Settembre

Settembre Settembre Il settembre ha una precocia autunnale che lo fa squillare tutto il giorno con cento sonagliere d'argento. Se anche al mattino di buon'ora un velo grigio copre il cielo, non v'è da allarmarsi. Senza che ve ne accorgiate, svanirà il leggero vapore, ed il sole trionferà. Si sbendano le montagne azzurrine ed aprono gli occhi; i culmini lontani, che vivevano in un sogno irreale, si fauno più terrestri; sui declivi, i boschi rivelano le loro chiome già brizzolate di fulvo; le sagome si stagliano nitide nell'aria scintillante. E sotto il vario colore dell'ore, svaria la superficie del lago, verdina qui, più lungi azzurra, metallica in quei lembi estremi, finche non s'alza la breùa, e tutto l'increspa, elle pare la veste d'una dannila settecento, rabbrividente di tremule sensazioni indefinibili. Si può respirare sino in fondo quest'aria balsamica d'Italia prealpina, se anche per tema che scopi il petto dall'immenso piacere, il respiro si faccia discreto, come se sole, colore, bellezza fossero un tesoro misurato da non doversi sprecare. Andando per i sentieri pietrosi, tra i margini freschi del bosco, i passi suonano, suonano le forre di trilli e gorgheggi, suonano l'acque dei ruscelli spumeggiando di letizia. £ vien vaghezza di mettersi a cantare. Ahimè, non si può essere usignuoli quando si voglia ! Meglio e tacersi ed ascoltare. La musica dei sentieri potrebbe ispirare mille musicisti. Qnali patetiche orchestre, quali sinfonici rapimenti, quali crescendo trionfali ! Di sui fossati, di sulle siepi, di sui murelli, le viti in rigoglio si affacciano a guardare cariche d'occhiuti grappoli; in torno ad esse, ronzii so non, come di strumenti che s'accor dino. Sopra, svarian gli ulivi d'argento, sfiorando con carezze che par .tintinnino gli ammantati cipressi. Il gioco delle fronde nell'aria, richiama al pensiero le cose più delicate: si pensa a trine finissime, merletti fantasiosi, fontane respiranti in zampilli a ventaglio, cristalli dai fragili ornamenti. Se un grillo ssaarlpmKbuontem-'pone"d"'un tratto"uro1n'pe"mettendosi-acutamente a zirlare, ne sussulta'tutto il creato dall'erbe tenere &noi ali'azzurrissimo cielo. E poi ò un ridere sommesso, un celiare leggero, un sussurrio in sordina, che passa da pianta a pianta da albero ad albero, da ciuffo a ciuffo, come se tutto il mondo vegetale, riscosso da quel gril lo canterino, avesse qualcosa da dirsi \all'orecchio sentendosi un po' bef fato, ma anche divertito dalla bizzarria dell'insetto saltatore. Ma quanta innumerevole vita, che non si vede e appena s'ode a quando -v quando, non brulica fra tanto estatico idillio. Lotte violente, micidiali giostre, sanguinose competizioni, tra vermiciattoli e scarabei, bruchi e serpentelli, ramarri e moscerini. Un diavolerio ! E specialmente a voi si parla o minutissima flotta volante: guardatevi dal ragno tessitore. Getta fili da rumo a ramo, da albero ad albero ; si libra a costruir raggiere, concepisco i piani più arditi, e si mette lì o sta a vedere, lo penso che nel suo cervello di mostricciattolo passi persino il pensiero d'intrappolare anche l'uomo, poiché osa tendere i suoi lacci traverso il sentiero. Non riesce che a darmi un prudore al naso, che gli ha rotte, senza avvedersene, le trame insidiose; eppure egli è con tento almeno di questo, e ride e.\Wmie spalle, ride con acredine l'animaletto più astuto di Ulisse. Ma non capiti a fare il gradasso tra le spalliere d'edera in fiore. Mille pungiglioni piomberebbero su di lui facendone strazio. (L'edera, come una lunga sella frondosa, ricopre il dorso del murello. A raggiera, l'efflorescenza, spicca, di tra le foglie, centinaia e centinaia di gambi. Intorno, contro sole, un alone palpitante, un frullante luccichio, un nembo irrequieto di migliaia di alette. Sono api e vespe insieme affratellate sul fiore dolcissimo,l'ultimo dell'anno. Ad ondate, da sotto in su, da sopra in giù, s'avvicendano i nugoli, con moto che sembra disordinato, ed invece è ritmico e preciso. E, nella vicenda, si distinguono dal colore più giallo o più fulvo, le vespe dalle api. Ma la passione è la stessa, e l'ardore è identico: le cariche lasciano alle sopraggiunte, che son già volate a scaricare, il posto, e fuggon via per ritornare tra poco. La ressa rimane eguale. E quel ragno ardimentoso, a quella vista e a quel ronzio, ripiega saggiamente, come un condottiero che, osservato il campo, decide di attaccare altrove. Ed ecco che fra tanta vita vivente, fra tanta festa di colori preaubunnali giunge dal Nord, Ingeborg, ammantata di pellicce, foderata di potenti impermeabili, chiusa in vestimenti invernali come in armature di ferro. — Non si sta bene, colassù, mi pare, a giudicare dalla messa in scena ! — Esclamo un po' mordace, aguzzando lo sguardo con una falsa mossa da commedia che esprima il mio stento per riconoscerla. — Lassù' Sotto zero! Un gelo!... — Si vede, intirizzita, povera Ingeborg ! Doveva recitare una parte in un f pezzo» nuovo, e le era stata affidata una parte assai importante. Quand'ecco il termometro si precipita sotto zero ; e l'attrice elio non ha bisogno della mercede teatrale, con sua madre, in Italia. — Però — dico — ora queste pellicce sono un di più. Ed eccoti che Ingeborg si sviluppa iSftUe sue fodere come una mandorla tenera dal guscio verde. Bionda chedare bianca, con gli occhi d'un cele ste d'acqua limpida, si perde nuotan do tra le onde del lago, come una medusa. Sfuggita al grigio incubonordico, non le par vero di stendersial cole, valchiria incantata di sud W i primi giorni son spesi ancora da cittadina in vacanza, con il tennis, il motoscafo, e i riguardi d'un buon albergo. Poi Ingeborg s'acclimata, starò per dire, si naturalizza. Assisto, con meraviglia e diletto insieme, alla metamorfosi di questo singolare animaletto femminile, che, nel mio ricordo, sino a ieri, era legato con l'odore acido d'una nordica trattoria per artisti di teatro, scrittrici di commedie, poeti, e fanfaroni d'ogni genere, ed anche con i camerini di un Kamerspiel, dove 6Ì parlava di Shakespeare e del danaro incassato. Orbene, in tutto Ovidio, io non trovai nulla di più prodigioso di questa trasformazione. Dafne che si tramuta in albero, Aretusa che sgorga dal sottosuolo siculo e gorgoglia in acqua di fontana, non son nulla al confronto. Ingeborg, appresa da me la via della montagna, ordina ad un calzo laio di villaggio un paio di scarpon cini con i chiodi, indossa una veste corta di lana, una maglietta, e si mette a frugare le case dei paesani ne visita le stalle, s'incanta davanti agli asini e alle mucche, assaggia la polenta con gli uccelli, stringo le mani ai vecchi contadini, non si perita di dichiarare la sua ammirazione ai giovanotti di campagna ben piantati, getta lo scompiglio negli abitati, prende in braccio i bimbi che la guardano con le dita nel naso, stuzzica la vanità delle ragazze che con le maniche rimboccate lavano i panni alla fontana, e, quand'ha finito con gli uomini, si rivolge alle piante ed agli insetti. Non la tiene più nessuno ora che ha gustato il piacere georgico delle vigne pingui, dei pascoli folti, dei boschi di castagni carichi! Non la tiene più nessuno ! S'interessa alla vita dei ragni, insegue i grilli, si fa pungere dalle api, sdruciola dai fossati ; e, senza lamentarsi per le disavventure, seduta sull'erba accanto ad una vite ben fornita, è capace, acino per acino, di spiluccarla fin che nei graspi non ne resti più nulla. — Peggio dei merli ! — dicono, sorridendo i contadini che da lei si lasciano derubare volentieri. E però non sanno che e un'attrice, la quale, invece di venire a inseguire i grilli e a farsi pungere dalle api in Italia, avrebbe dovuto recitare una gran parte in un gran teatro del suo paese, e che menti-'essa assapora il dorato zibibbo sotto il bel cielo azzurro il nordico direttore su un grigio palcoscenico si mette le mani nei capelli urla e si scalmana non trovando ancora l'attrice adatta a rimpiazzare la fuggitiva. ROSSO DI SAN SECONDO.

Persone citate: Shakespeare

Luoghi citati: Italia