Festa dell'uva azzurra

Festa dell'uva azzurra X-i .A. "V I T .A. FACILE Festa dell'uva azzurra -(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE) .MERANO, settembre. Festa dell'uva in tutta Italia. E anche Merano, unanime, festeggerà le sue uve azzurre, immagine e vanto del cielo della Passiria. Sarà, a giorni, il più grande richiamo del paese e della valle. Da una settimana, ricominciata, la grande, stagione autunnale, si può dire che nessuna giornata sia trascorsa senza la sua allegria. C'è stato il torneo di tennis; e il solito raduno dei puledri Avelignesi; '1 'a inaugurazione dell'allevamento dei castori: questi costruttori senza Pa". clle facevano dell'edilizia nove ccntesca già un centomila anni iu¬ sgonie, mazzetto di stelle alpine o fe nanzi Véra volgare. E da poco s'era avuta, dopo la raccolta dei mirtilli, la benedizione dei fiori, che la Madonna di mezz'agosto impartisce a tutti, per piccolo che sia il corbellino offertole: dalie o gerani, fucsie o be- stone di rose tardive : di quelle rose che ancora splendono a grappi sulle mura di Maja alta, incontro a un sole degno di Sorrento e di Taormina. Ma ora sarà la festa dell'uva, ch'è la più grande, la più bella e più attesa di tutte. Cornucopia altoatesina Già la vediamo, questa celebre uva azzurra, tingersi, e invaiare sui corni¬ \celli. E' la stessa che dissetò Goethe;\che assopì, dopo una panciata, Mo-Vrilz von Schmind, ispirandogli nei\sonno la Sedia di posta: che parve'tanto succosa, allo stesso Heine, generalmente di. malo stomaco e di. malo umore. Si badi che. allora, essa valeva assai, meno dell'attuale. La blauentrauben in cui il dottor Huber, infermiere duna principessa, già indicava nel 1837 il toccasana per ec- ccllenza, era, certo, un'uva salutare e saporita, ma ancora povera, di zucchero, e di un aspetto assai gramo in confronto a questo, recente, che riempie d'orgoglio i buoni coltivatori della Passiria, e di gioia i nostri occhi, ghiottoni. Dobbiamo ripeterci. ? Tutte, o quasi tutte le belle cose dell'Alto Adige sono dovute all'applicazione. In cento anni, le vigne mcranesi sono ingigantite di. pregio; cosi come i cavallini avelignesi sono cresciuti in forza e in rapidità: come gli abitanti stessi hanno straordinariamente migliornrato il. proprio aspetto, liberandosi dal gozzo, dalla rachitide, e da tutte, insomma, le afflizioni che possono colpire le razze nella costrizione della vita, alpina. E' curioso come. Merano — proprio quella Merano in cui i Tedeschi ponevano, tra luce e sole, il Paradies della regione tirolese — fosse segnalala da ogni viaggiatore come un paese di genie bruita. Paradiso, si: ma senz'angeli. E la « brutta duchessa », la terribile Maultasch, pareva esservi nata apposta, laida, tiranna di sudditi sgraziati, per far più sensibile il contrasto tra i vezzi della natura e i ceffi degli abitanti. Persino il mite Tópffer passandovi un cento e più anni fa in uno dei stioi viaggi a zig-zag, eratutto spiacente di non avervi incontrato che sdentali e deformi. Ed ecco qua un libro, che non ha più di mezzo secolo, e in cui Jules Leclercq, raccogliendo appunti tracciati A' travers le Tyrol, ancora testimonia che « la population de Merari est l'une des plus laides de l'Europe, etant petite, che vive et rachitique. Et puis, que de goltreux! ». Ebbene, oggi, domandate a qualsiasi medico dell'Ufficio di Leva se la gente atesina, e in particolare la meranese, soffra molti scarti a'.la reclutazione: o se, al contrario, essa non fornisca regolarmente quella gioventù di cui il Duce, in una parala recente, ha tanto ammirato la fisica armonia. Quanto alle fanciullediMerano, oso dire, con tutto riguar- do alla loro avvenenza e senz'alcunscapito della loro reputazione, che intutta la Venezia tridentina son le più sollecitate e sollecite 7iel dare nuovi cittadini alla Patria: in che, ripeto, non s'ha da vedere che il premio della loro leggiadria c della loro acco¬ \glienza. I Come ha aggiustato gli uomini, Me Wrano ha perfezionato le vigne. A Val ta la frutta dei suoi orli essa e riuscita a. conferire un lustro forse unico ni mondo. Che sanila! Che pulizia! E che tinte! Mirate l'azzurro dell'une, e confrontatelo, al color di rosa delle mele appiole. E' quell'azzurro che sta negli occhi, è questo roseo che sia sulle gole delle belle paesane : preziosi frutti, pur esse, d'una terra favorita da Dio, ma, soprattutto, ma¬ lagusi dice che i. ciliegi nacquero da un miracolo. Qui il miracolo, cui dobbiamo si gran pompa d'uve celesti e di mele lucenti, si chiama volontà. Festeggiando le proprie vigne, i Meranesi fesleggieranno quindi, e con pieno diritto, lo zelo e la fatica, l'ingegno e la fede della propria secolare abnegazione. Sarà l'Allegoria della Disciplina, celebrala, come al tempo dei tempi, nel grappolo simbolico. E surà d'onore e di letizia per lutti. Il segno di Roma L'Italia intera, l'antica e la nuova, deve volgersi auguralmente a questo rito vendemmiale. Più dell'acquedotto e del pulvertum, più d'ogni altro delubro della latina civiltà, il segno più certo del domicilio romano nelle valli dell'Adige resta infatti il ceppo di vigna. Perchè l'uva colorata e succosa non fu soltanto una fantasia mcr>Monatc, un estro del sole in una Verra del nord. Fu anche un'impresa à'uomini. E questi uomini erano ita l'0*'- tgniflcala dagli uomini. In Pusleria'-venivano coi saldali di Druso, seguivano i fondatori di strade, di torri e dì ponti. Poche vigne erar, già, sparse pei clivi: ora essi le rad drizzarono, le moltiplicarono, le obbligarono, rinvigorite, a suggere e riesprimcrc dalla terra il meglio del suo dolce umore. Tìomana fu la prima disciplina orticola: e fu proprio nell'erigerc a pergolato, trionfalmente, la pianta che languiva e inaspriva, confusa fra le eriche e gli spini. Ancora, dopo tanti secoli, restava la testimonianza del fatto nello stesso linguaggio degli occupanti tedeschi: e ancora si diceva per/.eln; ancora si diceva spigeln, per spigolare i grappoli, e firmen per fermare, rafforzare i ceppi. Ma di tale riconoscenza dovevano restare, oltre alle parole, le feste. Le quali feste vendemmiali della Passiria serbano ancora, quasi intatti, gli antichi caratteri pagani: e quando, a giorni, vedremo per la strada maggiore e la. Promenade passare i grandi carri istoriati, grondanti mosto, al passo di sei giovenchi parati di ghirlande, penseremo che non molto diversi dovettero vederli, prima d'allontanarsi al di là della Via Mala, i legionari incamminati ad affrontare, dopo i Iìezi, i Teutoni, per ridurre e gli uni e gli altri in signoria. Uomini d'arme, ma gentili, lasciarono essi questo dono alle terre conquistate : e il non molto sangue sparso fu compensato, dice lo stesso Grohmann, dal moltissimo vino sgorgato allora e poi dalle viti riprosperanti. Da allora, infatti, la vigna dominò il paesaggio atesino : e i neri abeti, le dure quercie indietreggiarono, là dove la sopraggiunta veniva, coi suoi filari volubili, col suo passo di danza, a domandare il suo posto al sole. Fu la despota amabile di tutte le balze. Fu la vezzeggiatrice e l'animatrice dell'intera plaga: e canti, balli nacquero per lei; per lei massime, leggende, riti, costumi. Ogni mito, anche il più arretrato, della regione, parla di vite e di grappolo. E' il tralcio che trovate nelle scolture bizantine di Castel Tirolo. E' una botte che vi appare nello stemma di Kiif.tlein. Sono gli stessi molivi bu colici e spesso bacchici che discendo- \no dagli ornati dei vecchi maestri al le insegne di ferro battuto, dalle im\prese dei priori — grandi pigiatori ìd'uve e insegnanti di bonum vinuni alle ridenti frcscalure di Martino Knoller, un pittore che scopriva nel calice i più bei rubini della sua tavolozza. Siepi di vigne aveano i chiostri di Appiano, di Caldaro: i più appartali, i più austeri, i più santi. L'ho scoperto io, sulla strada di Schonna, un, San Valentino piluccali- le da un piare, mentre gli. gorgheggia all'orecchio un lucherino; e nell'insegna d'una Weimlubc, in Val d'Isarco, un Sant'Urbano, barbalo come un re di picche, e. con un piatto iti uva in mano. E non posso dire con certezza, perchè un bicchiere quel giorno l'avevo berillo anch'io, ma mi pare che anche uva Santa Erica, li ccccaccanlo, si fosse messa, come unaì sscoiaretin feijcc, due coppie di cilic-lgie sopra gli orecchi. Perchè non Ielofferle sole, ma gli s'essi attributi dc-\gli altari, da questi- parti, son più dilfrutta che di fiori: e u vedete, nelle chicsinc barocche di-Ila Pustcria, i beali con dei tralci sulle braccia, gli angiolini in gloria chi: mordono, a piena ganascia, contro poma vermiglie: mentre sorride di lassù, nella panna montala dell'- nuvole, quel Padre Eterno che nella vetrata del Duomo di Bolzano ha. nilil-rittura l'aspetto d'un Gambtino. I'. vigne sono dappertutto; fin dove .arrivi un raggio, una punta del soli- di'Dio: sulla balza e sulla cima, innanzi alla casa e intorno al tempio, fin sulla rovina romana o nel fosso del castello o nell'ombra del sepolcreto. Le chiesine dei villaggi non hanno soltanto il. camposanto a lato: ma spesso, da', l'altro lato, anche un pergolo traln cenle. E bri perniili d'oro stanno pu re dietro questa chiesa parrocchia ■' di Merano, inforno a cui. si stringono i lastroni dei tumuli margraviali, s- ìiori al passo e. pomposi d'insegp- . La notte, mentre il grande orolognilluminalo sopra il Croci/Isso esteri-' re ci indica l'ora e il cammino pi-i la via sì ben selciala del borgo, ti, direbbe che i morti signori riaprano gli occhi, Ira i vecchi porfidi, delle spolturc, a mirare i grappoli che gonfiano e lustrano, non soltanto imiiii, tali nel loro rinascere, ma d'anno : : anno più vulrili e più belli, per ui. i vera grazia ili quel ciclo che ha infuso nei loro acini vellutati anche i riflesso del suo serafico colore. \s\\\Il ritorno di Bacco Buon vino — bonum viniim, p r quanto un po' agretto — dà la florida Merano. Forse non vale quel i Terlano, cr.trhratissimo, a sette /■•glie di qui; o quell'altro, tridentin , che ruscellara dalle mense del vese vo desio, al tempo in cui i vescovi dell'Adige avean pronti, sempre, un nappo e una spada, e. si dicevoli > buongustai come si vantavano guerrieri. Ma, grazie ai regolari scassi d i terreno, alle appropriate concimazi ■ ni, alle tempestive potature, e insoi. ma a tutte le attenzioni della viticoltura provvidente, oggi anche la hi • tiglio meranese si balle con onore hi tutte le ciiologirhe competizioni. A.' bisognarono delle cure! Provatevi ■-. leggere nei vecchi statuti commini con che scrupolo, ad esempio, fos-.e fatto obbligo alle guardie campestri di denunziare i contravventori aV i legge, che imponeva di non irrigare le vili oltre la giornata di San Lorc. zo, e cioè il 10 d'Agosto: chi- dipo di allora l'acqua del diluvio è esiziale al vino di Mot-! Tuttavia, suprrn i gloria meranese resta, prima del bicchiere, il grappolo. Morbido, opini*., razzante, fragrante. Bisogna vedere, in queste giornate di raccolta, con che religione gli orticoltori di Maja alta e bassa lo van ripulendo, agghiadando, vestendo delle sue frasche e quindi delle, carte veline opportune all'imballaggio, in quelle cassette atesine da frutta che si direbbero, nel loro nitore impareggiabile, cofani da gioielli. Insieme ai grappoli d'uni azzurra, vedete disporre nelle scatole le mele calville, le pere burrine: j\'i"'a quattro per quattro, a otto per olio. tutle con la guancia rubiconda o t'tpicciuolo sbarazzino voltato da un a parte come tante girls alla sbarrache provino, col piede alzato, un bai- lettino. E la simmetria e precisa; n l'effetto è cosi grato, che si pem.,; quasi con ira al ghiottone che dovrà scompigliare, con la zampa predace, un ordine così perfetto. Ma una gran parie dell'uva rac- colta resta in paese, per la festa. Perchè ogni frutticoitore pensa anche al carro, o carrettino, da mandare al concorso per la premiazione : e si sa guanto il punto d'onore sia sensibile, da quesle parti, anche fra i bottegai, in nessuno dei quali la venalità è più forte dell'amor proprio e dell'amor dell'opera. Terra beata. Ma, soprattutto, dobbiamo ridirlo? beatissima stirpe. Tanto rude, a veder- la; tanto gentile, invece, in tutto qitello che esprime: casa, veste, ninnolo, frulto, \lorc, voce dell'anima o dono della terra. Eccola ora tutta commossa, questa brava gente, pel suo vendemmiale: mentre va preparando ghirlande, giuncate, palchi pegli addobbi, tavoli per la trincalura. E' il vecchio spirilo bacchico che rivive, ingenuamente, meritai amente, come giusto premio alla dura fatica. Le labbra assetale si preparano a festeggiare le mani callose. Spianate le rughe della preoccupazione giornaliera, le gote si fan rubizze; nei farsetti spicca qualche lustrino, nei cappelloni ondosi, qualche penna o piuma di più. Odor di mosto è già. sotto i portici; vien dai tinelli internati e sotterranei. I fanciulli han grappoli in mano. Il facchino dell'albergo spula un acino, e ripiglia una canzone. Quadri e quadretti d'ottobrate si rivedono alle vetrine. Qui è Massimiliano che passa, tra i suoi arcieri riscintillanti, e le dame insufflale, ed i paggi: e ad ogni balconcello è un pergolo d'uva cimaiola. Là è una vendemmia di Karl Pferschg: il pillor georgico, che è riuscilo ad. essere pocla persino in un famoso « Commercio di maiali». Altrove è un concorde dialogo di frali, intorno a un boccale stillante beve bene, dorme bene... — E chi be Chine dorme, non pecca...—Et qui non vo]at /j d0_ peccai, in Paradisurn mani sarà la festa. Rivedremo i carretti fiorali, coi festoni di salsiccic. E i bei costumi della Passiria, dal cappellone lanzichenecco alle calze candide, con le aggiunte cravatte e fusciacche, cordiglie e pettorine. Le donne, coi loro scialli fiorati; e gale, e collane, d'ogni esultante colore; i fanciulli, in camicia bianca, brache e bretelle verdi, rosse le dita, nere le labbra del buon succo d'uva sgranellata, come nelle bambocciate di Richtcr l'Affettuoso. Ma che dico? Fanciulli, domani saremo tutti. Per gridare, cantare, bere in libertà, intorno ai carri della baldoria; e poidopo d'aver bevuto, dormire, subito e sodo : ch'è ancora, come dialogano quei frali, il modo più sicuro d'ottenere il Paradiso. MARCO RAMPERTI.