Stradella e Paisiello

Stradella e PaisielloStradella e Paisiello Prendete carta e penna, se volete veder chiaro nella Forza d'amor paterno, la prima fra le opere del famoso Alessandro Stradella, che venga intieramente stampata, e rappresentatene l'intreccio con lettere, punti, linee, freccio. Il quadrato intersecato da diagonali, fasciato da parallele, con segmenti tangenziali infittì nei lati, che risulterà dal vostro momentaneo ritorno agli sgraditi =ser cizii sulla lavagna scolastica, esprimerà la moltitudine dei personaggi, il cozzo delle loro passioni, la fortuita degli eventi, l'animosità o la benignità del fato o degli dei (invocati soltanto per finzioni o licenze poetiche, che l'autore non avrebbe proprio voluto apparir pagano agli occhi del cattolicissimo censore !), e il lieto fine della penosa istoria della bella Stratonica. La quale doveva sposare il re Seleuco, vincitore della sua gente, e non l'aveva mai veduto ne incontrato, ed era follemente amata dal figlio dello stesso re, Antioco, che, vedutala solamente in effigie, se ne era innamorato fino a impazzire. Impietosita del giovane, ella l'avrebbe gradito più de! papà, ma seppe frenarsi in omaggio a supreme ragioni di moralità. Fu Seleuco stesso, che, rinunziando a Stratonica, la dio in isposa (oh ! forza d'amor paterno !) ad Antioco ; questi avrebbe dovuto sposare Lucinda, della quale egli non voleva sapere, mentre Lucinda era amata, lepidamente riamando, da Arbante... Attorno, disponete una raggiera di strali, quelli che la vecchia llubia e il vecchio Silo lanciavano con troppo usati sorrisi contro chiunque di sesso diverso venisse loro a tiro, e avrete sotto gli occhi una dello meno intrecciate opere italiane del Seicento, e la sola dello Stradella, rappresentata probabilmente nel 167S, che, come dicevo, sia ora stampata, grazie all'esperta elaborazione del maestro professor Alberto Gentili, editore il Ricordi. Da tale pubblicazione illustrato e divulgato, può darsi che lo Stradella abbia a perdere un poco di quella glo ria tutta ipotesi e favole che l'aveva ricinto; in compenso egli acquisterà il diritto a una ben fondata stima del suo valore, considerato intrinsecamente e in relazione alle opere dei suoi contemporanei. Con essi ebbe comune il gusto del melodramma frammentario, incoerente nella successione delle scene, net tamente distinto in arie, effusioni li riche, e in recitativo, espediente banale per menar avanti l'azione e informarne gli ascoltatori; quanto essi intese poveramente la potenza dell'eloquio strumentale e fu servile alle prepotenze della moda teatrale. La pochezza o la bassezza degli ideali nel secolo decimosettimo è evidentemente rispecchiata nei melodrammisti che seguirono agli augusti compositori, liberi, geniali e progressivi, del pri ino Seicento. Ma non si vorrebbero cercare proprio nel musico Stradella, dalla vita dissipata e sensuale, atteggiamenti artistici sdegnosi o ribelli e accenni di rinnovamenti estetici. Piace assai, anzi sorprende, di ritrovare, sia pura talvolta fra le formule usate ai suoi tempi, una vena di musica singolarmente impetuosa e appassionata, la quale non adduce il ricordo d'alcuna altra fra le molte allora fluenti, con compiaciuta gioia dell'udito, ma subi tamente involge il dramma e ne resta improntata, e lo impronta e moltiplica con l'esaltazione che è propria dello spirito musicale. Infervorata, la musica stradelliana non s'affloscia o sbadiglia nel recitativo, nò ballon zola o volteggia nelle arie, ma in ogni forma palpita e vibra, concisa e poe tica, e non è solo vocalità ma anche complessità armoniosa; pare, in tali casi, che anche gli istruinenti lascino il loro umile officio di intrecciare scolastici accordi e imitazioni, e concorrano alla drammatica rappresentazione, con gli accenti che l'arte di istante in istante inventa, giovandosi di qualsiasi mezzo ed elemento. E si .vorrebbero più frequenti e numerosi, tali episodii, nei quali l'artista lirico appare compenotrato di drammaticità, e reciprocamente il trageda invaso dalla poesia ! Ma, come molti altri italiani, lo Stradella, sostanziai mente lirico e frammentario, tentò senza alcuna preparazione spirituale il dramma, che vuole altissima dignità di propositi, e restò schiavo dei convenzionalismi teatrali. Per quan to si conosce del suo Trespolo tutore, meglio riuscì, come altri italiani nella spregiudicata opera comica. Questa nostra ormai annosa tesi otterrebbe probabilmente consensi dagli amici della buona musica, i quali, osservando, e non per tentare assurdi confronti, passassero dalla recente ed izione dello Stradella a una famosa farsa del Paisiello, che oggi appare finalmente stampata. Per una casuale coincidenza, mentre Raffaele Viviani rinnova la fortuna di quello spasso rissimo Socrate immaginario, cui col.aborarono l'argutissimo Galiani e il praticissimo Lorenzi, l'Associazione dei musicologi italiani pubblica l'a .nona o felice musica (ridotta per pianoforte e canto dai prof. Barini) che Paisijllo compose per quella farsa Qui l'osservazione diretta della vita determina un'arte sincera e una drammaticità umana e poetica insieme. Le convenzioni accademiche, il virtuosismo e gli altri acciacchi dell'opera seria sei-settecentesca hanno riflessi esigui, trascurabili. 11 tono è, quale doveva essere, faisesco. L'osservazione psicologica si risolve in espressioni patetiche o in caustiche ironie. L'occhio dell'artista scruta i personaggi, li scompone; la sua mano li forma e coloiiscc. Don Tammaro Promontorio, il quale, infatuato della filosofia greca, vuol che tutto in casa sua sia ellenizBato, risulta perfettamente balordo e sollazzevole attiayersp l'incisiva, ca- m,- cjsollazzevole attiayersq l'incisiva, ca-' ricaturale agilità e abilità della penna di Paisiello. Non resta inerte, don Tammaro, nella commedia musicalo, ma ne diventa centro Le sue baruffe con la moglie e la figlia diventano quadretti gustosi. Gli iusicme, la complessa forma che la frammentaria opera seria non riusciva ad assimilare, son riusciti a meraviglia; quello della lezione di lingua greca e di danza greca, che procede nel tripudio degli scolari e termina in un'orgiastica baraonda, e l'altro, della cicuta, quando don Tammaro, deciso di morire come Socrate, beve il sonnifero approntatogli dai famigliari esasperati, e dà l'addio alla vita, e l'altro, che è parodia della scena dello furie nelì'Or/eo gluckiano, giustamente concorsero a dare fama europea al compositore tarantino./ Donna Rosa, la moglie di Socrate secondo, che i librettisti avevano descritto bonacciona e « mezza calzetta », viene squisitamente completata dall'operista per la parte psicologica, nella sua impotenza contro quel marito irragionevole e fastidioso. I suoi rabbuffi, interrotti da qualche irresi- mossa liricità, tibile minchioneria di lui, costituiscono ariosi bellissimi, nello svolgimento sentimentale, cui corrisponde a mutevolezza dei periodi musicali e degli accenti patetici. Lo sfogo della sua tristezza, por l'infelicità della figliuola e per il disordine della famiglia e della casa, divenula ormai argomento di schei no per tutta la città, provoca alcune fra le più bel'" '\nitiene jiaisiellianc, quelle nobilissimo pur nella loro semplicità quasi popoaresca, soffuso d'ima così romantica sensibilità, carezzose e toccanti. imnmAtmicadpiù fine qualità d'arto, anello la ritroverebbe in Paisiello, nel Barbiere, nella Nina, nella Molinara, posteriori al Socrate immaginario del 1775. qTnLl& GJ\.h"L"°.*.'nol,'1i^altri, la concezione se-!mespressione r. vera d'una ben contesta tragedia. Po trebbe darvi soltanto auaTche indi \V! Emcnticabile frammento della sua coni A. DELLA CORTE lI s! p

Luoghi citati: Antioco, Molinara, Stradella