La casa di Nansen e il carbone del Duca degli Abruzzi

La casa di Nansen e il carbone del Duca degli Abruzzi Il viaggio sentimentale del " Malignin »> La casa di Nansen e il carbone del Duca degli Abruzzi (DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)- ARCANGELO, settembre. Un Imperatore decrepito muore durante una guerra che ingoia il suo impero. Il suo nome passa dalla cerchia della vita al libro della storia. Nessuno desidera ricordarlo, nessuno lega. la. sua memoria al presente. Le vecchie regioni della, sua monarchia passano sul suo nome e procedono verso l'avvenire: non hanno tempo di. offenderlo. Ciò che sopravvive della sua vecchia Austria è cosi povero, così privo del. conforto dei ricordi, cosi mancante del. piacere della, giustizia storica, che il nome di Francesco Giuseppe nemmeno lì ha trovato una patria. La Terra di Francesco Giuseppe La sua terra è nel mare dei ghiacci nordici. Una dozzina di. isole coperte dal gelo, sulle quali per sei mesi dell'anno domina, nero e mortale, il gigante dell'inverno, portano il suo nome. Per sei mesi dell'anno una fìtta crosta di ghiacci chiude la bocca urlante del mare. Sperduto e affamato si aggira l'orso per il deserto del gelido ivpack ». Il rumore dei granchi che si tuffano e dei gablriani d'avorio risuona dalle nude rocce alle strette sponde libere di. ghiaccio, e sulla riva germogliano i licheni slimolando miseri fiorellini alla breve vita della estalc artica Povera patria, per il morto imperatore Francesco Giuseppe. Dov'è l'incenso della Cattedrale di Santo Stefano, dove il rigido sfarzo del cerimoniale di Corte, dove il toson d'oro e il pennacchio dei cavalle»geri, dove tutta Vapostolica maestà? Solitudine, certo, qui come lì. Sono forse meno freddi gl'interminabili corridoi e le innumerevoli stanze del palazzo rea- le, sono forse meno deserti dei pic-\chi rocciosi che formano la costa del la Terra del %irincipe Rodolfo, di ogni isola, nordica dell'arcipelago che reca il nome semiscomparso di un dramma d'amore principesco? Ma non durerà più a lungo! La Repubblica dei Soviet ha intenzione di dare nomi « ragionevoli» all'intero gruppo dl\isole. E non farà ciò in odio all'im-\peratore. Cosa potrebbe, del resto, un\Asburgo, che per dippiù è già morto, contro l'altissimo e vivente Stalin! Bi¬ sogna modernizzare anche questa regione e darle un nome nel quale gli uomini moderni possano rappresentarsi qualcosa. Un piroscafo austriaco — il Tegethoff — raggiunse per la prima volta questa, terra nel 1873. Gli. scopritori, furono il tedesco Weijprecht e l'austriaco Payer. Si trattava proprio di una. spedizione « imperiale e reale », nella, quale si parlavano una mezza dozzina di lingue; il tedesco, l'ungherese, l'italiano e alcuni dialetti dalmati e slavi. Lo stesso Payer era stalo di guarnigione a Verona e da li rinviato alle sue montagne tirolesi le cui vette dirute e coperte di ghiacci costituirono la. sua preparazione all'impresa nelle terre artiche. I due scopritori tracciarono una. carta del cosidetlo canale austriaco che divide le isole orientali dal gruppo di centro, e riportarono in patria questa singolare dimostrazione della configurazione della terra sull'ottantaduesimo grado di latitudine nord. Le esplorazioni polari erano allora un'impresa eroica e concreta. Gli esploralori non erano al servizio dei giornali e non avevano quindi il timore di annoiare il pubblico con la relazione dei risultati puramente scientifici della loro impresa. Le difficoltà che essi dovevano affrontare erano maggiori delle attuali ma l'interesse del pubblico era pia lieve. Ciò era utile al lorq^lavoro che poteva essere condotto senza l'ansia di dover eccitare o divertire i lettori ad ogni costo. Il Goethe dell'Artide Frithjiofl Nansen, che nel 1895, dopo aver abbandonato il « Frarn », raggiunse la Terra di Francesco Giù seppe e svernò su una delle sue isole '.ìè divenuto il Coclite delle spedizioni polari. Tutto è armonico in lui; il romanticismo del, suo spirito è indissolubilmente legalo ai risultali dei. suoi maggiori lavori scientifici. Né si può scomporre la. sua. opera dalla sua personalità. La sua teoria sulle correnti scaturisce dalla stessa fonte da cui è sgorgato il suo grido di gioia alla vista del primo sole dopo la lunga notte polare. Sull'isola Jackson cercai inutilmente la baracca in cui svernò Nansen. Mi ero fitto in capo di trovarla.Questo Pczz0 di terni ~ Pensavo -dev'essere una. specie di Weimar artica. Dal ritratto di Nansen si sa cheeali.era ul} Piccolo uomo non confron tubile fisicamente al suo gigantesco compagno norvegese Johannsen. Tutte le mie ricerche furono vane. Dietro la 1 reve spiaggia erano le pareti dibasalto laQhate a V^cco e confuse in nna fttta nebbin traverso la quale appanvano i giuochi iridescenti del sole. I bassi licheni non recavano traccia di attività umana, nessunascatola di latta, nessun bossolo di cartuccia; neppure un. osso; nulla. Eppure i due esploratori avevano ucciso qui diversi orsi e almeno una dozzina di foche per procurarsi le riserve per l'inverno. Eppure, le pelli e le ossa del bacino di questi animali erano loro servite per sostenere il letto della loro baracca. Anche la riva avrebbe dovuto essere cosparsa dagli scheletri bianchi delle bestie uccise, proprio come al Capo Flora, dove ho trovato ancora alcune ossa, ben visibili per il loro candore sulle pietre scure della spiaggia, appartenenti ai sei « ponies » della spedizione Fiala. Nulla potei vedere. La baia più vicina era nascosta dietro un ripido ghiacciaio strapiombante nel mare. La sua superficie era coperta di neve granulosa e picchiettala di. innumerevoli buchi; l'acqua fluiva in profondi rigagnoli. Sterminate pianure bianche, in cui il mormorio delle acque sembra che parli con mille voci; candide estensioni senza margini che mostrano all'occhio un'interminabile nitore. Il vento fischiava con Ioni striduli sulle ripide schiene dei monti e a intervalli irregolari diveniva tempestoso per un istante spingendo verso di me frustate di neve. Per alcuni secondi mi stendevo a terra e godevo un confortante riparo. Su di me, tra le raffiche di-neve e la nebbia ondeggiante, si stendeva l'azzurro tenero del cielo. Al disotto, molto in basso, era il Malighin, in mezzo alle onde increspate dalla tempesta, nel mare verdastro e sembrava cosi piccolo da far dubitare che avremmo potuto servircene per tornare a casa.Non trovai, però, la baracca di Nansen, per quanto io fossi il primo uomo che compiva tale pellegrinag dio verso la Weimar dell'Artide. Con quanta, gioia mi sarei seduto per un istante sulle pietre intepidite dal sole di. mezzanotte, sulle quali i due Norvegesi avevano fissalo il loro quartiere d'inverno per attendere, sereni e pazienti, con la primavera, nuove peregrinazioni. Cerio avrei attinto, su quei frammenti di roccia, un po' del- la sorridente fermezza che Nansen portò indietro nel mondo dai suoi lunghi anni di solitudine polare. Solo un po', quanto sarebbe necessaria a noi tutti. Traccie della spedizione Jackson Presso Capo Flora, trovai quello che cercavo. Capo Flora, il gigantesco organo di roccia sulle cui canne più. alte il grido di milioni di uccelli intona una sola folle canzone. La faccia meridionale di questa terra senza fronde esprimeva la mula forza della mia solitudine protesa verso la casa lontana. Strane ore notturne, tuffate nella nebbia che ondeggiava rapida scivolando sui lontani riflessi del sole. L'incessante coro degli uccelli manteneva così alto il suo tono consueto da far quasi smarrire la coscienza. Sulla spiaggia era un mostruoso blocco di roccia; su di esso erano abbandonali i resti di un'abitazione limano. Alcuni passi più avanti erano alcuni pezzi della baracca. Il terreno era cosparso di. stivali di feltro, fascie, lampade Bunsen, bottiglie di tintura d'jodio, libri di preghiere, legacce per le uose, scatole di conserva sventrale, catene, sciarpe, slitte, cioccolato, un volume di Longfelloir, (( filmpack* », gnauli di. pelliccia, sapone per la barba, termometri e cartucce di dinamite. Jackson e più tardi Fiala ebbero qui il loro quartiere d'inverno legando la loro impresa all'eternila. Jackson, un inglese intraprendente che trascorse migliaia di giorni nell'Artide e che durante due interi anni cartografo le isole occidentali della Terra di Francesco Giuseppe, — quelle stesse per cui il Graf Zeppelin impiegò due giorni — quel Jackson, nell'estate del 1896, passeggiava qui ben rasalo e calzando stivali di gomma, quando incontrò un cencioso gigante dal rollo nero di fuliggine e in. parte coperto da lunghe ciocche di capelli. Con le parole: u Come stale? » Jackson si rimise dal suo stupore. Quell'uomo Nansen ed aveva credulo di. sentire il latrato di un cane. I due Norvegesi erano alla metà della loro slorica peregrinazione. Il piroscafo britannico Wlndward, nella stessa estate, li riporlo in Europa. I gradini della scala della casa, in cui Nansen- si riposò dopo la sua impresa, sono ancora li. Il focolare, sul precedevaquale per lunghi n.esi egli fece bolli- re il suo pruno caffè, giace armami- to in mezzo al muschio. Trovai anche una tazza smaltala in cui il mio artico Goethe aveva forse bevuto. Ma nello stesso pomeriggio trovai, altre sette tazze eguali e cosi finii per lasciarle tutte. Magia dell'autenticità! La sera di quello stesso giorno leggendo nella mia cabina, la descrizione della, celebre impresa del Frani, trovai il luogo dell'incontri, Nansen aveva fatto un mucchio di muschio per le renne in cambio del quale avrebbe avuto da una nave inglese alcune renne. Proprio alcune, ore fa io mi sono sdraialo su quel muschio sentendo il misterioso contatto fra la storia e l'attualità, inesplorabile magia, testimone di una vita estranea e lontana. Il tempo sembra immobile, qui. Le cose invecchiano appena in quest'aria rigida e fredda. Ricordi del Duca degli Abruzzi Un caso simile mi capitò nella Terra del Principe Rodolfo dove trovai un mucchietto di. carbon fossile. La sera, leggendo i ricordi di viaggio del Duca degli Abruzzi, trovai una breve frase in cui. egli, parla del caibone e dice di averne lasciato un mucchio sulla Terra del Principe Ro dolfo. Avevo avuto il timore che le tempeste e le maree avessero ben presto disperso quel carbone. No, non è stato disperso. Sul tavolo al quale scrivo queste parole, è un pezzetto di quel carbone. Non che esso abbia per me il valore di una rarità, ma perchè mi parla dei mi stenosi rapporti che corrono nella vita degli uomini, della sterminala possente esistenza delle cose morte per un istante e che, attraverso l-e vicende del tempo e dello spazio, costruiscono i ponti fra il passalo < l'oggi. E' proprio vero che l'Artide è una terra maledetta. Essa toglie agli uo mini l'idea del tempo. Quante volte sono corso al cronometro del vapore eoi folle pensiero che potesse essersi feimato sprofondandoci nell'eternità. Lo desideravo? Lo temevo? La quiete muta di questa terra morta seppellisce tutto il presente. Si fatica a ricordare il mondo rumoreggiante che è stato lasciato ieri e che domani sarà di nuovo raggiunto. Londra, Parigi, Berlino: cosa sono? Dai ghiacciai gocciola l'acqua li quefalta c cade sul gelo. Le pietre sulla spiaggia non sono di questo mondo. Perchè non si resta qui, sprofondati nel silenzio? La Terra è chiusa da una fascia di nebbia Io l'attraverso, muto, con lo. mia nave. Andiamo oltre? E' l'ultimo viaggio? FEDERICO SIEBURG (Copyright della Stampa Associata di Francatone 19.11, e della stampa ... ARCJR FRANCESCO-GIUSEPPE km.'