Costanza D'Azeglio

Costanza D'Azeglio Costanza D'Azeglio Da oaxt,eergl inediti r o i o , i a o Non era bella ma piacente: capelli neri, occhi a mandorla, viso incorniciato da due lunghi riccioli: sorriso buono od arguto. Era uscita da casa Allieti per entrare.in quella D'Azeglio: nata quindi e vissuta fra diplomatici aveva contratto uno spirilo pratico che ravvivato da naturale ingegno e da •oltura non comune le consenti di osservare e di valutare con fine criterio uomini e cose del suo tempo. Aveva idee moderne che si avvicinavano più a quelle progressiste del mari io Roberto che a quelle rigidamente conservatrici dello suocero Cesare: perciò il suo salotto torinese fu dal "t7 in poi uno dei più frequentati dagli uomini rappresentativi dell'alta nobiltà, della politica e della coltura. Costanza D'Azeglio sentiva i discorsi, le voci correnti, i giudizi ed i propositi e si affrettava a scrivere lunghe ed interessantissime lettere al figlio Emanuele che dopo le prime tappe della sua carriera diplomatica a Vienna, all'Aja, a Pietroburgo era stato mandato nel '48 a Londra dove rappresentò per un ventennio il Governo sardo. Le sue lettere, scelte, sfrondale ed edite nei Soitvnnirs dal figlio Emanuele costituiscono una delle fonti più preziose e più interessanti della storia del Piemonte nel Risorgimento; buttate giù di prima impressione, in un confidenziale abbandono, ci offrono una folla di notizie, di quadretti d'ambiente, di giudizi che invano cercheremo altrove. 11 Governo piemontese lesinava notizie ai suoi rappresentanti all'estero: le informazioni materne supplivano provvidenzialmente, por il D'Azeglio, alla lacuna. In certi momenti solenni e rielicati, Emanuele D'Azeglio fece legger,; le lettere della madre ai ministri inglesi per illuminarli e correggere certe loro opinioni storie sul Piemonte e più di una volta il mezzo fu efficacissimo. Ciò che più piace nell'epistolario della D'Azeglio è quell'/ii/iiior frizzante col quale spiffera certi giudizi talora pungenti, assòluti, passionali, ma sempre spontanei e sinceri. Ella non ha peli sulla lingua: sferza tutti e tutto senza riguardi: bolla le debolezze del'ambiente, le intemperanze dei partiti, i difetti e vizi delle persone; dà botte ai codini, ai rossi, ai neri, a parte della nobiltà boriosa ed ai democratici petulanti. Pecca anch'essa di quel chawìinismc che ostacolò non poco la fusione degli italiani: era anch'essa fra quei torinesi che rimpiangevano, quando uscivano fuori del Piemonte, di non trovare i portici di Po a Firenze, a Milano ed a Napoli e sentiva tanto orgoglio della sua terra e della sua gente da dire un giorno che se invece di rendere italiano il Piemonte si fosse cessato di far piemontese l'ItaHa, le cose non sarebbero andate tanto male. crgdlstlvdtsss Giudizi tal cognato Massimo CI colpiscono soprattutto i giudizi cu riosi che dà sulle persone. Brofferiu le era antipatico per quelle sue arie di tribuno da strapazzo; a Gioberti non perdonavi», d'avere voluto introdurr* l'elemento borghese nella diplomazia nell'esercito e di lui scriveva che si gonfiava come un pallone e non capiva niente. Ad altri personaggi diedie curiosi epiteti. Pier Dionigi Pinelli, non abbastanza energico, secondo la D'Azeglio, come ministro degli interni, era appella to Don Mollea: Cibrario, per il tempo in cui eopri la carica di intendente delle gabelle, era detto Don Plpis; Valerio, per i suoi atteggiamenti demagogici, era chiamato Caio Gracco; Rattazzi per essersi unito a Cavour era conciato col nomignolo di Monna Siratut (guastamestieri) ed il loro connubio era definito il ministero Galon-Ratas. Interessanti sopratutto sono i giudizi dati sul cognato Massimo non editi nei Sovveniri. Costanza D'Azeglio non «vendo di lui ministro, un gran concetto non gli risparmiò qua e là osservazioni su certo contegno che considerava poco conveniente alla dignità della carica e che non di rado offriva facile bersaglio allo pungenti caricature dei giornali. Massimo D'Azeglio, quando saltai potere, non volle rinunciare a certe sue abitudini. Continuò, per esempio, le sue passeggiate a cavallo attraverso la città ed il i Fischietto » lo rappresentò colle armi di Ettore Fieramosoa intento a dare la caccia ai piccioni di piazza Castello; talvolta frequentava senza alcun ritegno case sospette destando perciò in città le più grasse risate e non disdegnò un giorno, egli, Presidente del Consiglio, a scrivere versi sull'album di una danzatrice torinese. La D'Azeglio riferiva al figlio Emanuele che Massimo non lavorava lasciando ai segrelari tutte le cure dello Siate e divertendo il Re colla sua arguzia piuttosto di interessarlo agli affari del Paese. Nel dicembre del 1834 Roberlo D'Azeglio scrisse un articolo vivacissimo sul giornale torinese «l'Opinione » contro i miseri ripieghi consigliati dal Ministero per sollevare dal deperimento le collezioni di quella R. Pinacoteca che egli da anni dirigeva con tanto intelletto ed amore. L'articolo sollevò tele scalpore nelle sfere governative che Roberto D'Azeglio fu costretto a presentare le sue dimissioni. Fra i numerosi oa.ndi-scandalo dei faniighar, Cosi ne diseor-reva Costei™ IVAzogl.0 <U tìglio, muna. lettera del 13 marzo 18,,.: « Tuo padre ha provato un forte dispiacere: si tratta di noniiua.ro Massimo al suo posto nella direziono della gal-. lena: egli trova un poco indelicato daparte di suo fratello di occupare cosiun posto donde egli é stato sbalzato in modo cosi sgradevole, tanto più che Massimo non ha veramente i requisiti 1'55 Massimo foce mille brighe per esso l,.,, 0nipre.-o fin il seguito. Questo affac ,,.„.: ìc„ì,..1vt ,iii„ ,,„,„„,„ „ 'sl «Pf8^ '"la, cognata Costanza attesto giudizio: «Da qualche tempo esli perde la bussola, batte falsa via: si agita, non può star fermo, prende iniziative clic lascia poi cadere, tiene discorsi imprudenti, tutto ciò genera la npinJO,ie ,,,, necessarii per l'Incremento di tale isti-tuzione. Il fatto è che Massimo è imba-razzato nelle sue finanze: ciò lo fa tran-sigere e mettere sovente in contraddi-zione con se slesso ». Il D'Azeglio, ceduto il potere a Ca-vour. senti fortemente la. nostalgia del-le cariche soffrendo assai di non essereconsultato itegli affari di maggiore im-portanza. Quando si trattò d^l viaggiodi Vittorio Emanuele li a Londra neegli voglia ridiventare Miltoni1111 seguito, e poi non è adatto perchè attaccalo ai suoi comodi non si sacrili . ,111*110- cio l1ig non 'W»ovo Perche ù ca per gli affari. I Ministri attuali sa> ranno buoni o cattivi, e un affare di gusto, ma sono attivi, lavoratori e prendono gli affari sul serio... ». Nel 'óo, durante la guerra, Costanza; lì Azeglio fu ammirevole per l'opera, sua pietosa a. favore dei feriti. Costituito un comitato di signore per visi* laro gli ospedali militari, attese con fervido zelo .alle cure morali e spirituali! di «inaliti vi erano accolti. Scrivendo tu figliò dava particolari commoventi sulle condizioni dei feriti francesi trascurati dai loro capi. Quale differenza, osservava, fra i nostri ospedali, ove te suore tengono tutto con ordine ed economia, dove lutto va a profitto. «Jet soldati e queste intraprese francesi nelle «inali tutti rubano, e gli ammalati, malmenati dagl'infermieri, mancano del necessario. Non hanno chi lavi loro lo. biancheria o la rammendi. Ho organizzato un piccolo servizio di signoro per attendere a ciò ». Quando piombo a Torino la notizia dell'armistizio di Villafrunca molti, informava la Costanza, piansero di rabbia. Al ritorno per Torino i francesi furono accolli freddamente. Essi accusarono i piemontesi di ingratitudine. Non è vero, protestava la D'Azeglio, noi non ce l'abbiamo né coi soldati, né cogli ufficiali, ma con Napoleone, 1 quale ha avuto il torto di prometterò multo coi olio proclama agli Italiani». L'impresa di Garibaldi Prima del "60 la D'Azeglio non fu unitaria. Tutto al più, pensava, come molti, ad un regno piemontese signore dell'Italia settentrionale dalle Alpi all'Adriatico. Il concetto d'un Italia una era per essa un'utopia quale potevano solo vagheggiare gli « energumeni e le. teste esaltate della giovane Italia ». Affiorano ancora nella sua niente molti pregiudizi. Il triste esperimento della prima campagna d'indipendenza in cui il Piemonte per liberare gli altri dal giogo straniero corse pericolo di perdere sé stesso e vide consumarsi nell'esilio la vita del Re precursore e martire aveva raffreddalo molti della sua casta. Ma quando il genio di Cavour e l'ardimento di Garibaldi spianano la via all'unità, essa riconoscendo l'opera della Provvidenza a poco a poco si converte. I rapidi avvenimenti che sanno del miracolo la stordiscono; poi la entusiasmano. Le ultime scorie del regionalismo si dileguano di fronte alla smagliante realtà. Quando Gari- baldi snuda la spada liberatrice per la Sicilia la D'Azeglio ne ammira il coraggio ed il valore ma non può dissimulare l'apprensione che sul Piemonte che stava allargandosi e consolidandosi dovesse piombare anche il peso delle due Sicilie mal governate ed amministrate dai Borboni. Sebbene vedesse la fatalità irresistibile del movimento, temeva complicazioni, paventava le avventatezze garibaJdine, s'infastidiva dei volontarii, si preoccupava dei Mazziniani che stavano attorno all'eroe. Al flgiio che da Londra le scriveva come le dame inglesi dell'alta società, entusiaste, bevessero tutte alla salute di Garibaldi, rispondeva che ciò era assai poco decoroso. Anche il marito Roberto condivideva con lei gli stessi entusiasmi e gli stessi timori. Scriveva il 12 settembre al flgiio: «Veggo con piacere che tutta la società intelligente riconosce in te uno dei principali agenti di questa politica per la quale il piccolo regno di Piemonte si trasforma in quello d'Italia e di una nazione di venticinque milioni di abitanti prendendo posto fra le grandi potenze e iniziando il cammino verso un avvenire glorioso che rinnoverà i grandi fasti della suastoria. Per arrivare a ciò non possiamo dissimularci i difficili passi che dobbiamo ancora attraversare e tutti gli ostacoli che ci restano a superare. Tutta la mia ammirazione per il valore eroico di Garibaldi non è sufficiente per impedirmi di vedere che se Egli è grande come soldato, è nullo come politico e come organizzatore, che egli è dominato da una malaugurata fazione che ha rovinato ciò che noi abbiamo edificato e che minaccia di rovinare tutte le nostre speranze». Dopo la morte di Cavour L'improvvisa scomparsa doi Cavour fu una calamità nazionale di cui si ebbe profonda eco anche fuori dei confini. Si può dire che i carteggi Azesliani ci hanno lasciato in proposito un quadro veramente fedele delle impressioni comuni. Costanza D'Azeglio cosi descriveva al figlio il lutto di Torino: «Il dolore è stato generale 1n tutte le classi, e in tutte le età: i bambini stessi comprendevano che UDa grande sventura era piombata su di noi-Nelle vie la gente è costernata: botteghe, teatri spontaneamente chiusi. Si piangono ora dappertutto vere lacrime, al Senato, alla Camera, ai Ministeri. Hudson (Ministro inglese a Torino) pianse come un bambino, il Re propone di seppellirlo a Superga. Bene. Nessuno ha fatto né farà altrettanto di Camillo per la Casa di Savoia, ma la famiglia vuole custodirlo a Santena. Camillo diceva che non avrebbe lasciato il Piemonte, e che se il Governo si trasferiva altrove egli si farebbe nominasferiva altrove esli si farebbe >nominaglio Emanuele cosi descriveva alla ma- „à naz,onale*Mo]ti mpmnrj „* ^ liHllPnt0 nii himno S(.ri„„ lettere di conIdoglianza. Altri mi hanno rietto che sentivano dopo questa morte come un vuoto attorno ad essi come se fosse lo .ro mancato qualcuno della famiglia, Pantal ,-, anKOS,iato, distratto, non tri j va più le parole e confonde una cosà coll'altra ». Nel paragone col grande Ministro l isuoi successori alla D'Azeglio parvero Pismei. «Si loda, scriveva al figlio il ■•& [Dicembre 1861, e si oritica nel medesi "10 tempo il Ricasoli: si dice che non |sà bene dirigere l'opinione, che si la- sc'a facilmente condurre al rimorchio, F>oi na nna rudezza che disgusta tutti Guanti hanno rapporto con lui, è in sómma l'opposto rie! suo predecessore», Caduto Ricasoli, dà aspro giudizio strila !" combinazione del Ministero Rattazzi ina non lo vede alla prova perchè si spegne nell'Aprile del ISfc' tra il com« pianto di tutti. Scriveva riifatti il co» guato Massimo alla moglie: « Si è però avuta una consolazione nella disgazia, e fu l'omaggio vero, sincero d proprio del cuore, reso alla povera Coistanza dalla popolazione di Torino, im 'questa circostanza, l'elice chi può par» tir., rial inondo con un simile attestata dei suoi concittadini! ». I ADOLFO COLOMBO» .