tornare quelli che eravamo?»; e sl sforzano di rispondere affermativamente. Tutta l'opera loro (parlo di quelli che si dedicano alla rappresentazione religiosa) è un anelito a subire il miracolo, a risalire all'espressione plastica del mito Rinunziando per dir cosi ad essere i protagonisti dell'uno e dell'altro, ad esserne 1 costruttori ed i disciplinatori, vorrebbero nuovamente riceverne 1 doni In perfetta umiltà. Ed allora è un'umiltà che sceglie le forme più varie, che si fa schiava del testi e della iconografia, oppure si affida ad espedienti tecnici fallaci, quasi che l'immergere figure e paesi in una luce azzurrognola, o lo sfumar contorni, o U balbettar coi colori e col disegno come fanciulli fosse simbolo di purificazione d'anima, di castità di spirito, insomma di adorazione. Ma dipingere ad esempio un ingresso in Gerusalemme con un Gesù color sorbetto alla fragola e un asinelio con la testa di cartone, ha — nei confronti del sentimento veramente religioso della pittura — lo stesso valore che rimasti care a sazietà il divisionismo di Pre viati: zero. Ma portare nell'arte sacra la precettistica dell'espressionismo per darci gli orrendi mostri, gli inverecondi pasticci che il tedesco Karl Gries battezza per Crocifissioni e Deposizioni, è altrettanto idiota che rappresentar Gesù nella sua tunica inconsutile sulla porta di un opificio in mezzo ad operai col berretto da ciclista, come fa Maurice Denis nel bozzetto per la decorazione dell'ufficio internazionale del lavoro a Ginevra: sorta di amoreggiamento fra divinità e socialdemocrazia che ha del farsesco e del penoso insieme. Dalla tecnica al concettualismo, non si nega che le intenzioni siano ottime; si nega che i risultati siano positivi. Forse, malgrado le proteste di umiltà, è precisamente l'umiltà che finora ha fatto difetto. Per tornare a far dell'arte sacra dopo secoli che dipingevano paesaggi, figure, quadri di genere, il mare azzurro, le belle donne, cavalli e cani; che scolpivan nudi di eroi, giovani atleti, ritratti di generali e personalità illustri; che fabbricavano ville, stazioni, i casinos », alberghi ed ospedali; gli artisti invece di muovere i primi passi lentamente, per riabituarsi al difficile cammino da tanto tempo abbandonato, e di mantenersi nei principii su una linea prudentemente decorativa, hanno abbordato addirittura, e di colpo, il problema più arduo: la rappresentazione del divino nell'umano: e ciò mentre ancora eran gravati dal loro secolare fardello di razionalismo. Naturalmente, per evitare di riuscir profani volendo esser sacri, hanno forzato la mano; e ne è venuto che nove volte su dieci le loro madonne sono delle signorine d'ottima famiglia, i loro santi dei bravi ragazzi, i loro redentori degli spiritati, ma d'una sdolcinatezza o d'un infantilismo che confinano talvolta con la nausea. Confesso d'aver visto alla Mostra d'arte cristiana di Milano —* che pure, ripeto, è degna della maggior considerazione per i suoi intenti — delle cose orribili: dal punto di vista dell'arte come da quello del culto. Orbene, fra tante Vergini col Bambino, Natività e Annunciazioni, m'ha colpito un quadretto da nulia, del bergamasco Giovanni Gallizzi. E" un paesaggio con figure. Nell'ora vespertina due monaci vanno per un sentiero verso una casupola; li segue — solo — un altro monaco, n quadro s'intitola « S. Antonio si dirige verso il convento »: e non vuole esprimere nulla più che il ritirarsi, giunta la sera, di tre francescani nella pace claustrale. Orbene, davanti a questi due palmi di pittura io ho provato la stessa sensazione che provai un giorno sul colle d'Olivaes, appena fuor di Coimbra. in Portogallo, quando vi salii a cercarvi l'ambiente love Antonio aveva oresrato. Credo che sja questo uno dei pochi quadri «sacri» della Mostra. Forse .perchè l'autor non ha voluto giungere al miracoli <Tia ^mplicemente subirlo, i MARZIANO BERNARDI. deaotola^geyecntaP°chcoteporiaegrmelitPtera1 aaecornsenesicoinlepunocichtedidispotbiseputoadcaa-AnfignlaudnchdgchpesreinchnsemsiusccotogbnotritradpnmchpmAa(c5—gfacqtrnpstrngcUuint6l'sdvtovdvcninfvsbninfamcu—dvGbs«cddgrdmrlvrieBssdFfsnaqsmqgvcptfslgdcfedlutldp: dI sI pI s»

Luoghi citati: Gerusalemme, Ginevra, Italia, Milano, Padova, Portogallo, Roma