Il senso della vendetta

Il senso della vendetta battuta ai briganti corsi Il senso della vendetta (JL>AL NOSTRO INVIATO) AJACCIO, 19 notte. Dopo sette giorni di pioggia diluviana, il tempo, questa mattina, si è messo al bello. Ne ho subito approfittato per andare un po' in giro per la Corsica, al di fuori della zona dei banditi. Ho preso la strada del Gravone verso Corte e le grandi montagne del centro, fi vento, che spazza il cielo dagli ultimi cascami di nubi, porta un profumo penetrante e gradito di erbe selvatiche, di eucalipti, di tigli, quello stesso caratteristico profumo, dal quale Napoleone riconosceva, ad occhi chiusi, l'avvicinarsi dell'isola natale. Una larga distesa piana con prati campi ed alberi mi accoglie subito dopo Ajaccio. I prati e ì campi, in Corsica, sono rari. Saranno di buon augurio? Non debbo rallegrarmene troppo presto. Nella vera vallata del Gravone, alla quale l'acquedotto, che conduce l'acqua ad Ajaccio, dà un anacronistico aspetto di campagna romana, la macchia dura e selvaggia incomincia. Le colline si fanno giallastre e senza grazia. Ma, ecco, appena sul colle, che dalla vallata del Gravone porta sul versante tirrenico, il paesaggio assume una grandezza singolare. Davanti a me si stende la piramide di Monte d'Oro, splendida di desolazione e, ai suoi piedi, si allontana verso il mare xina depressione profonda, disseminata di cose bluastre, di migliaia dì piccole colline aguzze, un caos inestricabile, un oceano di onde pietrificate a luminose, un irreale passaggio bagnato nella luce dei fondi dei quadri di Leonardo da Vinci. Pietrame e foreste La fantasia, strappata violentemente dal suo torpore, corre verso le lontane età, verso le epoche, quando queste migliaia di colline, tagliate nell'azzurro, erano crateri che proiettavano verso il cielo fiamme e lapilli, illuminando la solitudine e il silenzio, che, prodigiosamente, oggi qui regnano ancora sovrani. Nessuna traccia di vegetazione e di vita. In questo paese di pietre, sembra che neppure un insetto possa trovare di che vivere. Ma, subito dopo il colle, appare la immensa foresta di Vicognano, una oasi di vita, di grazia e di verde. E' sempre così in Corsica. Per ore ed ore, ci viaggia attraverso una campagna, che nè la sua povertà ne la sua ricchezza sanno rendere interessante e, all'improvviso, in mezzo a questa monotonia, una cosa meravigliosa, che rassomiglia ..in nulla a quanto si è potuto vedere in' altri paesi, porta allo sguardo un piacere imprevisto e allo spirito un nuovo e lungo soggetto di sogno. Qui, sulla strada da Ajaccio a Corte, è la morena di Monte d'Oro, una specie muraglia costruita dalla natura con blocchi di pietre, un'enorme barriera difensiva che mi fa pensare a tutta la lunga storia di guerra, di rivolte di questa gente; è Vicognano, ai margini della sua foresta di larici e di pini, con le sue donne dal volto pallido e dai grossi occhi chiari, attraverso i quali, però, non vedo nulla dell'anima; sono i 38 villaggi che, da San Pietro di Venaco, scorgo nella vallata del Tavigliano, villaggi inquieti e inquietanti, dove le case hanno assunto la tinta verde-scura del muschio, dove intendo dappertutto, senza vederla, l'acqua che scende dalla montagna, dove mi arresto per ascoltare che? Il rumore dell'acqua? Ah! no, altra cosa: la voce propria di questa terra, i canti della gente còrsa, nei quali si agita una vita, che non è cambiata da secoli, una vita sempre instabile, sempre in fermento, che conosce le inquietudini e il pericolo quotidiano, come alle più vecchie età del mondo. Sono a Venaco e, da una casa isolata, delle donne cantano un lamento! Ci deve essere un morto in quella casa. « E' davanti alla morte, che si incontrano gli amici » — dice .in proverbio còrso. Da tutti i villaggi, da tutti i casolari, chiunque ha un grado di parentela o relazione di amicizia, considera come un dovere sacro portare immediatamente alla famiglia del morto la testimonianza della propria simpatia. La melopea della morte Questo, direte, avviene in tutti i Paesi del mondo. Lo so, ma qui, in Corsica, dà luogo ad una manifestazione caratteristica. La salma viene discesa nella stanza a pianterreno, che deve essere immersa nell'oscurità più profonda. Gli uomini non vi possono stare. La madre (o la figlia più anziana) riceve le visitatrici, vestite di nero, con lo scialle nero incrociato davanti e il fazzoletto pure nero legato sotto il mento. Le visitatrici marciano a tastoni e abbracciano, singhiozzando, la madre. Quando la camera è ~>iena la madre si leva all'improvviso tutta dritta, fa oscillare il corpo in una specie di dondolio, preludia un lamento con singhiozzi brevi, rauchi e grida di invocazione al morto. Poi, tutto il dolore racchiuso nel suo cuore, esplode e cola, come una lava bruciante, in una melopea ritmata, ardente, ingenua, piena di particolari graziosi- , _ _i.__j._i» _ 1 • ..7_:>_: j;sul morto, su tutti gli altri parentiperduti, ai quali rivolge teneri rim-proveri di non avere proietto il ma-lato, di averlo lasciato morire. Ognistro f e è punteggiata da singhiozzi, è commentata da gemiti e da grida delle donne. L'arrivo di altre visitatrici interrompe un istante il recitativo: ponendo piede nella camera mortuaria, esse provocano un raddoppiare di grida e di lacrime. Quando la madre lia finito di esporre tutto il suo dolore, prima di gettarsi rotta dalla fatica sovra una sedia, interpella, con un grido acuto, una delle presenti, evocandole un parente morto dì recente. L'interpellata si alza fremente. Dopo avere evocato la vita del morto, fa rivivere i suoi morti ad uno ad uno, parla loro come se fossero presenti, ricorda il loro passato, cita fatti aneddoti della loro esistenza, li supplica di venire in aiuto alla famiglia, di pregare il Signore che la protegga. Terminato il suo lamento, questa vociferatrice passa la parola ad una terza, e poi ad una quarta, ad una quinta, e così per tutto il giorno e per tutta la notte fino all'ora dei funerali. E' una tradizione che non manca di pittoresco, pure nella sua esagerazione e sarebbe anzi nobile e bellissima, se non si ripetesse in forma molto più violenta, quando si tratta di un assassinato e non servisse così ad accrescere maggiormente negli uomini la passione della vendetta. In questa circostanza, le donne còrse sembrano delirare sotto % loro veli neri. Sono implacabili, più sinistre delle antiche Furie. L'occhio spalancato, il volto graffiato con le unghie, scapigliate e frementi, girano attorno al cadavere sanguinante, e sembrano volerlo cullare con canti di odio e di vendetta. Gli uomini, se la morte è dovuta ad assassinio, debbono stare nella camera mortuaria. E ad essi le donne ricordano il loro dovere: far perire l'assassino di morte violenta. I bambini assistono a queste scene e capirete come il loro ricordo si imprima profondamente nella loro memoria. Ecco perchè la passione della vendetta resta ancora radicata profondamente nell'anima dei còrsi, sì conserva quasi immutabile, e le ha creato, per così dire, una sua fisionomia. Il diritto alla vendetta La vendetta, o meglio il diritto di fare giustizia da sè, non è speciale alla Corsica. Discende, si crede, dal vecchio diritto longobardo e imperversò nel medio evo in parecchie regioni d'Eurova anche al di là del XVI secolo. Nella Corsica, sottoposta per parecchi secoli alla incuria degli agenti della Repubblica di Genova, la vendetta lungi dall'attenuarsi e dal disparire, come altrove, ai radicò più profondamente e provocò terribili rappresaglie in seguito alle debolezze e all'ingiustìzia della Giustizia. Nel diciotte&imo secolo si constatarono più di 800 assassina l'anno. Questo terribile consumo dì vite umane si compiva senza rimpianti e senza rimorsi sotto l'implacabile fatalità che faceva della legge del taglione una legge di natura: « Non sì piange il padre assassinato — diceva la madre ai fiali, — lo si vendica! ». Dopo l'annessione alla Francia, i costumi còrsi non si addolcirono affatto. Fra il 1840 e '50. nel solo villaggio di Marignana, vennero uccise per vendetta una quarantina dì persone e, nel '22, a Castagniccia, Castelli per una falsa testimonianza ne mandava all'altro mondo 14. E questo si spiega. Per secoli, i còrsi sono vissuti sul piede di guerra per salvaguardare la loro indipendenza. Mai pace stabile. Nessuna autorità superiore capace di curvarli sotto una disciplina sociale. Al contrario, l'anarchia amministrativa, l'ingiusto timore della Giustizia, il focoso scatenamento delle passioni, la perpetua minaccia della morte violenta. Di qui, la necessità di farsi giustizia per conto proprio, e, per i membri di una stessa famiglia, di unirsi per misura di difesa contro le minaccie. E adesso? Adesso, la giustizia procede un po' meglio. Ma l'apatìa delle Autorità, le condizioni economiche e politiche della Corsica, restano tali che la vendetta può continuare a germogliare. L'attrezzamento economico e sociale è scandalosamente in ritardo su quello, di cui beneficiano gli altri Dipartimenti francesi e anche le lontane Colonie conquistate in questi ultimi trenfanni, il Marocco, per esempio. Ma le attuali misure?... Se anche riescissero a liberare la macchia di tutti i suoi ospiti indesiderabili, non per questo il banditismo scomparirà dalla Corsica, perchè la vendetta, origine e causa del banditismo, non può essere curata con una operazione di Polizia. Essa è come una malattia del sangue, che non si guarisce tagliando i foruncoli che spuntano qua e là, ma con una cura metodica e regolare. E' tutta una questione di rieducazione sociale. Un « virus » del sangue Rieducazione lunga, paziente, e, certo, difficilissima, perchè il virus della vendetta, frutto di uno stato sociale anarchico, vive non soltan't0 aUo stato saprofitico nel sangue dei poveri montanari còrsi, che si ' gettano gli uni contro gli altri in un furore cie^o di distruzione senza sa pere troppo bene il perchè, stru¬ ii menti incoscienti di impulsi irresistibili, venuti dal passato, ma anche nel sangue di còrsi che, per educazione, cultura, condizioni di vita, dovrebbero avere superato questi impulsi primitivi della natura. Fortunatamente, in questo caso, lo spargimento del sangue è raro. Ma il virus esiste: le prove e gli esempi non manchano. Ad Ajaccio, non vi dico una novità, vive ovunque il ricordo di Napoleone: tutta la città è posta sotto la sua maestosa evocazione. E' una cosa che ossessiona. Io abito all'hotel dell'Imperatore in avenue del Primo Console, consumo i pasti al ristorante Bonaparte e prendo ti caffé al bar Napoleone. Ma siamo in Corsica, il Paese della vendetta, e questa non è caduta nè davanti all'Impero trionfante, nè davanti al Vinto di Sant'Elena. A pochi chilometri da Ajaccio, al sommo delle montagne del Nord, un castello bellissimo veglia al di sopra dei ricordi napoleonici per offuscarli con una specie di insolenza magnifica. E' il castello Pozzo di Borgo. Sul frontone, una iscrizione avverte: « Gerolamo, duca Pozzo di Borgo, e Carlo, suo figlio, hanno fatto costruire questo e difizio con le pietre provenienti dal palazzo delle Tuileries, incendiato a Parigi nel 1871, per conservare alla natria córsa un prezioso ricordo della patria francese. L'anno del Signore 1891 ». Ciò che l'iscrizione non dice, ma la storia ricorda, e , è che le Tuileries furono la dimora imperiale di Napoleone. Ora saprete che, durante la sua prodigiosa carriera, questi incontrò sempre davanti a sè un nemico implacabile, un compatriota, il diplomatico Carlandrea Pozzo di Borgo. Thiers, accennando alla loro inimicizia, ha scriifo che essa ha forse modificato l'andamento della storia. Napoleone e Pozzo di Borgo Ma, da giovani, furono amici. Leggevano insieme Montesquieu e altri autori di politica e legislazione. Insieme si esaltarono per le idee di libertà giunte in Corsica dopo la presa della Bastiglia. Ma il 13 settembre 1791, Pozzo di Borgo è eletto deputato alla Legislativa. Napoleone ne prende ombra, perchè a quél posto avrebbe voluto vedere il fratello Giuseppe. L'anno successivo, questi è ancora battuto. L'ostilità sorda fra le due famiglie aumenta. Scoppia, quando Pozzo, diventato capo delle truppe còrse, invia un distaccamento per impadronirsi dei Bonaparte. Letizia avvertita in tempo, fugge con i figli, si dà alla macchia e scende a Bonifacio, riuscendo a raggiungere la Francia con un veliero. Napoleone diventa, a tre anni dalla sua partenza dalla Corsica, generalissimo dell'Armata d'Italia. Le sorti si invertono: inseguito da inviati di Napoleone, Pozzo di Borgo si rifugia in Inghilterra. . L'antagonismo dei due còrsi si e l o è e a e o a i svilupperà ora in un teatro più vasto. Mentre Napoleóne raggiunge l'apogeo della potenza, diventa l'imperatore dei francesi, padrone d'Europa, il proscritto Pozzo erra, senza famiglia e senza fortuna, per le Corti d'Europa, scrive memoriali su memoriali, si mette al servizio della Russia, dell'Austria, dell'Inghilterra, suggerendo, provocando contro il nemico personale le coalizioni più fatali. Le vittorie di Ulm, Austerlitz, Jena, Wagram non lo scoraggiano. Avrà partita vinta soltanto a Waterloo. Dopo questa battaglia, potrà dire a TaTleyrand: «Non sono io che ho ucciso politicamente Bonaparte. Ma io gli ho gettato l'ultima palata di terra». Ma la vendetta non è finita: deve avere la sua consacrazione. Dopo la Comune, il figlio di Pozzo di Borgo si precipita a Parigi, compera le rovine fumanti della dimora imperiale, le fa trasportare con spese enormi in Corsica, le issa a 650 metri sul mare, facendo, con un raffinamento meraviglioso, ricostruire esattamente il pavillon centrale delle Tuileries. Così quest'opera superba di vendetta alfine placata troneggia là di sopra della città, donde è partita la fortuna di Napoleone. C'è da fremere. Ma, di lassù, la veduta è così bella sull'ampio golfo, sulle montagne, su quasi metà della Corsica, che essa, lettori miei, concilia con l'isola, dove fermentano così terribili passioni. PAOLO ZAPPA.

Persone citate: Bonaparte, Carlandrea Pozzo, Castelli, Leonardo Da Vinci, Pozzo, Primo Console