In Alsazia, al Castello del Kaiser

In Alsazia, al Castello del Kaiser UOMINI E PAESAGGI DI FR/VINCI/V In Alsazia, al Castello del Kaiser (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)- ~Ei_E8TAT, novembre. 'Allo svolto della strada appare improvvisa, contro il cielo lavato 'dalla pioggia, la mole del fastello imperiale. La massa di granito rosso dei Vosgi -i staglia sull'orizzonte, coi profili angolosi e acuti delle torri e dei pinnacoli: sembra uscire da una illustrazione di Gustavo Dorè. Da una parte e dall'altra, fino all'estremo limite dello sguardo, la verzura cupa e umida dei boschi alsaziani; più in là, in fondo, la linea del Reno dove non passeggiano più le Ondine ne trasvolano le Walkirie, ma è rimasto invece, nell'amarezza e nel rancore delle fólle, il ricordo dei soldati negri che la Terza Repubblica ha mandato a segnare il passo della Vittoria... Il Castello domina il paesaggio. \Le antiche carte lorenesi riferiscono I ìche anche qui, come dovunque in, Europa, esistette un giorno il segno orgoglioso di Roma, il Castrum. Gli Hohenstaufen vi edificarono il Castello, tre volte distrutto, tre volte ricostruito, come un segno di potenza e di dominio sul vasto paese alsaziano. Un giorno, or son trent'an*l, l'Imperatore Guglielmo passò di qui, e visitò le rovine: erano rimaste intatte, dopo l'ultimo incendio appiccato dagli svedesi, nel 1633. Si innamorò della località, e si :« fece offrire » il terreno dal Comune di Selestat. E subito dopo i suoi architetti si posero all'opera, per creare sulle rovine l'edificio che l'Imperatore ambiva di possedere, come « casa di caccia » alle porte détta Francia. I critici d'arte, quelli francesi specialmente, hanno scritto che U Castello è brutto... Può darsi, Esso non obbedisce alle leggi armoniose dell'architettura gotica nè dell'architettura classica: è violento, disordinato, « teatrale ». Ma in questo fosco paesaggio montuoso (il Castello sorge su una enorme roccia fatta a piramide), lf. sue linee acquistano un rilievo scenico, e il vecchio maniero restaurato esprime, con sonora pienezza, il fascino romantico e brutale ad un tempo dell'antica feudalità germanica. Si è molto parlato, durante e dopo la guerra, del cattivo gusto di Guglielmo II. Vi è, probabilmente, molta esagerazione in questa accusa. In un secolo disperatamente incline agli snobismi cerebrali o alle praticità accomodanti della vita borghese, Guglielmo di Hohenzóllern — ultimo erede spirituale di un feudalesimo lineare e orgoglioso — (conservò il culto delle forme che caratterigzarono, nella sua terra tedesca, il calunniato Medio Evo. Ogni suo gesto parve « teatrale » bi popoli che si erano fatti, nell'Europa del '900, una mentalità da camera ammobiliata. Ma se egli visse e si mosse in mezzo a sfondi cinematografici di epopea, è giusto dire e riconoscere che vi portò uno spirito non volgare nè plebeo. Per questo il Castello di Haut Koenigsburg — su cui oggi sventola la bandiera francese — è ancora, essenzialmente, suo... «Affrettiamoci, signori! » Il mobilio delle immense sale è promiscuo e bizzarro. Tutte le epoche e tutti gli stili vi offrono un tributo. Ma quando si entra nella Sala delle Caccie, si avverte una nota « di colore x> inconfondibile con qualunque altra. Negli infiniti trofei che s'allineano lungo le pareti colossali intrecci dì corna di cervo fra cui si allungano, biancheggianti, le zanne dei cinghiali — parla il suo muto linguaggio tutta la tra dizione venatoria dei Principi, dei Granduchi e dei Conti che traevano ogni anno dalle terre di Prussia e di Baviera, per far corona all'Imperatore. Come dovevano risuonare di corni squillanti e di gioiosi ballali le selve di Lorena e di Alsazia, quando Guglielmo II — avendo al fianco il fedelissimo Freiherr Von Heintze Wetssenrode, Gran Cacciatore dell'Impero — passava chiuso nell'abito di panno grigio, recando sotto il braccio rattrappito il suo perfettissimo Hammerless! Non dimenticava mai di portare al collo il collare di Sant' Uberto, con la scritta francese : « Vive le Roy et ses chasses! ». E tirava bene. Indipendentemente dalla cortigiana premura con cui gentiluomini e battitori spingevano la selvaggina sotto il fucile imperiale, il Kaiser faceva sovente dei colpi da maestro. E' rimasto celebre il ricordo di due cinghiali che balzavano con fulminea rapidità di roccia in roccia, inutilmente fatti segno a raffiche di piombo, e da lui abbattuti successivamente con due colpi classici, in mezzo alla fronte. L'Imperatore aveva qualche volta pintvdm«rutsscoddlenfLcmenspeic«ns«rgdcanmedtlbrsIncAbvphdadcddei gesti pieni di umana semplicità.',Una volta, durante le caccie. incontrò una famiglia di boscaioli alsaziani che, spaventati dall'irrompere della comitiva imperiale, si rannicchiarono fra i vecchi tronchi confusi e spauriti. Il Kaiser, avvici- jnatosi, volle vedere % resti della ma-1arissima cena che stavano consuman-\do. Poi, rivoltosi ai gentiluomini che lo circondavano, disse: # Signoriaquest'oggi, la nostra caccia andrà a'1beneficio di questa povera gente, Metto all'incanto il primo capriolo che ucciderò... ». \Naturalmente, la niccola « asta »'ifhjffò largamente. Si dice che qui, I , i r e , e i o , o a fo n o . e n — » à i i o o t a , è a a i o a ei o e me o n ao o o io a t e ui o eei ee di ti ui e e. a per l'ultima ed unica volta nella sua in mezzo a questi boschi, l'Impera-\tore abbia avuto un giorno — forse vita — la sensazione profetica del domani, ed abbia esclamato — fermandosi sull'orlo di un ruscello —: « Affrettiamoci a godere questa terra d'incanto, signori... Chissà che un giorno non dobbiamo restituirla! ». « Io non l'ho voluta » Sono entrato nella sala delle feste. La prima cosa che colpisce lo sguardo è il camino monumentale, circondato da una pesante e fastosa ornamentazione di grifi, di santi e di cavalieri. Quando le fiamme ardevano nell'immenso focolare, e la legna scoppiettante mandava turbini di fumo e di faville verso il sof- fitto affrescato a motivi aràldici da Leone Schnug, la luce rossa del fuoco doveva trasformare fantasticamente, alle pareti, i volti accigliati e severi degli Hohenzóllern... Ma più che il camino, impressiona la griglia. Opera paziente di un soldato cesellatore, che vi impie<i per un anno ì suoi ozi di invalido, essa fu terminata nel 1917: reca incisa fra la ramaglia metàllica, la celebre iscrizione dettata dal Kaiser : « Ich habe es nicht gewolt! »: c/o non l'ho voluta! ». Si resta involontariamente pensosi... Molte affermazioni e molte « sentenze » ha già riveduto la storia, in questi precipitosi anni che seguirono la guerra del mondo: molte di quelle che sembrarono — e necessariamente furono — le verità apodittiche degli anni tremendi, so no andate diventando a poco a poco materia di indagine, di discussione e di critica. Davanti a questa griglia dove il solitario di Doorn ha voluto tracciare ed imprimere l'alibi morale della sua spaventevole responsabilità storica, si pensa alla politica russa del 1913, agli intrighi del signor Poincaré coli' Ambasciatore Iswolski, alle documentate rivelazioni — troppo frettolosamente soffocate nel silenzio — del signor Louis, Ambasciatore di Francia a Pietro burgo, e ci si domanda: Se fosse vero? O se, per lo meno, fosse un poco vero? L'Europa dei Trattati, quella che ha creato il mantello d'Arlecchino dello Stato jugoslavo, farebbe bene a domandarsi qualche volta, prima di ripetere la serie di luoghi comuni che ha accompagnato il tramonto del Kaiser, se qualchedun altro non ha, più di lui, la responsabilità di avere appiccato l'incendio del mon do, colle rivoltellate di Serajevo, Passo nel gabinetto da lavoro dell'Imperatore. E' di un gotico arcaico, pieno di potenza suggestiva. Nu do, scabro, severo, sembra, più che uno studio, l'interno della tenda di un condottiero tedesco del secolo sedicesimo. Pareti e pavimento, sono intagliati in tavole di grossa guercia, grossolanamente squadrate, ed unite da bottoni colla punta a triangolo. Po chissimi mobili: sgabelli in ferro battuto, sui quali si accumulano pelli d'orso bianco e nero, Si ha l'impressione del bivacco, Si attende di veder entrare, di momento in momento, una turba di guerrieri che trascini i prigionieri e ì vinti davanti al signore del luogo, Mi affaccio alle alte finestre ogivali; una luce temporalesca entra e si frange contro le pareti oscure, Lontano, verso il Reno, le campane suonano, dai villaggi, a ondate. Nessun edificio moderno, nessun comi gnolo di fabbriche in vista: l'illusione è completa. Si può benissimo supporre, dimenticando il calendario, di essere ribalzati indietro, nel passato « di ferro », nei tempi in citi gli Hohenstaufen da questo lor nido d'aquile, sbarravano all' invasione dei fiamminghi e degli svedesi la strada della terra tedesca, La sua ombra.., C'è ancora qualcuno, qui, che ha vissuto accanto all'Imperatore. E' un vecchio guardacaccia, che gl\ eventi politici non sono riusciti ad allontanare dalla sua terra: egli la custodisce, per lui. La maestà delle memorie opera ancora su questo vecchio, e trasfigura il suo volto rugoso quando si ricorda, davanti a lui, l'Imperatore. — L'ultima volta che venne qui, era stanco, pallido, preoccupato. Soffriva, signore. Sentiva che cominciavano tempi tristi, per la Germania. Poi mi chiede timidamente, senzatimoroso di farsi sentire: — Credete che resterà seniorelassù, signore? Che non lo rivedremo più, in Germania? Lassù! Quando il vento del Nordà.',piega le alte guercie nel parco dinaeni Doorn, e le ali dei mulini ruotano vorticose nel malinconico, lagunare paesaggio d'Olanda, l'uomo canuto che espia — nel silenzio e nell'isolamento — il tragico errore déll'lm-i- j pero, ripensa spesso, certamente, a a-1questo castello feudale, ben più vin-\cino al suo spirito ed alla sua mene talità di quanto non lo sia la casa ia moderna dell'esilio, a'1 Certo egli non tornerà più, qui. La e, fredda prosa burocratica della Ci¬ .. -o restane generale delle Belle Arti di \Alsazia e Lorena, ha trascritto nel»' registro dei beni immolnliari seque-i, strati alla Corona, queste indicazio- nmslem, suddito tedesco, ex-Impera-fcni: « Castello di Haut Koeniasburg, proprietà di Guglielmo di Hohenzol- tore ». Quando lascio il Castello e dissen¬ nl'maMe imTssledo sulla strada tortuosa — storno ' ra settecento metri e l'aria è fred-\$aissima — odo suonare, lontane, le\ trombe del rancio in una Caserma sfranrpto Mi „7J„ „„„ua. bjrancese. Mi richiamano alla realta: lemt ricordano che fra i giorni delle lecaccie imperlali nella dolce terra\^d>.7„_ • . . . , , _ 'dA<sa«uz e questa visione del Ca- mstello, c'è stato il sanguinoso rima- raneggiamento della carta d> Europa fe c e stata — enorme parentesi — la Guerra... L'ultimo saluto Giù, in città, in una di quelle birrerie che conservano intatto e pesante il tipo e l'ornamentazione tedesca, mi sono trovato, la sera, con un altro uomo che fu vicino all'Imperatore nelle ore supreme: quelle che precedettero la partenza per l'Olanda. E' un antico soldato del battaglione speciale che presidiò la villa di Spa, quando già la rivolta serpeggiava fra le truppe, e le teste di ponte vedevano affacciarsi minacciosi cortei di ammutinati... — Si è detto che il Kaiser era spaventato. N071 è vero, signore. Non dimenticherò mai, neanche se vivessi mille anni, il momento in cui la macchina del Kronprinz irruppe rombando attraverso i cancelli della esgpcVilla, e padre e fiqlio scambiarono ^■ 'vun abbraccio silenzioso. Tutti gli ufficiali tacevano, irrigiditi: il Maresciallo Hindenburg teneva la testa bassa, e tormentava colla sciabola il terreno frustato dalla pioggia. L'Imperatore era pallidissimo, ma dtsbdtranquillo. Si volse verso il Generale■fòGroener — l unico che aveva osato, ncolla morte nel cuore, dirgli la ter- iribile verità! — e chiese ancora, zquasi timidamente: — Signori, se io lmrientrassi in Germania alla testa della mia Armata?... , Una voce grave e triste — nessuno ha mai saputo da chi sia partita tuu— si levò in mezzo al gruppo degli i auffidali: — Sire, Voi non avete più, armata... Tutto era detto, n Kaiser si volse di scatto verso l'angolo del giardino dove si intravedeva attraverso ali alberi stillanti, fermo sui binari, il treno speciale che da due giorni era pronto. Soltanto hi quel momento egli sembrò comprendere che la arande avventura della Germania imperiale finiva. Quando le prime luci dell'alba fzC. spuntavano a illividire l'orizzonte, il \ pretto si metteva in moto leniamoti- 'te, scivolando sulle rotaie. Nel vano '■ del finestrino l'Imperatore immobi- , ' . j , „ , , .le, con una piega dolorosa alle lab ' bra, levò la mano inguantata di bianco per rispondere all'ultimo saluto: il presentat'arm di un soldato del battaglione Rohr. No, non vi è stata nè debolezza nò volgarità nella fine di Guglielmo II. I popoli non perdonano agli idoli crollati, se nel loro crollo entra il ridicolo. E se una malinconica bellezza non avesse, almeno per un momento, velato il tramonto di colui che fu detto il « Signore della guerra », non si spiegherebbe come, in tanti cuori tedeschi, sopravviva il ricordo devoto dell'uomo che giungeva improvviso atte mense dei Reggimenti o nel quadrato degli incrociatori, e diceva, sbarazzandosi del mantello bianco: — Signori, l'Imperatore vi chiede di invitarlo a pranzo... Anche di queste cose, è fatta la Storia. ITALO SULLIOTTI.